Ottavia, Seneca.
Ottav. |
Seneca, oh gioja! ancor sei dunque in vita? Vieni, o mio piú che padre... E che? nel volto men tristo sembri: oh! che mi arrechi? |
Seneca |
Intatta, godi, è pur sempre la innocenza tua. Le tue tante virtú d'alcun lor raggio infiammato a virtude hanno i piú bassi servili cori. Infra martíri atroci, fra strazj orrendi, le tue ancelle a un grido, tutte negaro il tuo supposto fallo. Marzia fra loro era da udirsi: in fermo viril libero aspetto (e da far onta a noi schiavi tremanti) in Neron fitti gl'imperterriti sguardi, ora a vicenda Tigellino, or Nerone, ad alta voce mentitor empj iva nomando: e piena di generosa rabbia, inni solenni di tua santa onestá cantando, salda ella ai tormenti, da forte spirava. |
Ottav. |
Misera! ahi degna di miglior destino!... Ma ciò, che vale? A ricomprar mio sangue, havvi sangue che basti? |
Seneca |
Or, piú che pria, scabro a Neron fassi il versarlo. Hai tratto lustro ed onor donde sperò l'iniquo che infamia trar tu ne dovresti, e morte. Eucero stesso, benedire ei s'ode il suo morire. Or giuramenti orrendi, per cui sua testa agli infernali Numi consacra; or spande liberi, e feroci detti, che attestan tua virtude; or giura piú a grado aver e funi, e punte, e scuri, che l'oro offerto di calunnia in prezzo. Di Tigellino ei le promesse infami chiare ad ogni uomo fa; lo ascoltan pieni d'inusitato orror gli stessi feri suoi carnefici, e quasi le lor mani trattengon, mal loro grado. In fretta io vengo il grato avviso a dartene. |
Ottav. |
Deh! mira, chi viene a me: miralo, e spera. |
Seneca | Oh cielo! |