Scena sesta

Poppea, Nerone, Ottavia.

Poppea

Dimmi, o Nerone: al fianco tuo m'hai posto

sul trono tu, perch'io bersaglio fossi

alla insolenza del tuo popol vile?

Ma che veggio? mentr'io son presa a scherno,

tacito, e dubbio, e inulto, stai tu appresso

alla cagion d'ogni tuo danno? In vero,

signor del mondo egli è Nerone! il volgo

pur la sua donna a lui prefigge.

Ottav.

Hai sola

tu di Nerone il core: omai, che temi?

Io prigioniera vile, io son l'ostaggio

della ondeggiante fe d'audace plebe.

Ti allegra tu: queta ogni cosa appena,

le tue superbe lagrime rasciutte

tosto saranno con tutto il mio sangue.

Ner.

Tosto in luce verran gli obbrobrj tuoi;

Roma vedrá qual sozzo idol s'ha fatto.

Gli avuti oltraggi, a te, Poppea, verranno

ascritti a onor; a infamia sua gli onori.

Ottav.

E se pur v'ha chi me convincer possa

d'infamia a schiette prove, io giá t'ho scelta,

in mio pensier, Poppea; giudice sola

te voglio. Il variar del cor gli affetti,

tu sai qual sia delitto, e qual mercede

a chi n'è rea si debba. - Ma innocente

io son, pur troppo, anco ai vostr'occhi. Or via,

tu, che sí altera in tua virtú ti stai;

tu, né pur osi or sostener miei sguardi.

Ner.

Che ardisci tu? Del tuo signor rispetta

la sposa; trema...

Poppea

Eh! lascia. Ella ben sceglie

il suo giudice in me: qual mai ne avrebbe

benigno piú? qual potrei dare io pena

a chi l'amor del mio Neron tradisce,

quale altra mai, che il perderlo per sempre?

E pena a te, qual fia piú lieve? il vile

tuo amor, che ascondi invano, appien ti fora

per me concesso il pubblicarlo: degna

d'Eucero amante, degnamente io farti

d'Eucero voglio sposa.

Ottav.

Eucero è velo

a iniquitá piú vil di lui. Ma teco

io non contendo: a ciò non nacqui: ardita

non son io tanto...

Ner.

A chi se' omai tu pari?

Te fa minor d'ogni piú vile ancella

tua turpe fiamma: appien dal prisco grado,

dalla tua stirpe appien scaduta sei.

Ottav.

Tu meno assai mi abborriresti, s'io

scaduta fossi or d'ogni cosa; o s'anco

tu il pur credessi. Ma, se il vuoi, ti dono,

tranne sol l'innocenza, ogni mia cosa. -

Crudel Neron, qual che tu sii, né posso

cessar d'amarti, né arrossirne: immensa

ben m'è vergogna in ver, rival nomarmi

di Poppea: ma nol son; mai non ti amava

costei: tuo grado, il trono, e quanto intorno

ti sta, ciò tutto, e non Nerone ell'ama.

Ner. Perfida, or ora...
Ottav.

E tu, quand'io t'impresi

ad amar, tale, ah! tu non eri: al bene

nato eri forse: indole tal ne' primi

anni tuoi, no, mai non mostrasti. Or, ecco

chi cangia in te l'animo, e il cor; costei

ti affascinò la mente; ella primiera,

ella ti apprese a saporare il sangue:

l'eccidio ell'è di Roma. Io tacio i danni

miei, che i minori fieno: ma sanguigno

corre il Tebro per te; fratello, e madre...

Ner. Cessa, taci, ritratti, o ch'io...
Poppea

Lo sdegno

merta costei del signor mio? Gli oltraggi

son le usate de' rei discolpe vane.

Se offendermi ella, o se prestarle fede

potessi tu, solo un de' motti suoi

punto m'avria. Che disse? ch'io non t'amo?

tu sai...

Ottav.

Tu il sai piú ch'egli: ei lo sapria,

se il trono un dí perdesse: appien qual sei

conosceriati allora. - Ahi! perché il trono,

sola cagion per cui Neron mi abborre,

era mia culla? ah! che non nacqui io pure

di oscuro sangue! a te spiacevol meno,

meno odíosa, e men sospetta io t'era.

Ner.

Meno odíosa a me? Tu sempre il fosti;

e il sei vieppiú: ma, omai per poco.

Poppea

E s'io

avi non vanto imperíali, nata

di sangue vil son io perciò? Ma, s'anco

il fossi pur, non figlia esser mi basta

di Messalina.

Ottav.

Avean miei padri regno;

noti ad ogni uomo i loro error son quindi:

ma, degli oscuri o ignoti tuoi chi seppe

cosa giammai? Pur, se librar te meco

alcun si ardisse, a Ottavia appor potria

gli scambiati mariti? avanzo forse

son io d'un Rufo, o d'un Ottone?

Ner.

Avanzo

di morte sei, per breve tempo. Omai

del tuo perire, incerto è solo il modo;

ma nol cangi, che in peggio. - Esci: e frattanto

t'abbian tue stanze: va; ch'io piú non t'oda.

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