Rosmunda, Romilda.
Rosm. |
Perfida, al ciel porgi pur voti; innalza, innalza pur tue vane grida al cielo; giá non fia ch'ei t'ascolti. Arde frattanto presso al Ticino la feral battaglia; quinci n'odo il fragor: né in dubbia speme mi ondeggia il core: del novel mio sposo l'alta virtú guerriera appien certezza del vincer dammi. |
Romil. |
Se Almachilde in campo val, quanto ei valse in questa reggia, allora che a tradimento trucidovvi il mio padre Alboino, ei vincerá: ma Clefi, che contro lui combatte, ora non giace nel sonno immerso, a ria consorte in braccio, come Alboín marito tuo giacea in quell'orrida notte. Il fior dei prodi Clefi ha raccolto a se dintorno: a un tempo ei la gran causa della fe tradita, dell'oltraggiato ciel, del volgo oppresso, e delle infrante Longobarde leggi sostien coll'armi; e vincitor lo spero. |
Rosm. |
Del Longobardo popolo la feccia segue or di Clefi le ribelli insegne; uom di sangue non vil fra' suoi non conta: degno egli è ben, che tu per lui parteggi. E tu, di re sei figlia? Oh, in ver felice il mio destin, che madre a te non femmi! Nata di re, tu vile esser puoi tanto, che veder vogli la regal possanza col trono a terra? |
Romil. |
Anzi che iniquo il prema contaminato usurpatore, a terra veder vo' il trono. E tu, consorte e figlia fosti di re? tu, che di sposa osasti a un traditor tuo suddito dar mano? |
Rosm. |
A ogni uom, che far le mie vendette ardisse, dovuto premio era mia mano. A infauste nozze col crudo padre tuo mi trasse necessitá feroce. Orfana, vinta, m'ebbe Alboín, tinto del sangue ancora dell'infelice mio padre Comundo: l'empio Alboín, disperditor de' miei, depredator del mio paterno regno, di mie sventure insultatore. Al fine dal duro fatal giogo di tanti anni io respiro. Il rancor, che in me represso sí a lungo stette, or fia che scoppi: or voglio te d'Alboín figlia abborrita, (ond'io madre non son per mia somma ventura) te vo' sgombrar dagli occhi miei per sempre. Sposa ti mando ad Alarico. |
Romil. |
Io sposa?.. Io, d'Alarico?.. |
Rosm. |
Sí. Poca vendetta a te par questa; e poca io pur l'estimo, al mal che femmi il padre tuo; ma tormi dal cospetto mi giova ogni empio avanzo del sangue d'Alboino. In cambio darti de' pattuiti ajuti, che a me presta contro Clefi Alarico, io la regale fede mia n'impegnai. Godi: alto sposo avrai, qual merti: e benché vasto regno, a par di quelli che usurpò tuo padre, gli Eruli a lui non dieno, ei lo pareggia in efferata crudeltade al certo. Felice te, quanto Alboín mi fea, Alarico fará. |
Romil. |
Non sperar mai che a tali nozze io vada. Ove tu vinca, e aver di me piena vendetta brami; fra queste mura stesse, ove del padre l'ombra si aggira invendicata, dove vil traditor, che lui svenò, sen giace a lato a te, nel talamo suo stesso; quí dei la figlia uccider tu; quí lunghi martirj orrendi, e infami strazj darle. Ma, tu dispor della mia destra?... |
Rosm. |
Aggiunti i furor tutti di crudel madrigna ai furori di barbaro marito, in Alarico troverai. Di morte punisco io quei che in un pavento e abborro: te, cui non temo, io vo' punir di vita. |
Romil. |
Pari in ferocia a te chi fia? non io. Pianto non è, non d'innocenza grido, che al cor ti scenda, il so: né schermo resta a me, che il pianto... Oh ciel! - Ma no: ben posso, e so morir, purch'io non vada... Forse meglio mi fora, le tue nobili arti, e il tuo pugnale ad Alarico in dote recando, fargli le mie chieste nozze caro costare: ma, son io Rosmunda? |
Rosm. |
Io 'l sono; e assai men pregio. Al mondo è noto, ch'a incrudelir prima non fui. |
Romil. |
Se crudo fu il mio padre con te, dritto di guerra tale il fea; ma tu poi... |
Rosm. |
Di guerra dritto? Nella piú cruda inospita contrada dritto fu mai, ch'empio furore, e scherno le insepolte de' morti ossa insultasse? - Nol vegg'io sempre, a quella orribil cena (banchetto a me di morte) ebro d'orgoglio, d'ira, e di sangue, a mensa infame assiso, ir motteggiando? e di vivande e vino carco, nol veggio (ahi fera orrida vista!) bere a sorsi lentissimi nel teschio dell'ucciso mio padre? indi inviarmi d'abborrita bevanda ridondante l'orrida tazza? E negli orecchi sempre quel sanguinoso derisor suo invito a me non suona? Empio ei dicea: «Col padre bevi, Rosmunda». - E tu, di un simil mostro nata, innanzi mi stai? - Se, lui trafitto, te fatto avessi dai piú vili schiavi contaminare, indi svenar; se avessi arso, e disperso il cener vostro al vento; vendetta io mai pari all'oltraggio avrei? Va; né piú m'irritare. Augurio fausto emmi il vederti mal tuo grado andarne a fere nozze: e omai tu il nieghi invano; a forza andrai. Nel sangue tuo si lordi altra man che la mia. Ma, vanne intanto; te quí non voglio, or che Almachilde aspetto vincitore dal campo. Esci; e t'appresta al tuo partire al nuovo dí: l'impongo. |