SCENA TERZA

Rosmunda, Almachilde, Soldati.

Rosm.

Giá le festose grida, e l'ondeggianti

bandiere al vento, e il militar contegno,

tutto mel dice; il vincitor tu sei.

Almac.

Salvo, e securo, e vincitor mi vedi;

ma, non per mia virtú. Vittoria, e vita,

e libertade, e regno, oggi a me tutto

dona il solo Ildovaldo. Ei m'era scudo;

ei difensor magnanimo: tai prove

fea di valore egli per me, che il merto

mai pareggiar col guiderdon non posso.

Rosm.

S'io ben mi appongo al vero, il tuo bollente

sublime cor spinto ti avea lá dove

il periglio piú ardeva. Ah! di Rosmunda

non rimembravi allor le angosce, i pianti,

il palpitare. Del valor tuo troppo

quant'io temessi, il sai: pur mi affidava

il prometter, che festi anzi la pugna,

di non ti esporre incautamente indarno.

Io ten pregai; tu mel giuravi: ah! dimmi;

che sarei senza te? nulla m'è il trono,

nulla il viver, se teco io nol divido.

Almac.

Te rimembrava, e l'amor tuo: ma capo

dei Longobardi degno, e degno sposo

dovea mostrarmi di Rosmunda a un tempo,

ferocemente andando a morte incontro.

Come ammendar, se non col brando, in campo,

quel fatal colpo, che di man mi uscia?...

Rosm.

E che? d'avermi vendicata ardisci

pentirti?...

Almac.

Ah! sí. Non la vendetta, il modo

duolmi, ond'io l'ebbi, e mi dorrá pur sempre.

Per torre a me tal macchia, erami forza

tutto versar, quant'io n'avessi, il sangue. -

Ad alta voce io traditor mi udiva

nomar da Clefi, e da' suoi prodi; al centro

del colpevol mio core rimbombava

il meritato, ma insoffribil nome.

Nol niego; allor, tranne il mio onor perduto,

d'ogni altra cosa immemore, mi scaglio

ove si addensan piú le spade, e l'ire:

cieco di rabbia disperatamente

roto a cerchio il mio brando; ampia lor prova

col ferro io do, che traditor vie meno

son, che guerriero. - Alto giá giá mi sorge

di trucidati e di mal vivi intorno

un monte; quando il buon destrier trafitto

mi cade; io balzo in piè; ma il piè mal fermo

sul suol di sangue lubrico mi sdrucciola,

sí ch'io ricado. - Giá l'oste si ammassa,

e addosso a me precipitosa piomba.

Di sua virtú gli ultimi sforzi indarno

iva facendo il mio stanco languente

brando: quand'ecco, in men che non balena,

con non molti de' suoi, s'apre Ildovaldo

fra schiere, ed aste, e grida, e spade, ed urti,

infino a me la via. Diradan tosto;

a destra a manca in volta piegan; rotti

volan dispersi i rei nemici in fuga.

Ripreso ardire, i miei gl'incalzan forte;

ampia messe han lor brandi; onde l'incerta

campal giornata in sanguinoso orrendo

total macello in un momento è volta.

Rosm.

Respiro al fine: al fin sei salvo: inciampo

niun altro io mai temeva al vincer tuo

che il valore tuo troppo. Era Ildovaldo

giá fra i maggior di questo regno; or fia

soltanto a te secondo.

Almac.

Esser gli deggio

tanto piú grato, quanto a me piú farlo

volean sospetto anzi la pugna alcuni

invidi vili. Ei d'Alarico i tardi,

e forse infidi ajuti, assai ben disse

non doversi aspettar: piú val suo brando,

che mille ajuti: egli è il mio prode; ei solo

la guerra a un tempo, e la giornata ha vinto.

Fama, ancor che diversa, orrevol suona,

or che in sue man lo stesso Clefi è preso;

or che il piagasse a morte; ed è chi 'l dice

anco ucciso. Seguir de' fuggitivi

l'orme non volli; uso a veder la fronte

de' nemici son io: ma d'Ildovaldo

l'alto coraggio avrá compiuta appieno

la lor sconfitta. In lui mi affido; ei svelta

fin da radice ha in questo di tal guerra.

Rosm.

Duolmi, che lente d'Alarico l'armi

non ebber parte alla vittoria: intera

mia fe pur sono io di serbargli astretta:

a noi giovare altra fiata ei puote;

e, quel ch'è peggio, ei ci può nuocer sempre.

Dargli vuolsi Romilda: a lei ne fea

io giá l'annunzio. - Il crederesti? ell'osa

niegar sua mano ad Alarico.

Almac.

Oh! tanto

sperar io?... Tanto ella sperare ardisce?..

Rosm.

Sí. - Ma indarno ella il niega: al sol novello

le intimai la partita. Il trono pria

io perder vo', che mai tradir mia fede.

Almac. Ma pur,... pietá della infelice figlia...
Rosm.

Pietá?... di lei?... figlia di chi? - Che ascolto?...

Dell'uccisor del padre mio la figlia

altro esser mai, fuorché infelice, debbe?

Almac.

A me non par, che la vittoria lieta

da intorbidarsi or sia con víolenti

comandi. Ella è, Romilda, unico sangue

del Longobardo re: mal fermi ancora

sul trono stiamo: in cor ciascun quí serba

memoria ancor delle virtú guerriere,

della possanza rapida crescente

d'Alboín suo legittimo signore.

Dietro ai vittoríosi alti suoi passi,

d'Italia, quanto il Po ne irriga, e quanto

l'Appennin, l'Alpe, e d'Adria il mar ne serra,

tutto han predato, e posto in ceppi, od arso.

Gran carco a noi, grand'odio, e rei perigli

l'uccisíon di sí gran re ne lascia.

Stanca or la plebe d'assoluto sire,

vessillo alzar di libertade ardiva:

lieve a reprimer era: a pro' guerrieri

piace un sol capo. Ma del lor gran duce

se la figlia oltraggiar veggon le squadre,

chi di lor ne risponde? E noi senz'esse,

dimmi, che siamo?

Rosm.

Nuovo, in ver, del tutto

oggi a me giunge, che in affar di regno,

da quel ch'io sento altro tu senta. Io lascio

l'armi a te; ma di pace entro la reggia

l'arti adoprar, chi mel torria? - Deh, vieni

d'alcun riposo a ristorarti intanto.

Contro le aperte armi nemiche scudo

a me tu sei: ma ogni men nobil cura,

che a guerrier disconviensi, a me s'aspetta.

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