Appendice prima (cap. XIV)

CLEOPATRA PRIMA

Abbozzaccio

scena prima Lachesi, Photino

PHOTINO

Della mesta regina i strazi e l'onte

chi nato è in riva al Nilo ormai non puote

di piú soffrir, alla vendetta pronte

foran l'Egizie genti, ove il consiglio

destar potesse un negghitoso core

ché alla vendetta non pospone amore;

LACHESI

Sconzigliata a te par l'alma regina,

son questi i sensi audaci e generosi

del tuo superbo cuor, ma piú pietosi

gira ver ella i lumi, e allora in pianto

forse sciogliendo i detti giusti e amari

vedrai che pria fu donna e poi regina

vedrai

PHOTINO

T'accheta, non fu doglia pari

a quella che mi strugge, e mi consuma,

de' Tolomei, l'illustre ceppo ha fine,

con lor rovina il sventurato Egitto,

benché di corte all'aura infida, nato

nome non è per me finto, o sognato

quel bel di patria nome, che nel petto,

invan mi avvampa, qual divino fuoco;

ma de' stati la sorte allor che pende

da un sol, quell'un tutti infelici rende.

LACHESI

Inutili riflessi: ora fra' mali

sol fia d'uopo il minor, possenti Dei,

voi che de' miseri mortali

reggete colassú le vite, e i fati

ah pria di me, se l'ire vostre io basto

tutte a placar, il pronto morir sia,

la vittima

dell'infelice Antonio il rio destino

dove mai, ma che vedo, ecco s'avanza

Cleopatra, turbata.

scena seconda Cleopatra, Photino, Lachesi

CLEOPATRA

Amici ah se albergate ancor pietade,

nel vostro sen, se fidi non sdegnate,

voi ch'alle glorie mie parte già aveste,

esser a mie sciagure ancor compagni,

deh non v'incresca il gir per mare

per monti, o piani, o selve meco in traccia

di chi piú della vita ognor io preggio.

L'incauto piè dal vacillante trono

rimosse amor, il vincitor già veggio

alla foce approdar sull'orme audaci

d'un'ingiusta fortuna, a morte pria

amor mi meni che a scorno o ad onta ria.

Questi, lo so, son d'infelice amante

non di altiera Regina, i sensi, e l'opre.

Forse m'han scelto i Dei per crudo esempio,

per far toccar alla piú rozza gente

che talor chi li regge, indegno, ed empio

fanne, per vil passion, barbaro scempio.

PHOTINO

Signora, il tuo patir, non che a pietade,

ma ad insania trarria uomini e fere,

e qual fra i poli adamantino core

resisterebbe a' tuoi aspri lamenti,

il fallo emendi, in confessarlo, e forse

tu se' la prima fralli Ré superbi,

che pieghi alla ragion l'altera fronte,

alla ragione a' vostri par ignota

o non dalla forza ancor distinta:

sozza non fu la lingua mia giammai

dal basso stil d'adulatori iniqui,

il ver ti dissi ognor, Regina, il sai,

e tel dirò finché di vita il filo

lasso, terrammi al tuo destino avvinto

cieco amor, vana gloria, al fin t'han spinto

a duro passo, e non si torce il piede,

altro scampo Photino oggi non vede

fuorché nel braccio e nell'ardir d'Antonio,

di lui si cerchi, a rintracciarlo volo

non men di lui parmi superbo, e fiero

ma assai piú ingiusto il fortunato Ottavio,

ah se l'aspre querele, e i torti espressi

sotto cui giace afflitta umanitade,

se vi son noti in ciel, saria pietade

il fulminar color che ingiusti e rei

vonno quaggiú raffigurarvi, o dei. (Parte)

scena terza Cleopatra, e Lachesi

LACHESI

O veridico amico, o raro dono

del ciel co' Regi di tal dono avari.

CLEOPATRA

Veri, ma inutil foran i tuoi detti

se piú d'Antonio il braccio invitto a lato

non veglia in cura della gloria mia,

disperata che fo? dove m'aggiro?

A infame laccio, a servil catena,

tenderò, dunque umile e supplicante

e collo e braccia, al vincitore altiero?,

Questi che già di sí bel nodo avvinti,

nodo fatal, funesto amor! che pria

tua serva femmi, e poi di tirannia.

LACHESI

Signora, ancor della nemica Corte

tentati ancor non hai li guadi estremi

forse, chi sà, s'alle nemiche turbe

avesse la Fortuna volto il dorso,

se Antonio coi guerrier fidi ed audaci,

rientrando in sé, dalle lor mani inique,

non strappò la vittoria

CLEOPATRA

Ah nò che fido

solo all'amor, piú non curò d'onore:

l'incauta fuga mia tutto perdette,

sol sconsigliata io fui, sola infelice,

almeno del Ciel placar potessi io l'ira

ma se a pubblico scorno ei mi riserva,

saprò con mano generosa, e forte

forse smentire i suoi decreti ingiusti:

non creder già, che sol d'amante il core

alberghi in sen, ch'ancor quel di Regina

nobile, e grande ad alto fin m'invita,

l'infamia ai vil, morte all'ardir si aspetta,

dubbia non è fra questi due la scielta,

ma almen, potessi, ancor di Marco,

dimmi, nol rivedrò? per lui rovino,

lassa, morir senza di lui degg'io?

E su questo bell'andare proseguiva questo bel dramma, finché vi fu carta: e pervenne sino a metà della prima scena dell'atto terzo, dove o cessasse la cagione che facea scriver l'autore, o non gli venisse piú altro in penna, rimase per allora arrenata la di lui debil barchetta, troppo anche mal allestita e scema d'ogni carico, perch'ella potesse neppur naufragare.

E parmi che i versi fin qui ricopiati sian anche troppi, per dare un saggio non dubbio del saper fare dell'autore nel gennaio dell'anno 1774.

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