CLEOPATRA PRIMA
Abbozzaccio
scena prima Lachesi, Photino
PHOTINO |
Della mesta regina i strazi e l'onte chi nato è in riva al Nilo ormai non puote di piú soffrir, alla vendetta pronte foran l'Egizie genti, ove il consiglio destar potesse un negghitoso core ché alla vendetta non pospone amore; |
LACHESI |
Sconzigliata a te par l'alma regina, son questi i sensi audaci e generosi del tuo superbo cuor, ma piú pietosi gira ver ella i lumi, e allora in pianto forse sciogliendo i detti giusti e amari vedrai che pria fu donna e poi regina vedrai |
PHOTINO |
T'accheta, non fu doglia pari a quella che mi strugge, e mi consuma, de' Tolomei, l'illustre ceppo ha fine, con lor rovina il sventurato Egitto, benché di corte all'aura infida, nato nome non è per me finto, o sognato quel bel di patria nome, che nel petto, invan mi avvampa, qual divino fuoco; ma de' stati la sorte allor che pende da un sol, quell'un tutti infelici rende. |
LACHESI |
Inutili riflessi: ora fra' mali sol fia d'uopo il minor, possenti Dei, voi che de' miseri mortali reggete colassú le vite, e i fati ah pria di me, se l'ire vostre io basto tutte a placar, il pronto morir sia, la vittima dell'infelice Antonio il rio destino dove mai, ma che vedo, ecco s'avanza Cleopatra, turbata. |
scena seconda Cleopatra, Photino, Lachesi
CLEOPATRA |
Amici ah se albergate ancor pietade, nel vostro sen, se fidi non sdegnate, voi ch'alle glorie mie parte già aveste, esser a mie sciagure ancor compagni, deh non v'incresca il gir per mare per monti, o piani, o selve meco in traccia di chi piú della vita ognor io preggio. L'incauto piè dal vacillante trono rimosse amor, il vincitor già veggio alla foce approdar sull'orme audaci d'un'ingiusta fortuna, a morte pria amor mi meni che a scorno o ad onta ria. Questi, lo so, son d'infelice amante non di altiera Regina, i sensi, e l'opre. Forse m'han scelto i Dei per crudo esempio, per far toccar alla piú rozza gente che talor chi li regge, indegno, ed empio fanne, per vil passion, barbaro scempio. |
PHOTINO |
Signora, il tuo patir, non che a pietade, ma ad insania trarria uomini e fere, e qual fra i poli adamantino core resisterebbe a' tuoi aspri lamenti, il fallo emendi, in confessarlo, e forse tu se' la prima fralli Ré superbi, che pieghi alla ragion l'altera fronte, alla ragione a' vostri par ignota o non dalla forza ancor distinta: sozza non fu la lingua mia giammai dal basso stil d'adulatori iniqui, il ver ti dissi ognor, Regina, il sai, e tel dirò finché di vita il filo lasso, terrammi al tuo destino avvinto cieco amor, vana gloria, al fin t'han spinto a duro passo, e non si torce il piede, altro scampo Photino oggi non vede fuorché nel braccio e nell'ardir d'Antonio, di lui si cerchi, a rintracciarlo volo non men di lui parmi superbo, e fiero ma assai piú ingiusto il fortunato Ottavio, ah se l'aspre querele, e i torti espressi sotto cui giace afflitta umanitade, se vi son noti in ciel, saria pietade il fulminar color che ingiusti e rei vonno quaggiú raffigurarvi, o dei. (Parte) |
scena terza Cleopatra, e Lachesi
LACHESI |
O veridico amico, o raro dono del ciel co' Regi di tal dono avari. |
CLEOPATRA |
Veri, ma inutil foran i tuoi detti se piú d'Antonio il braccio invitto a lato non veglia in cura della gloria mia, disperata che fo? dove m'aggiro? A infame laccio, a servil catena, tenderò, dunque umile e supplicante e collo e braccia, al vincitore altiero?, Questi che già di sí bel nodo avvinti, nodo fatal, funesto amor! che pria tua serva femmi, e poi di tirannia. |
LACHESI |
Signora, ancor della nemica Corte tentati ancor non hai li guadi estremi forse, chi sà, s'alle nemiche turbe avesse la Fortuna volto il dorso, se Antonio coi guerrier fidi ed audaci, rientrando in sé, dalle lor mani inique, non strappò la vittoria |
CLEOPATRA |
Ah nò che fido solo all'amor, piú non curò d'onore: l'incauta fuga mia tutto perdette, sol sconsigliata io fui, sola infelice, almeno del Ciel placar potessi io l'ira ma se a pubblico scorno ei mi riserva, saprò con mano generosa, e forte forse smentire i suoi decreti ingiusti: non creder già, che sol d'amante il core alberghi in sen, ch'ancor quel di Regina nobile, e grande ad alto fin m'invita, l'infamia ai vil, morte all'ardir si aspetta, dubbia non è fra questi due la scielta, ma almen, potessi, ancor di Marco, dimmi, nol rivedrò? per lui rovino, lassa, morir senza di lui degg'io? |
E su questo bell'andare proseguiva questo bel dramma, finché vi fu carta: e pervenne sino a metà della prima scena dell'atto terzo, dove o cessasse la cagione che facea scriver l'autore, o non gli venisse piú altro in penna, rimase per allora arrenata la di lui debil barchetta, troppo anche mal allestita e scema d'ogni carico, perch'ella potesse neppur naufragare.
E parmi che i versi fin qui ricopiati sian anche troppi, per dare un saggio non dubbio del saper fare dell'autore nel gennaio dell'anno 1774.