[15] AL MEDESIMO

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Revel, 17 giugno 1739.

Il giorno dieci, come io le scrissi, mylord, noi salpammo da Helsingor; e ciò fu in compagnía di quaranta o cinquanta vele che ben presto furono da noi lasciate per poppa. Un’ora dopo lasciammo all’est la isola di Huen, o sia Uranibourg, già residenza di Ticone. Ella sa, mylord, il pellegrinaggio che vi fece il Picart, e come in questa isola celeste non vi sono che due mezzo scassinate capanne, e quasi niun vestigio di quella sua specula, le cui osservazioni, benchè fatte innanzi al cannocchiale, sono ancora un’epoca dell’astronomia. Di grande importanza è la situazione di quella isola, come quella che imbocca il Sund, e gli è a cavaliere. Pare più fatta per avervi un forte e dell’artigliería, che una specula con degli astrolabj: tanto più che, quantunque sorga arditamente dal mare, l’orizzonte intorno non è così libero, quale un astronomo desiderar potrebbe e aspettar dovrebbesi da un’isola.

Alle due ore fu da noi quasi rasentata la città di Copenaghen, e ne fecero notare i marinaj esser ivi l’acqua più trasparente, che altrove. Ci mostrò nel suo porto Copenaghen da trenta navi da guerra su’ loro cantieri, e [16] le mi parvero le più belle fabbriche che io ci vedessi. Torreggia in mezzo alla città il palazzo del re novellamente edificato, che dicono sarà cosa reale. Costeggiammo anche un poco la isoletta di Amac, che è l’erbario di Copenaghen, e le manda ogni mattina di che condir le sue zuppe. Una parte ne è abitata dagli Olandesi. Dicono che avendo Cristiano II menata Isabella di Carlo V, egli scrivesse all’arciduchessa Margherita di lei zia, che gli mandasse qualche Fiamminghi dabbene valenti nel coltivare gli ortaggi. E ciò, perchè fosse la tavola della regina messa con maggior dilicatezza. Le mandò l’arciduchessa alcune famiglie olandesi, che hanno alloggiato quivi, come a Versaglia quelle de’ gondolieri veneziani venuteci a tempo di Luigi XIV.

Dall’isoletta di Amac, dopo aver dato dolcemente in terra per ischivare un banco chiamato il Draker, passammo dinanzi ad Humblebeck, luogo posto a sette miglia da Copenaghen, dove sbarcò Carlo XII, quando in età di diciott’anni egli assediò per terra e bloccò per mare quella capitale. E poco prima eravamo con la nave passati colà dove Carlo XI passò con l’esercito il mare a piè secco, e diede quel memorando esempio di affidar a una crosta di ghiaccio sè e le forze del suo regno. Girando poi verso l’est, noi voltammo molto da largo il capo Falsterbò posto nella Scania, uno de’ più pericolosi siti del Baltico, non senza gettare di tempo in tempo lo scandaglio in quelle medesime acque che l’avea tante volte gettato il Czar Pietro, allorchè nel 1716 [17] egli scandagliò tutte queste coste, a che riuscì il comando che gli deferirono i Danesi, gli Olandesi e gl’Inglesi delle loro flotte combinate in questi mari con la Russia.

Così noi, dopo superato il Scha-Rif fino a quello di Falsterbò, navigammo tra due nazioni, che, per essere altre volte state unite, sono ora più divise che mai. Grandissima tra di loro è l’animosità. Il mare è il campo di gloria degli uni; la terra degli altri. Gli Svezzesi in effetto pare esser debbano più atti alla milizia, nati in paese sterile, montuoso, tra le miniere del ferro; e più atti i Danesi alle cose di mare, come quelli che abitano una quantità d’isole, e posseggono la Norvegia tutta marittima e posta sull’oceano. Può fornire essa sola al re di Danimarca da sedici mila de’ più valenti marinaj, oltre a quattro mila ch’egli ha sempre pronti a Copenaghen. Ella sa per altro, mylord, quanto da alcuni anni in qua si sieno rivolti gli Svezzesi al mare, alle manifatture, ai traffici. Sono queste le arti che veramente allignano ne’ paesi liberi, come ora è la Svezia. E noi pur lasciammo il Parlamento d’Inghilterra in gran moti pel regolamento fatto novellamente a Stockolm, onde vengono ad essere sbandite dalla Svezia tutte le manifatture forestiere. Cosicchè se la Inghilterra continua a prendere dagli Svezzesi il ferro, avrà con esso loro un commercio passivo di trecento mila lire sterline l’anno, che prima, come a lei è ben noto, era solamente della metà. E cotesto lor [18] ferro fan quanto sanno per venderlo a’ forestieri bello e lavorato. Incredibile, ne diceva il Consolo inglese residente a Helsingor, è il numero de’ vascelli svezzesi che navigano presentemente; dove a’ tempi del despotismo se ne vedeano ben di rado. Se ne può far ragione da quei secento che passano ogni anno il Sund; nel qual numero non entran quelli che trafficano solamente dentro al Baltico, e quelli che sciolgono da Gottemburgo, posto al di là del Sund. Un bello provvedimento, tra gli altri, han fatto gli Svezzesi: che in tempo di pace sia lecito a un uffiziale della marina montare un vascello mercantile per addestrarsi alla navigazione; ed ha molta conformità con quel loro antico provvedimento, che lavorino e zappino la terra in tempo di pace i soldati che sono descritti nel ruolo. Ogni provincia ha i nativi suoi reggimenti: e lo Stato dà agli uffiziali una casa e una porzione di terra: essi si stanno e vivono in mezzo a’ loro soldati, come già l’abate tra’ monaci, per unirgli, esercitargli a certi tempi, e passargli in rassegna. E un tal ordine volea negli Stati di Casa di Austria introdurre il conte di Montecuccoli, che fu lungo tempo prigioniero degli Svezzesi nella guerra di trent’anni.

Ma d’un parlar nell’altro ove son ito
Sì lungi dal cammin ch’io facev’ora
Non lo credo però sì aver smarrito,
Ch’io non lo possa ritrovare ancora.

Passato Falsterbò, costeggiammo il dì undici l’isola di Bornholmo; il dodici l’isola di [19] Gothland; vedemmo il tredici l’isoletta del Fare; e il giorno quattordici, dopo una calma di poche ore, sorse con un po’ di venticello una foltissima nebbia: cosicchè per non dare contro l’isola di Drago posta all’imboccatura del golfo di Finlandia, e che non lungi trovavasi da noi, si fece terzaruolo. Procedeasi lentamente e con lo scandaglio alla mano. Le profondità tutto a un tratto diminuirono; si voltò bordo per andar più a largo. Verso la sera il vento ingagliardiva, e continuava la nebbia, che è più pericolosa ne’ mari stretti, che non è ne’ larghi una burrasca. Io diceva al vento quello che Ajace a Giove:

Dissipe ce brouillard qui nous couvre les yeux,
Et combat contre nous à la clarté des cieux:

ma il diceva così sotto voce. I marinaj non vogliono che si parli gran fatto del vento, del cammino che si ha a fare; sono pieni di certe loro osservazioni, di ubbie: simili anche in questo a’ giuocatori. Gli uni e gli altri vorrebbon pur formarsi delle regole nelle cose più soggette al caso; vorrebbono avere dove attaccarsi. Finalmente si dileguò la nebbia, e noi entrammo nel golfo a mezza notte. Benchè il cielo non fosse sereno, l’aria era chiarissima; sicchè io poteva leggere a maraviglia. Verso il solstizio estivo il grado di chiarezza è in questo clima in sulla mezza notte, quale è in Italia nella medesima stagione un quarto d’ora dopo tramontato il sole. E se qui non si può dire (come dicono coloro che nel mar glaciale vanno alla pesca della balena): A mezza [20] notte bellissimo sole; si può almeno dire: A mezza notte bellissimo chiaro. E senza tali notturni chiarori saría impossibile navigare questi mari stretti, e sparsi in oltre qua e là d’isole, di banchi e di scogli. Qual differenza tra le pianure ampie ed immense del loro oceano, e le angustie di questo Baltico, dove ogni giorno ti si presenta nuova terra! Il che se è dilettevole per il bel tempo, fa per il cattivo strignere i denti. E le so dire che da novembre a aprile ben poche navi ardiscono avventurarsi in quest’acque.

Il giorno quindici ci trovammo all’altura di Revel, non pensando punto di sbarcare in questa capitale dell’Estonia; come per arrivare di buon’ora in Russia, non isbarcammo neppure nella capitale della Danimarca, che certo ne faceva tutt’altro invito. Quando un buon venticello di sud-ouest, che ne gonfiava la vela, venne in un subito a cadere.

Il mare e questa nostra vita umana
Non hanno cosa lunga, nè sicura:
L’allegrezza e la speme è cosa vana,
Nè mai buon tempo lungamente dura.

E così, in vece di quel grazioso sud-ouest prese d’indi a non molto a soffiare con un impeto incredibile un nord-est che ci gittava dirittamente sulla costa; e che costa! Dio ne guardi ogni fedel navigatore. Buono adunque per noi che questo Revel lo avevamo ancora in faccia. Ne ricevè egli dentro al suo seno, non senza tema di dare in certi scogli che fan corteggio all’isola di Ulfsoon, che ne è all’imboccatura. La nebbia non ce gli lasciava [21] distinguere; e noi non ce ne fummo accorti, che nel rasentargli.

Objectae salsa spumant aspergine cautes.

Qui adunque demmo fondo jeri alle sette ore, a un miglio circa dalla città. Il tormento fu tutta notte grandissimo, essendo questa spiaggia, più che da altro vento, battuta da questo maladetto, al quale per altro essendo io in porto, diceva come quel Paladino:

Soffia pur vento, se tu sai soffiare.

Graziosissimo è il modo con cui andammo a terra. Nelle fortune di mare lo schifo si ritira dentro alla nave, e si tiene sovra coverta: quivi esso era a quel tempo; e in esso schifo entrammo mylord ed io (chè agli altri non piacque questa gentilezza marinaresca), il timoniere, quegli che avea da issar la vela, che era già bella e ammannita a’ piedi dell’albero dello schifo, alcuni altri marinaj verso la prua con certi spontoni in mano puntati a orza; ognuno fermo e immobile al luogo suo. La cosa dovea eseguirsi a tutto rigore e a tempo di battuta. Da poppa e da prua dello schifo aveano ben raccomandati i capi di due funi, l’una di otto in nove braccia, e l’altra di assai più, che venivano ad annodarsi insieme. La fune più lunga passava dipoi per la carruccola che è alla punta dell’un corno dell’antenna dell’albero di maestra; la qual punta, essendosi alquanto tirata addentro l’antenna, rispondeva sopra coverta. Al capo di essa fune erano alcuni marinaj, che, data una voce [22] insieme con lo schifo ci tirarono su in aria. Sporto dipoi il corno dell’antenna con essonoi che vi eravam pendoli sopra l’acqua, si aspettò che l’onda che flagellava di continuo la nave, rotta dalla nave medesima si spianasse; ed ecco che al dare di un’altra voce lasciano correre il capo della fune; e noi e lo schifo non più in aria, ma in acqua. I nostri marinaj, che erano pronti cogli spontoni, puntan tosto con essi nel corpo della nave e rivoltano verso terra la punta dello schifo. Issa altri nel medesimo tempo la vela; il timoniere governa con molta destrezza il nostro legno assalito da onde per ben tre volte più grandi, che non era esso legno che le solcava; e noi prendiam terra in un batter d’occhio.

Appena furono in passando da noi veduti un assai bel molo, che forma il porto di Revel con sopra moltissima artigliería, e due altre batteríe a fior d’acqua che assicurano da’ nemici la bocca di esso porto. Non tanto considerabile son le altre sue fortificazioni. Sta quivi la maggior difesa di Revel verso terra; nè sono di lunga mano così importanti, come a Riga, capitale della Livonia, e da questa banda frontiera dell’imperio. Quali esse sieno, le vanno ora riparando, e vi si aspetta alla giornata un convoglio di abili lavoratori. Sarà esso composto di secento schiavi turchi e di altri secento malfattori cristiani che vengon di Russia. Piuttosto che appiccar per la gola un reo di morte, lo condannano quivi, come già in Egitto, a lavorare in vita; e quello che sarebbe riputato in Inghilterra un troppo orribile [23] esempio, non è sotto un tal cielo sufficiente castigo a contenere un popolo che ignora sino al nome della libertà; di quella celeste Dea, che, secondo il loro poeta ministro di Stato, rende ameni e ridenti i deserti e le rocce de’ paesi ov’ella degna abitare.

Di tre reggimenti è composto il presidio della città. I soldati non sono di statura molto alta, ma quadrati e robusti e ottimamente disciplinati. Ci dissero esservi mescolati non pochi Tartari condotti prigionieri di Crimea. Ella può credere, mylord, con che occhi io guardava soldati, che a memoria nostra si può dire hanno fornito tanta materia alle istorie. Un mercante inglese per nome Cleiss, accasato qui in Revel, che è il nostro antiquario, vedendomi fermare di tanto in tanto a contemplar questi soldati, mi disse, quasi come Virgilio a Dante:

Non ti curar di lor, ma guarda e passa;

chè a Petroburgo veduto ben avrei altra soldatesca.

Ci piacque ancora oltremodo di veder l’ammiragliato che è qui; dove però si racconciano soltanto e si carenan le navi, non si fabbricano. Capo di esso è un certo Oliver inglese, buon architetto navale, a quel che dicono. Di parecchie instruzioni cì egli è stato cortese per il restante del nostro cammino. Vengono molto al nostro uopo; perchè de’ marinaj che sono a bordo, un solo ha navigato il Baltico; e questo nostro Palinuro tra per la età e per l’acquavite, è quasi smemorato; e le carte marine non [24] le troviamo esatte gran fatto. Alcune instruzioni ce le ha date ancora il capitano di una fregata, che è sempre di guardia a Revel. Questo fu il primo vascello da guerra russo che io vedessi in vita mia. Non ha invidia a un inglese; e fa una assai bella vista la divisa, di che, sull’andare di quella de’ soldati, sono anche qui rivestisti i marinaj egualmente che in Danimarca.

Non ostante i vascelli da guerra, l’ammiragliato, il presidio, le fortificazioni, i cannoni, questo popolo benedice il governo, e forse è il solo che il faccia. Ma veramente egli ha di che. Tutti i privilegj di che godeva, quando sotto il regno di Carlo XII fu sottomesso dalla Russia, non solo furono allora confermati, ma vengono presentemente mantenuti. E quegli scrittori di Livonia che altre volte non fecero il panegirico de’ Russi, avríano ben ora da cantar la palinodía. Non hanno qui, per così dire, gravezza alcuna. La principal rendita dell’imperio in queste parti la si ricava da certe terre chiamate della Corona, e che altre volte appartenevano alla Svezia. Si governano con le proprie leggi; e sono quelle di Lubecca; poichè Revel un tempo era tra le anseatiche. Conserva ancora una compagnía di soldati sua propria, che la notte tramezzati co’ Russi fanno la ronda della città. Qui appena si sa che l’imperio è alle mani co’ Turchi. Nulla contribuiscono per la guerra, e su gli affari di Stato un altissimo silenzio. Chi cercasse ne’ caffè di Revel le gazzette e i fogli politici, come a Londra, avrebbe mille torti. Se qualche [25] novella perviene qui de’ loro eserciti, l’hanno i mercanti per via di Amburgo. Quando però io le parlo, mylord, della felicità di questo popolo, non vorrei già io ch’ella vi comprendesse quella parte tanto più numerosa delle altre, che lavora la terra, e che tanto fu da Virgilio predicata felice. I contadini sono schiavi qui, come in Polonia ed in Russia. Il padrone gli vende, come il bestiame. Non si dice già qui: Un tale ha tanto di entrata in contante; ma come in Russia: Un tale ha tanti mila contadini; e si fa ragione che al signore della terra renda un rublo l’anno ogni testa di contadino. E di vero uno sarebbe tentato a dire che non si confacesse gran fatto con l’aspetto di costoro tanta felicità. Orribili a vedersi: dira illuvies, immissaque barba. Le donne, passato il fior di gioventù, perdono i lineamenti femminili, e nelle fattezze, come nell’abito, rassomigliano al genere maschile.

Ben risponde alla maggior parte degli abitanti del paese la città. Le case hanno più tosto sembianza di granaj, che d’altro; forse per essere il grano il maggior traffico del paese. Vi è in grande abbondanza e di qualità perfetta. Lo vengon qua a caricare Svezzesi, Danesi e Olandesi; e questi ultimi vi portano in cambio, tra le altre, gran quantità di sale sino dal Mediterraneo. Un gran consumo se ne fa in Russia, dove l’ordinario alimento del più del popolo e dei soldati è pane e sale. Non si crederebbe per altro così a prima vista che di un tal genere potesse aver bisogno chi è posto sul mare. Se non che la [26] salsedine di esso va in proporzione del calore del clima; e le acque del Baltico verso quelle de’ nostri mari si potrebbono quasi chiamar dolci. Nelle parti meridionali della Russia dal Caspio fino a Mosca, e anche più in qua, fanno col sale che vien loro da Astracan. Ma nelle parti settentrionali ce lo portano dai paesi caldi i forestieri. Vi portano altresì tabacco; mera superfluità americana, che è arrivata a fare tanta parte delle rendite degli Stati europei; e ne trasportano, oltre al grano, canape, lino e legnami.

Il più gran traffico di queste parti è a Riga, dove alcuni anni si contano al di là di dugento navi solamente olandesi. In gran numero ne vengono altresì di Svezia. Erano queste province della Estonia e della Livonia, e sono tuttavia per gli Svezzesi la Sicilia e l’Egitto. Senza esse non potrebbon fare; e per accordo fermato colla Russia nel Trattato di Aland è loro dato di estraerne ogni anno tante migliaja di moggia di grano senza pagar gabella alcuna.

In mezzo a questi granaj di Revel mi ha non poco sorpreso un arco di trionfo di legno eretto già in onore di quella Caterina che al Pruth salvò il Czar e l’imperio, e fu degna di succedere a Pietro il Grande. Il disegno di quest’arco e il gusto delle iscrizioni che vi lessi, mi tornò a mente in mezzo al norte il mezzo dì dell’Europa.

Non poco ancora mi ha sorpreso una sorta di tè che ho bevuto qui co’ fiori ancora sullo stelo, di una fraganza soavissima, of delicious [27] flavour: tanto più che non mi parea cosa da questa terra appena libera dalle nevi, e dove, benchè nel mezzo di giugno, appena incominciano gli alberi a muovere e andare in succhio. Cotesto tè viene a Petroburgo per terra colla carovana della Cina. Vogliono che per questo appunto si conservi così fresco. Essendo pianta dilicatissima, l’odor della sentina della nave lo corrompe alcun poco, come il tabacco di Spagna è facilmente viziato da qualche odore egli senta. Io le ne mando, mylord, una mostra, come a dilettantissimo e quasi professore di tè. E mi rimbarco sullo schifo, ma con mare più placido, per risalir nella nave e proseguire il nostro cammino.

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