Viaggi di Russia

Francesco Algarotti

LETTERE

SULLA RUSSIA

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A MYLORD HERVEY

VICE CIAMBELLANO D’INGHILTERRA A LONDRA

Helsingor, 10 giugno 1739.

Dopo diciannove giorni di fortunosa navigazione, ecco finalmente che abbiam dato fondo nel Sund. E già parmi esser certo, mylord, che per assai meno accidenti che noi non incontrammo in questo nostro tragitto, furono fatti e si faranno tuttavia dei giornali. Ogni viaggiatore, ella ben sa, facilmente si persuade, e sì vorrebbe persuadere altrui, che i mari ch’egli ha corso, sono i più pericolosi; che le corti ch’egli ha veduto, sono le più brillanti del mondo; e non manca di tenere di ogni cosa un esatto registro.

Io potrei incominciare anch’io dal narrarle che il dì ventuno del passato mese femmo vela da Gravesend sulla fregatina o galea The Augusta, che, come il fasello di Catullo, potrà dire quando che sia, fuisse navium celerrimus. Il vento era est; brutto augurio per il nostro [6] viaggio. L’augurio migliore era il mio mylord Baltimore padrone della nave, anima candidissima, come ella sa; e la compagnía che vi trovammo a bordo. Era questa formata di un giovane Desaguliers, che suo padre mandava in mare perchè apprendesse la pratica della navigazione, e del signor King rivale del Desaguliers medesimo, che avea a mylord chiesto il passo per Petroburgo, sperando di far quivi un corso di fisica sperimentale a quella imperadrice, che non so quanto avrà fantasia di vederlo. Onde ella può ben credere che non siamo senza un bello apparato di macchine per dimostrare a tutte le Russie il peso dell’aria, la forza centrifuga, le leggi del moto, la elettricità, gl’inventi e i giocolini della filosofia.

Non siamo neppure, che è assai meglio, senza una buona provvisione di limoni e di scelti vini: e ciò che è il componimento d’ogni delizia, in nave inglese il cuoco è franzese.

Da lì a poche ore dello aver salpato gittammo l’áncora, potrei continuare, a due o tre miglia da Shirnesse, dove gli Olandesi nelle guerre ch’ebbero con Carlo II vennero a mettere il fuoco a’ vascelli che ivi si trovavano. E mi ricordai allora di quei versi di Barnwell, che paragonano Nerone, che, mentre ardeva Roma, suonava la lira, e il re Carlo, che suonava, vedendo arder la sua flotta, non so che altra sonata.

Il dì ventidue convenne di nuovo gittar l’áncora in faccia di Harwich non lontano dallo Spigwash, dove fecero naufragio il re Jacopo e il duca di Malborough, e fu vicina a perire [7] la gloria del nome inglese. Nullum sine nomine saxum si può dire di cotesti suoi mari, in altro senso che si dice della campagna di Roma.

La più memorabil cosa che sino allora ci avvenisse, fu di trovarci quasi in mezzo a una flotta di carbonaj che facevano vela a Newcastle. La strana cosa che è una simile flotta! Le navi sono tutte nere, neri i marinaj, nere le vele, ogni cosa è nero. Si direbbe che è la flotta di Satanasso. Ma il fatto è che cotesti vascelli carbonaj, che montano, mi fu detto, per lo meno a quattrocento, non sono di minore importanza di quelli che vanno alla pesca de’ merluzzi sul banco di Terranuova. Contengono il seminario della marinaresca inglese; e con saggio consiglio fu dal loro Parlamento provveduto che il carbone non si dovesse altrimenti dalle miniere di Newcastle carreggiare per terra. Dalla quantità poi e dalla mole di simili vascelli ben si comprende il gran consumo che se ne fa nelle parti meridionali del regno; e come, mercè l’ajuto principalmente di una tassa posta sul carbone, siasi nello spazio di soli trentacinque anni edificato S. Paolo, che costò poco meno di un milione sterlino.

Il giorno ventitrè lasciammo Yarmouth e la Inghilterra per poppa: terræque, urbesque recedunt. E in quel giorno ebbi per la prima volta in mia vita, non so se dica il piacere o il dispiacere di vedermi come isolato nel mondo. Altro non si vedeva intorno, nisi pontus et aër. Il vento venne sud-ouest verso la sera, che era un piacere: si gittò il log; e domandato quanto cammin facessimo, mi fu risposto, due leghe l’ora. [8] Mi accorsi che usciti in alto mare non più si parlava a miglia, come nel Tamigi, ma a leghe. E mi parve che i marinaj che sono simili ai giuocatori per le gran fortune che corrono, sono anche loro simili in questo, che non si perdono a contare così per minuto.

In mezzo a tali riflessioni cangiò la scena, come era dovere. Chi va in mare, aspetti mal tempo. Io non le starò a far la descrizione di una burrasca che ci sbattè per sei giorni continui. La potrà vedere in Omero, o in Virgilio; e creda pure, mylord, che non mancò il terque quaterque beati per coloro ch’erano in terra. Nè mancò il que diable alloit-il faire dans cette maudite galère? quando io mi vedeva ora in cima, ora in fondo di una gran lama di acqua; quando io vedeva l’oceano trasformato, per quanto arrivava l’occhio, in nove o dieci vastissime montagne ben differenti dalle collinette, dirò così, del nostro mediterraneo. Basta, che dopo aver navigato qualche tempo per afferrare Newcastle, si mutò consiglio; e il giorno trenta si venne finalmente a surgere all’isola di Schelling in Olanda, e il dì seguente ad Harlinguen, assai meglio provista delle cose necessarie alla vita che non è Schelling.

Delle città della Olanda, ella ben il sa, mylord, che si può dire: Vedine una, vistele tutte; casamenti per tutto della stessa maniera, strade a filo, alberate, canali, nettezza che va allo scrupolo, e i terrapieni delle mura tenuti come un giardino in Inghilterra. Tale è Harlinguen, donde, fatte nuove provvisioni, levammo l’áncora il primo di questo mese. E [9] con buon vento di sudouest usciti dalle seccagne e da’ buoys, che anche su quelle coste ne è dovizia, femmo da tre buone leghe l’ora fino alla mattina del seguente dì. Quando in un subito (vegga anche qui Virgilio sul bel principio)

. . . . . . . stridens aquilone procella
Velum adversa ferit; tum prora avertit, et undis
Dat latus, insequitur cumulo praeruptus aquæ mons.

Il mare combattuto da due venti entrava per tutto e ci assaliva da ogni parte. Uno dei pezzi di ferro di che è composta la zavorra, per la grande agitazion del navilio, era sdrucciolato a orza. Non ci era via di rimetterlo in suo nicchio; il bastimento orzava sempre, e riceveva più acqua che non se ne potea trombare. Erasi già preso di tagliar la metà dell’albero di maestra, che per la straordinaria sua altezza dava al corpo della nave un grandissimo grezzo, quando il mare ricominciò a rimettersi in calma, e divenne quasichè spianato il dì quattro. Il dì cinque, buon vento; il sei, si giudicò da un’osservazione dell’altezza del sole, non però molto esatta, che noi fossimo a cinquanta otto gradi di latitudine; e verso sera fu da noi veduta a sud-est la terra di Jut; ma non si potè dipoi a cagion della nebbia da noi vedere il Scha-Rif. E cotesto Scha-Rif, che è la punta del Jutland, la quale spartisce le acque dell’oceano e del Cattegate, da noi si cercava, le so ben dire, e cogli occhi e col cuore. Finalmente averlo noi superato ce ne avvertì jer l’altro lo scandaglio. Jeri lasciammo dal [10] lato mancino, volli dire più propriamente all’est, le montagne e la costa di Halland tanto terribile a’ naviganti, perchè si ficca giù a piombo in mare, senza lido e senza tenitore: e a quattr’ore dopo il mezzodì demmo fondo qui a Helsingor.

Tutte queste cose, mylord, potrei narrarle, se io volessi fare il giornale del nostro viaggio. E non gli mancherebbono a un bisogno degli ornamenti o ricci scientifici. Potrei dirle, per esempio, che il ventitrè del passato mese verso la mezza notte apparve un’aurora boreale in guisa d’arco, la cui sommità guardava l’ouest, venendo, per quanto io ne potei fare stima, ad essere intersecata dallo azimuth della declinazione della bussola, che cade dal’ouest di dieci a dodici gradi. E ciò consuona con quanto io udii già a Greenwich dal vecchio loro Eudosso, dall’Hallejo, che co’ poli di quel suo terrestre nócciolo va trovando delle relazioni, così della direzione della calamita, come della emissione di quel vapore che forma le aurore boreali.

Potrei dirle ancora, che un giorno di calma fece il signor King con gran destrezza la notomia dell’occhio di un castrone. Il qual castrone fu poi cotto con egual dottrina dal nostro Martialò. Ce ne mostrò la coroide, ch’era verde; e verde parimente aggiunse essere il colore di cotesta tunica in tutti gli animali che pascono. Sarebbe forse, mylord, che avesse la natura formato in simili animali quella tunica atta solamente a riflettere i raggi verdi, perchè l’erba facesse una maggiore impressione [11] sugli occhi loro, perchè ci fosse come una maniera di attrazione tra essi e la cosa con che si nutrono e crescono? O pur sarebbe che, per lo continuo riflettere che fa quella tunica i raggi verdi, atta soltanto divenga a riflettere quei raggi, e non altri? Sappiamo le forze che ha l’abitudine anche sull’organico e sul fisico. Il suo antecessore Demostene non divenne egli a forza di esercizio abile a pronunziar nettamente la R, per cui era inabile da natura? E chi si mettesse a non ripetere che una sola parola, diverrebbe forse muto per tutt’altre.

Un’altra osservazione assai curiosa venne fatta anche a me questi passati giorni sull’ottica, la qual mostra che dagl’inganni de’ nostri sensi ne vengono il più delle volte regolati i giudizj della mente. Di due oggetti molto lontani il più illuminato, come a lei è ben noto, è giudicato il meno lontano. Due vele bordeggiavano l’una incontro dell’altra in grandissima distanza da noi. Sull’una batteva il sole, sull’altra no. La illuminata dal sole pareami la più vicina a noi. Ma quando furono amendue nella stessa linea col mio occhio, sparì la illuminata coperta dall’altra; e quella che secondo le regole io giudicava la più vicina, era forse di una mezza lega e anche meglio più lontana da noi.

Ma che le dirò io, mylord, di questa terra, di cui ella ha più vaghezza d’intendere, che delle venture e dei fenomeni di mare? Io vorrei trovare qualche bel passo di Virgilio per descriverle la bella situazione di Helsingor, come gli ho avuti belli e trovati per [12] descriverle le nostre burrasche. Il mare qui si ficca tra la Danimarca e la Svezia, ed è largo da due miglia appresso a poco, come il Tamigi a Gravesend; non ha corrente veruna, come hanno gli altri stretti; salvo se spiri norte o sud, ch’ei guarda per diritto; chè allora rapidissima è la corrente, e va ora per un verso ed ora per l’altro, secondo la balía del vento. Le coste della Svezia sono assai selvagge; domestiche all’incontro e amene sono le coste danesi, o sia del Zeeland: e se tali fossero altre volte state, già non le avrebbono abbandonate i Teutoni per cercar nuove sedi e dar briga ai nostri Marj. La verità si è, che al dì d’oggi potrebbono quasi gareggiare con le campagne d’Inghilterra. Bei boschetti, collinette dolci, prati che discendono sino al mare, un verde smeraldino. Sorge pittorescamente sulla spiaggia il magnifico castello di Cronembourg coperto di rame, che in mezzo alla sua cittadella signoreggia il Sund, e guarda come d’alto in basso la povera Helsenberg, che sulla riva opposta rende anch’essa il saluto a’ vascelli, ch’entrando nel Sund salutano il Dardanello danese. Povera veramente! se non che di una cosa può gloriarsi, ed è, di aver veduto dalle sue torri i veterani danesi disfatti da’ contadini di Svezia sotto la condotta dello Steinbock a’ tempi di Carlo XII.

Quantità di legni, forse un centinajo, sono qui all’áncora insieme con noi, parte che vanno, e parte che vengono; e ne arriva a ogni instante di nuovi. A questa spiaggia di Helsingor ci sta sempre di guardia una fregata danese che riscuote il peaggio; e questo monta [13] ogni anno a quasi trentamila lire sterline. Io leggeva questi passati giorni nella Relazione della Danimarca di mylord Molesworth, che le città anseatiche del Baltico pagavano altre volte a’ Danesi un tanto; sì veramente che da essi fossero su questa spiaggia mantenuti alcuni fanali. Nella stessa guisa che da’ vascelli carbonaj pagasi ora in Inghilterra una maniera di contribuzione, se vogliono così chiamarla, a colui che ha pigliato la impresa di mantenere il faro fluttuante al Nord-Buoy; e quell’altro che è ancorato al banco di Dowzing in faccia alla costa di Norfolk. Le città anseatiche calando dipoi, e la Danimarca all’incontro crescendo di forze, ciò ch’era patto, s’è cangiato in diritto. E di quante simili metamorfosi, mylord, non si leggono nelle istorie, che altro non sono che gli annali dell’astuzia e della forza? Fatto sta che il re di Danimarca, padrone delle bocche del Sund, è nel Baltico quello che è ora in Italia il re di Sardegna padrone dell’Alpi. Il peaggio per altro che paga ciascun legno, regolato sul carico che porta, non è grandissima cosa. Egli è piuttosto il grandissimo numero di legni che passano ogni anno il Sund, che il fa montare così alto. Si fa stima che un anno con l’altro ne passino da due mila; seicento svezzesi, e questi per l’ultimo trattato con la Danimarca pagano anch’essi, che altre volte non pagavano; mille olandesi, i quali da loro marosi vanno nel Nord a cercar tavole, ferro, pece, canape, grano, quasi ogni cosa che è necessaria alla vita; tre o quattrocento inglesi; tre o quattro francesi, non più; alcuni [14] pochi di Lubecca, città ora molto decaduta dall’antico suo splendore; alcuni di Danzica, che fa ancora qualche figura; e due o tre russi, i quali, non molti anni fa, simili agli americani, ponevano la nautica tra le arti di un altro mondo.

Non lungi dalla nostra nave ha dato fondo questa mattina un vascello appunto di quella nazione con un grosso corpaccio alla olandese, il cui padrone è russo, e russa è pure tutta la ciurma, a quello che ci ha detto il capitano della fregata danese, uomo molto pulito e molto instrutto delle cose di questo emisfero boreale. Non posso dirle il piacere che io sento, mylord, a veder questi nuovi oggetti, che mi fanno credere di essere come trasportato in un altro mondo. Ci siamo qui rifatti con buone provvisioni, e, a casa il Console inglese, d’ogni disagio patito; in somma

Excepto quod non simul esses, caetera laetus.

Ma ecco che ci mettiamo in punto per salpare. Io chiudo questa mia, e la mando al Console, che gliela farà sicuramente pervenire a S. James. Non si scordi, mylord, di chi navigando al nord-est, pure di tanto in tanto rivolge gli occhi a quel rombo della bussola che a lei fra non molto mi ricondurrà.

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