Altius egit iter

L’ombra d’Icaro ancor pe’ caldi seni

del Mar Mediterraneo si spazia.

Segue di nave solco che piú ferva.

Ogni rapidità di vènti agguaglia.

Voce d’uom che comandi ama nel turbine.

Ode clamor di nàufraghi iterato

e n’ha disdegno, ché silenzioso

fu quel rimoto suo precipitare.

Io la vidi laggiú, verso l’occaso.

Era nel palischermo io co’ miei due

remi. A prora il mio Dèspota seduto

era, e guatava fiso la mia cura.

Tra quegli e me subitamente vidi

ignuda l’ombra d’Icaro apparire.

Quasi il color marino aveano assunto

le sue membra, ma gli occhi eran solari.

Sul petto giovenile intraversate

ancor gli stavan le due rosse zone,

già per gli òmeri vincoli dell’ale,

simili a inermi bàltei di porpora.

«O Dèspota, costui» dissi «è l’antico

fratel mio. Le sue prove amo innovare

io nell’ignoto. Indulgi, o Invitto, a questa

mia d’altezze e d’abissi avidità!».

(Data di composizione sconosciuta)

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