«Il Giorno» disse «non potrà morire.
Il suo sangue non tinge il bianco mare.
Mai la sua faccia parve tanto pura,
non ebbe mai tanta soavità.
Giace supino sopra il bianco mare,
sorride al cielo ch’ei regnava, attende
ei non sa quale morte o voluttà.
Pur tanto è dolce che la Notte oscura
non già lo spegne ma di lui s’accende,
e lui aurato nelle braccia prende,
lui cela nella sua capellatura,
ma non cosí che quelle membra d’oro
non veggansi pel fosco trasparire
e illuminare la serenità.
Caldi soffiano i venti al bianco mare,
calde passano e lente le riviere
in cuore alle terribili città,
passano e vanno per ignoti piani,
cingono ignoti boschi: i cervi a bere
scendono ansanti nella gran caldura;
lunghi bràmiti ascoltano lontani;
bevono: in qualche tacita radura
poi fino a morte si combatterà.
O Notte, o Notte, invano tu nascondi
ne’ tuoi capelli il dolce tuo nemico!
Non sono i tuoi capelli sí profondi
che non veggasi dai nostri occhi umani
fiammeggiarvi per entro il tuo piacere.
La terra oppressa respiro non ha.
Arde l’ombra. La vigna è come il vino:
il grappolo sul tralcio si matura
poi che il raggio nell’uva è prigioniere.
La terra soffre nell’ebrietà.
Arde come una glauca vampa l’ombra.
Aduna e vita e morte il bianco mare,
immensa cuna il mare, immensa tomba.
A lui dal monte la sorgente va.
Impallidisce sotto il pianto il coro
delle Pleiadi e l’una d’elle è occulta,
l’una che seppe la felicità.
Orione si slaccia l’armatura,
e Boote si volge, e Cinosura
vacilla; e l’Orsa anche impallidirà.
Oblia la Notte tutte le sue stelle
e il duolo antico degli amanti umani.
Che con lei piangeremo ella non sa.
O Notte, piangi tutte le tue stelle!
il grido dell’allodola domani
dall’amor nostro ci disgiungerà».
Un’altra era con noi, ma restò muta,
tra gli oleandri lungo il bianco mare.
(Composta nella notte del 2 agosto 1900)