IV.

E cosí della rosa e dell’alloro

parlò quell’Aretusa fiorentina,

mutevole onda con un viso d’oro.

la sua voce era come acqua argentina

che recasse lavandula o pur menta

o salvia o altra fresca erba mattutina.
Tutto rigato dalla schietta vena

«Sol d’oleandro voglio laurearmi»

io dissi. Ed Aretusa era contenta;

e recise per me altri due rami

e fe’ l’atto di cingermi le tempie

dicendomi: «Pe’ tuoi novelli carmi!

Che la cerula e fulva Estate sempre

abbia tu nel tuo cuore e in te le rime

nascano come le sue rose scempie!»

E il giorno estivo non potea morire,

ma sorrideva sopra il bianco mare

silenziosamente senza fine;

e la notte, che avea parte ineguale,

spiava il bel nemico dalle chiostre

dei monti azzurra come te, Cyane.

Ebri e tristi d’aver bevuto a troppe

fonti e incantato il cor per tutte guise,

cercammo il grembo delle donne nostre.

Ma la Melancolia venne e s’assise

in mezzo a noi tra gli oleandri, muta

guatando noi con le pupille fise.

Ed Erigone, ch’ebbe conosciuta

la taciturna amica del pensiero,

chinò la fronte come chi saluta.

E poi disse la Notte e il suo mistero.

Share on Twitter Share on Facebook