Lacus iuturnae

Settembre, chiare fresche e dolci l’acque

ove il tuo delicato viso miri;

e dolce m’è nella memoria il mio

natale Aterno in letto d’erbe lente,

e l’Amaseno quando muor domato

presso l’Appia col fratel suo l’Uffente,

e la Cyane ascosa tra i papíri,

e la Vella sí cara alla vitalba.

E pien di deità dai colli d’Alba

lo specchio di Diana ancor mi luce.

Ma un’altr’acqua al mio sogno è piú divina.

Quella m’attingi e ne riempi l’urna.

Sotto la roggia mole palatina

presso il Tempio di Castore e Polluce,

occhio di Roma è il Fonte di Iuturna.

Deh mio misterioso amor lontano!

Alte sul Fòro nel meridiano

silenzio stan le tre colonne parie

come d’argento cui salsezza infoschi.

Gli elci neri sul colle imperiale

sembran ruine dei primevi boschi.

Di ferrigno basalte arde la Via

Sacra tra gli oleandri giovinetti

e i sepolcreti dei Latini prisci.

Si tace il Fonte ne’ suoi marmi lisci

come quando Tarpeia la Vestale

vi discendea con l’anfora d’argilla.

Tremola il capelvenere sul tufo

e sul mattone, l’acqua è glauca, tinge

il suo letto lunense; una lucerta

su l’ara dei Diòscuri tranquilla

gode in grembo alla dea di lunga face.

Ombre delle farfalle in quella pace!

Poc’acqua accolta, santità dell’Urbe!

Le custodi del Fuoco sempiterno

scendono alla marmorea piscina?

o i Tindàridi rossi di latina

strage, per beverare i due cavalli?

Deh lauri nuovi! Presso il puteale

crescono, nel sacrario di Iuturna.

Li veglia la Speranza taciturna.

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