Lo stormo e il gregge

Settembre, teco io sia sul Loricino

che fece blandi gli ozii del pretore:

in sabbia quasi rosea fluisce

scabra di rughe e sparsa di negrore

come il palato del mio dolce veltro.

Sorvolano le rondini quel vetro

lieve cui godon rompere coi bianchi

petti: una piuma cade e corre al mare.

E di là dalle verdi canne i monti

di Cori son cilestri come il mare.

Forza del Lazio quanto sei soave!

Obliate città dei re vetusti,

atrii del Citaredo imperiale,

un bel fanciullo vien con le sue capre

e regna i lidi, impube re latino!

Il suo gregge è di numero divino,

nero e bianco a sembianza delle frotte

alate che sorvolano il bel rivo,

pari olocausto al Giorno ed alla Notte.

Quasi fiore l’esigua foce s’apre.

Equa ride alle rondini e alle capre.

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