Stabat nuda Æstas

Primamente intravidi il suo piè stretto

scorrere su per gli aghi arsi dei pini

ove estuava l’aere con grande

tremito, quasi bianca vampa effusa.

Le cicale si tacquero. Piú rochi

si fecero i ruscelli. Copiosa

la rèsina gemette giú pe’ fusti.

Riconobbi il colúbro dal sentore.

Nel bosco degli ulivi la raggiunsi.

Scorsi l’ombre cerulee dei rami

su la schiena falcata, e i capei fulvi

nell’argento pallàdio trasvolare

senza suono. Piú lungi, nella stoppia,

l’allodola balzò dal solco raso,

la chiamò, la chiamò per nome in cielo.

Allora anch’io per nome la chiamai.

Tra i leandri la vidi che si volse.

Come in bronzea mèsse nel falasco

entrò, che richiudeasi strepitoso.

Piú lungi, verso il lido, tra la paglia

marina il piede le si torse in fallo.

Distesa cadde tra le sabbie e l’acque.

Il ponente schiumò ne’ suoi capegli.

Immensa apparve, immensa nudità.

(Data di composizione ignota)

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