XX.

Così fu che la mattina dopo ella uscì dalla casa, di sotterfugio; e s'incamminò sola fuori del paese, per la strada nuova di Chieti.

Nelle vicinanze di San Rocco abitava Spacone. Sotto la maestà di una quercia druidica, egli compiva i miracoli e formulava i responsi. Tutto il contado, in venti miglia di circuito, ricorreva a lui, come a un apostolo della Provvidenza. Nelle epidemie del bestiame indigeno, mandre di bovi e di cavalli si raccoglievano in torno alla quercia per ricevere il talismano preservante dal morbo: le orme delle unghie equine e bovine facevano come un circolo d'incanti su l'erbe semplici del terreno.

Quando Giuliana s'incamminò, era nella terra pescarese un gran giuoco d'ombra e d'illuminazione. Le nuvole nòmadi trasmigravano dalla marina alla montagna, come carovane con buone salmerie d'acqua, per quel cielo arabico del mese di giugno. A intervalli, larghe zone di terra si sommergevano nell'ombra, altre zone emergevano illustrate; e come l'ombra era turchina e mobile, la campagna così dava l'apparenza di un arcipelago che galleggiasse copioso d'alberi e di fromento. Molto canto di uccelli letificava la maturità di biade.

Al primo spettacolo Giuliana ebbe una subitanea sensazione di ristoro; poiché la libertà della campagna, la felicità della luce su 'l fogliame, li odori cordiali dell'aria circondandole d'un tratto la persona le mossero il sangue, e la nuova speranza in lei al dispiegarsi dell'orizzonte si fortificò ed esultò. Ella, come sempre, si abbandonava ora all'influenza delle cose esteriori; si alleggeriva di tutte le angosce, viveva per due sentimenti soli, per la speranza della salvazione corporea e pe 'l desiderio di raggiungere la meta. In fondo, alla meta, ella vedeva nella sua fantasia sorgere il Vecchio benefico e illuminarsi misteriosamente. Per una nativa tendenza superstiziosa, ella trasformava quella figura, la ingigantiva e la vestiva di una dolcezza cristiana, la cingeva di nimbo. Allora tutte le dicerie che correvano tra il volgo le tornarono alla memoria confusamente e gittarono sprazzi di luce meravigliosa su la fronte di Spacone. Allora ella si rammentò che Rosa Catena, in un giorno lontano della malattia, aveva parlato del Vecchio con una reverenza devota citando miracoli. - Un cieco di Torre de' Passeri era andato a San Rocco ed era tornato dopo tre dì con li occhi che ci vedevano e con una cifra turchina su le tempia. Una femmina di Spoltore, invasa dalli spiriti maligni, era tornata mansueta come un'agnella, dopo aver bevuto due sorsi di un'acqua che stava in una piccola zucca secca.

Così a poco a poco, lungo il cammino, pe 'l concorso di tanti elementi sparsi si venne formando nella mente di Giuliana una specie di leggenda. E a poco a poco, giacché nulla possono li uomini senza l'assistenza di Dio, sorse anche la persuasione che il vecchio fosse un inviato del cielo, un redentore delle anime dalla dipendenza corporale, un distributore di grazie celesti su la terra ai caduti. - La speranza estrema non era discesa su la peccatrice improvvisamente, quasi per influsso divino, fra i segnali accesi nell'aria? E nella Pentecoste la colomba non aveva balenato dall'alto, alli occhi della pregante, un lampo di buona promessa?

La promessa ora si compiva nel santo giorno del Corpus Domini. Giuliana dunque, tutta calda di fede e di giubilo, andava su la polvere della via nuova, non curando la fatica dei passi. Ai due lati, le siepi biancheggiavano come coperte di escrementi d'uccelli. Gruppi di pioppi sonori stavano sui limiti; e i tronchi, come grandi pezzi di argenteria vecchia, riverberavano le variazioni della luce. Le contadine della Villa del Fuoco, nane, co 'l naso camuso, con le labbra schiacciate, femmine cafre dalla pelle bianca, venivano incontro a due, a tre. In torno, su l'immenso teatro della campagna le vicende delle nuvole gigantescamente si rappresentavano.

Giuliana passò il Mulino, passò la Villa: una energia nervosa le animava il passo. Ella si sentiva battere il vento su la nuca e sentiva su 'l capo a intervalli stormire i pioppi. Ma l'oscillare delle ombre e la polvere cominciavano a turbarle un poco la visione; il calore del moto le affluiva alla testa; la volontà era tutta occupata nell'insolito sforzo materiale dell'incedere. Ella così andò innanzi in una specie di stordimento crescente che si mutava in malessere; e, vinta dalla fatica e dal caldo, si lasciò allettare da un mucchio di olivi messi in salita a sinistra.

Passavano quattro o cinque zingari seminudi, bronzini, con qualche cosa di luccicante, su 'l petto, a cavalcioni di certi grandi asini rossastri. Uno di loro fischiava urtando con le calcagna il ventre della sua bestia. Tutti avevano in mano canne e portavano bisacce di pelle sulle cosce. Guardarono la donna rifugiata sotto li olivi e mormorarono poi delle parole ridendo.

Giuliana ebbe paura di quegli occhi che mostravano il bianco nello sguardo, e stette sbigottita fin che il gruppo non si allontanò. Lo scoraggiamento incominciava a impadronirsi di lei; la solitudine cominciava ad esserle inquietante, poiché nella campagna correva per lunghi brividi l'annunzio della pioggia e una certa solennità di silenzio scendeva nell'aria dalle nuvole raccolte. Ella s'era appoggiata a un tronco: a tratti, de' soffii freschi le investivano la persona e le gelavano il sudore nei pori, de' soffii che accorrevano a lei con 'l fruscio del passo di un animale su l'erba; mentre in torno il tremolìo del sole pareva un reverbero d'acque rinfrangenti o qualche cosa come il riflesso di una meteora lontana. Molti fiori d'un giallo pallido di zolfo facevano onda a pie' delli olivi.

Un ricordo scese allora dai buoni alberi su l'animo della donna. La chiesa era tutta piena di palme benedette e di aromi, quel giorno; ed ella andava tra il popolo sorretta dalle braccia di Marcello, in una gran dolcezza... Ma, come ella si soffermò in quel pensiero, uno smarrimento le prese la memoria; tutto le sfuggì in una incertezza di sogno. Soltanto, de' colpi sordi le batterono il cuore e dei sussulti di angoscia le affannarono il respiro. Ella aveva ora la sensazione ottusa di un sopore che le cadesse su 'l cervello con la pesantezza d'un colpo di maglio su la fronte di un bove. Un resto di volontà vigile le bastò a scuotersi debolmente e a discendere nella strada.

Le nuvole raccolte verso la Majella avevano preso il colore diafano e grigio di una massa pendula d'acque. Larghe trombe si avvicinavano dalla marina più cariche; e ancora qualche florido intervallo d'indaco si dilatava nell'alto. Un odore di umidità già saliva dalla polvere, saliva dalla campagna ansante nell'aspettazione. Li alberi immobili parevano assorbire la luce, si levavano anneriti in mezzo alla fumosità dell'aria, popolavano di forme incerte la lontananza.

Giuliana camminava con una fatica immensa, sentendo che le forze stavano per abbandonarla.

- Ecco, - pensava, - arriverò a quell'albero e poi cadrò.

Ma non cadeva. Si scorgevano a destra le case di San Rocco. Un contadino veniva in contro a corsa.

- Buon uomo, è quello San Rocco?

- Sì, sì, voltate alla prima scorciatoia.

Grosse gocce sonanti cominciarono a cadere; poi d'un tratto la pioggia crescente rigò l'aria di lunghe frecce bianche, di lunghe sferze che percotendo schioccavano. Un sommovimento mostruoso agitò allora le nuvole: sprazzi di raggi eruppero di qua, di là. Tutte le colline, in fondo, a traverso le liste della pioggia si accesero un momento e si rispensero. Una fievole serenità d'argento si levò su la Majella, in una zona sottile.

Giuliana tentava di correre verso la quercia distante un tiro di fucile. Le gocce le battevano su la nuca, le scivolavano giù per la schiena, le colpivano la faccia; e già le vesti erano tutte molli sino alla pelle. I passi le mancavano su 'l terreno sdrucciolevole; ella cadde e si rialzò, due volte. Poi, quasi folle, si mise a gridare verso la casa.

- Aiuto! aiuto!

Una femmina uscì dalla porta e venne a sorreggerla, seguita da due cani che abbaiavano.

Giuliana si lasciò condurre machinalmente, senza poter più proferire una parola a traverso i denti serrati, livida, con la faccia stravolta. Ella non si riscosse che dopo qualche tempo, per le domande che l'ospite le faceva. E allora, repentinamente, all'udire il nome di Spacone, si risovvenne di tutto.

- Ah, dov'è Spacone? - chiese.

- È a Popoli, donna santa: l'hanno chiamato.

Giuliana non resse più: cominciò a singhiozzare e a strapparsi i capelli.

- Che volete, donna santa? che volete? Io sono la moglie; ci son qua io... - miagolava la strega, trattenendole i polsi, incitandola a parlare.

Giuliana esitò un momento; poi disse tutto, a precipizio, tra i singulti, coprendosi la faccia.

- Aspettate. Il rimedio c'è; ma costa cinquanta soldi, donna santa - fece la strega in quel suo idioma tutto molle di vocali, cantando quel bello appellativo per intercalare.

Giuliana sciolse un nodo nel fazzoletto e offerse cinque piccole monete d'argento. Poi aspettò più calma.

La stanza era vasta, ma bassa. Le pareti, su cui qua e là il salnitro fioriva, avevano dei toni di pelli di serpente secca, avevano come delle scaglie di rettile. Rozzi idoli cristiani di maiolica popolavano quel fondo antico; forme strane di utensili e di stromenti ingombravano le tavole. L'insieme dava l'impressione religiosa di un santuario custodito da un semplicista monaco.

La moglie di Spacone, dinanzi al camino, componeva il suo filtro, in silenzio. Era una femmina alta ed ossuta, bianchissima in faccia, co 'l naso guasto avente il color violetto di certi fichi meridionali, con i capelli rossi e lisci su le tempia, con due piccoli occhi di albina, tatuata nel mento, nella fronte, nel dorso delle mani.

- Ecco, donna santa! Coraggio!

Giuliana ingoiò il liquido d'un fiato; ma si sentì, subito dopo, da un'amarezza atroce mordere il palato e le viscere. Restò con la bocca aperta, premendosi il ventre con le mani, battendo rapidamente un piede su 'l pavimento, nello spasimo della prima contrazione uterina.

- Coraggio, donna santa, coraggio! - le ripeteva la strega, fissandola con quelli occhi bianchicci di mollusco, soffregandole le reni. – Avete tempo di arrivare a Pescara... Via! via!

Giuliana non poteva rispondere: alla bocca non le venivano che urli. I crampi le serravano lo stomaco, le irrigidivano i muscoli respiratorii, le eccitavano il vomito. I bulbi visivi le ruotavano in alto, come se ella fosse entrata ne' sintomi di una convulsione epilettica. In tutto il suo debole organismo la potenza eccessiva della bevanda operava ora effetti inaspettati. Il parto falso si produsse quasi d'improvviso, con una di quelle terribili perdite per ove le forze della vita se ne vanno mollemente, insensibilmente, fluendo.

- Gesù, Gesù, Gesù! - mormorava la strega inquieta, presa da una subita paura dinanzi al corpo di Giuliana riverso che a pena certe piccole ondulazioni convulsive scuotevano. - Gesù, aiutatemi!

Alle sollecitazioni di lei, Giuliana rinvenne. E come dopo qualche tempo il profluvio parve arrestarsi, Giuliana si poté levare in piedi; sospinta dalla femmina, uscire; giungere fino alla strada nuova, barcollando, pallida come se non le fosse rimasta sotto la pelle una goccia di sangue, ma tenuta viva da una speranza che il maggior pericolo fosse ormai superato.

Ora la campagna era tutta frescamente luminosa. Passava una fila di carretti carichi di gesso, e i grossi carrettieri di Letto Manoppello, pieni di vino, sdraiati su i sacchi fumavano. Come Giuliana si mise dietro la fila, uno di quelli, l'estremo, gridò:

- Ohe, volete che vi porti, bella figliuola?

Machinalmente Giuliana si lasciò tirar sù dalle forti braccia dell'uomo, e stette così seduta su i sacchi. Non intendeva le grasse risa e i motti osceni che di carro in carro si propagavano.

Con una energia involontaria d'istinto, teneva le ginocchia serrate per impedire al flusso la via. Sentiva a poco a poco una specie di ottusità occuparle la coscienza, così che li sbalzi frequenti delle ruote su la ghiaia non le davano che una dolorazione sorda e il lezzo delle pipe non le turbava che lievemente l'olfatto. Ma già il sussurro lontano alli orecchi, il bagliore alla vista, le vertigini annunziavano lo sviluppo dell'anemia nel cervello. Più volte ella sarebbe caduta se non l'avessero sorretta le mani del carrettiere che incoraggiato dalla muta docilità di lei cominciava de' tentativi brutali di carezze.

Il paese di Pescara apparve in cima alla strada in mezzo al sole, mandando suoni su 'l vento.

- Fanno la processione - disse uno delli uomini. Tutti li altri sferzarono; e la strada risuonò sotto il trotto pesante, al tintinnìo de' sonagli, allo schiocco delle fruste.

Quella violenza di scosse e di fragore richiamò per un momento Giuliana al senso della realtà circostante. Ma, poiché l'uomo le cingeva i fianchi con un braccio e le metteva il fiato vinoso nella guancia, ella per un cieco impeto si mise a gridare e a gesticolare quasi l'avesse presa un delirio. E il fantasma di Lindoro subitamente le si rizzò dinanzi alli occhi offuscati e poté anco suscitarle il ribrezzo dell'orrore in quel poco di sensibilità che le restava nei nervi. Ella, a pena il carro si fermò, discese a terra dai sacchi scivolando, tentò di muovere i passi, con la furia affannosa, di chi cerchi raggiungere un luogo sicuro per cadere.

Venivano in contro nella strada le verginelle coperte di veli candidi, con in mano i cèrei dipinti, e cantavano. Dietro la torma angelica, un grande sventolìo di drappi e di baldacchini empiva l'aria beneficata dalla pioggia recente. E cantavano:

Tantum ergo sacramentum

Veneremur cernui...

Giuliana, intravedendo, voltò nel vicolo; giunse alla casa di Rosa Catena, entrò; presa dalla vertigine, cadde in mezzo al pavimento. E, come il profluvio del sangue ricominciava, la paralisi le occupò la metà inferiore del corpo, ogni facoltà di moto volontario in lei si spense.

Rosa non era nella casa: la processione aveva attirato tutto il paese, quel giorno. In un angolo della stanza Muà, il padre, un mostro di vecchiaia umana, un cieco inchiodato per anni su 'l legname di una sedia dall'artrite deformante, tentava vagamente con la punta del bastone i mattoni intorno a sé per scoprire la causa del rumore improvviso.

Allora, in mezzo al sangue, Giuliana fu scossa da un parossismo di convulsione. Le contrazioni dei muscoli le gettavano il tronco da una parte e dall'altra; li arti le si allungavano con lo scatto e il battito d'una gamba di animale ferito a morte, le mani stringevano i pollici nel pugno, si riaprivano, ristringevano; i bulbi delli occhi si ritraevano dalle orbite, sotto le palpebre violastre, quasi con un movimento di fiore che ritiri i petali flosci in sé. A un tratto la testa si arrovesciò in dietro tutta, nel supremo colpo dell'apoplessia nervosa; il tronco senza sangue si irrigidì nella paralisi. Un leggero tremore apparve nelle corde del collo, le dita chiuse, dopo un minuto, si distesero.

Muà, senza comprendere, girava ancora intorno a sé il bastone tentando, vanamente, con un borbottìo nella bocca sdentata.

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