Macao

MACAO, novembre.

Macao, Hongkong, Canton! Il passato, il presente, l’avvenire!

I grossi piroscafi americani e inglesi che fanno scalo a Macao gettano l’ancora al largo, a dieci miglia dai moli della Praia. Mentre i barconi cinesi sotto la sorveglianza di un poliziotto meticcio trasportano a bordo le preziose cassette d’oppio destinate a San Francisco ed a Sidney, i «turisti» in giro pel mondo scendono a visitare le case di tè e le case di giuoco. Così Macao raccoglie le briciole dell’opulenza di Hongkong e della ricchezza di Canton.

Dal parco dell’Ispezione la statua di bronzo di Camoens, librata su tre rupi formidabili, guarda in giù nel quartiere cinese la gente cosmopolita che entra ed esce dalle fumerie e dalle case d’amore, triste spettacolo pel fiero cantore dei Lusitani che sognò pel Portogallo tutti gli splendori e tutte le glorie. Il parco è piantato a «bania» ed a bambù, strana mescolanza del gigante dei Tropici colla fragile canna dei giuncheti, ma; appropriata al luogo ed al poeta, quasi a significare che potenza e debolezza sono trastulli del Destino.

I vaporetti del servizio Hongkong-Macao-Timor lasciano i transatlantici al largo, bordeggiano l’isola Verde frangiata d’alghe, passano sotto i bastioni pettoruti della «fortaleza di Dona Maria II», sfiorano uno dopo l’altro tre cimiteri affacciati sul mare, poi scantonano dietro un gruppo di scogli e sgusciano nel porto di Cochilas.

Portoghesi, meticci e cinesi accolgono i visitatori internazionali con salamelecchi e sorrisi. È tutto un armeggio equivoco di mani che prendono arditamente possesso della clientela, di bocche che sorridono, di occhi che promettono meraviglie, di voci che garantiscono vincite spettacolose e delizie senza fine. Macao riceve i passanti con servilità untuosa di mezzana. Mentre vi avviate dietro un tizio verso la promessa di una voluttà esotica, un altro vi strizza l’occhio, un terzo vi abbozza in un gesto una mirabolante tentazione... Dall’uscio socchiuso d’una casa una beltà meticcia vi butta l’amo d’una mezza nudità provocante od una vecchia strega vi fissa lungamente come per dirvi: — Vieni e vedrai!

Si ha la sensazione fisica di muoversi nell’unto, di respirare un’aria lubrica, di sfiorare oggetti sudici ed anime sozze. La mimica donchisciottesca dei sollecitatori portoghesi, le smorfie dei meticci ed i salamelecchi dei cinesi danno al quadretto anche una intonazione comica di farsa. Sembra di diventare di punto in bianco personaggi di una commedia scollacciata e grassottella.

A destra dello sbarcatoio una strada sale all’antica «ciudad» portoghese costruita in altura, linda e composta come una vecchia dama che si sia ormai ritirata dalla vita mondana. A sinistra altre strade diramate a ventaglio menano al popoloso quartiere cinese.

Di giorno la città antica riesce a sedurre qualche ospite di passaggio con la fama delle sue glorie e gli avanzi del suo fasto. Il «Palacio del Gobierno» e la sede del «Leal Senado» sfoggiano tutti gli orpelli venerandi e le poche gioie di famiglia per far concorrenza ai mercanti di voluttà del borgo. Recentemente l’Amministrazione municipale ha fatto stirare ed inamidare le crinoline degli edifizi più rappresentativi ed anche lustrare qualche corazza arrugginita dai secoli. In genere i «turisti» inglesi ed americani s’avviano regolarmente con aria risoluta e dignitosa verso il «Palacio del Gobierno». Sarebbe shocking mostrare d’essere sbarcati apposta per la Macao moderna. Ma alla prima traversa si fanno un dovere di piegare a sinistra e di raggiungere per una scorciatoia il quartiere delle delizie. Le guide, pratiche della «pruderie» anglo-sassone, aprono il passo e gli altri scivolano dietro, felicissimi di aver salvato le apparenze e di risparmiarsi una visita noiosa ai cimeli di Vasco de Gama. La lettura della Guida è più che sufficiente per poter descrivere agli amici, al ritorno in patria, la nave ammiraglia del grande navigatore.

Di sera l’illustre Macao si appisola di buon’ora nella penombra, mentre la città cinese accende tutte le sue torbide luci di Estremo Oriente e le sue sfolgoranti pubblicità luminose di stile americano.

Sullo scenario caleidoscopico lampeggia un’epigrafe di fuoco: Casa de Jogo, Via della Felicità! La scritta appare a scatti, alta nella notte, fiammeggiante come un faro, in rosso acceso, in verde violetto, in violetto carico, in giallo marcio a riflessi d’oro. Casa de Jogo, Via della Felicità! La si vede da lontano, assai prima che i vaporetti imbocchino il porto, torbido faro che illumina le tenebre del mare di Canton.

La clientela che ogni sera sbarca dai vaporetti sgattaiola lestamente negli stradini di sinistra che rutilano di globi e di vetrine scintillanti. La via centrale è tutta una sfilata di caffè, di gioiellerie, di botteghe aperte fino a tardi, di Monti di Pietà, di ristoranti, di bar, di music-halles. Orchestrine indiavolate ed organetti di Barberia accolgono gli ospiti notturni con uno strepito d’inferno. Le note languide dei vecchi valtzer si confondono coi ritmi accelerati dei fox-trot, l’acciottolìo dei jazz-band col miagolio rabbioso delle estudiantine cinesi, i singhiozzi disperati dei violoncelli coreani con gli schianti delle fanfare giavanesi. Zucche vuote e tarabucche battono il tempo alla gazzarra frenetica.

Di qua, di là, s’aprono lunghe strade illuminate, con la teoria delle porte indicate da fanali rossi, gialli ed azzurri. Il rosso è il colore dell’amore, il giallo dell’oppio, l’azzurro della fortuna.

Macao, che fu la roccaforte della potenza europea in Estremo Oriente, la prima garitta dell’Occidente di guardia all’Asia gialla, centro per oltre tre secoli di tutti i traffici del Pacifico, archidiocesi principale del Cattolicesimo, ancoraggio delle flotte reali di Braganza, punto di partenza di imprese militari e di combinazioni diplomatiche è oggi la grande suburra di Hong-kong e di Canton, dove i ricchi cinesi del continente ed i cresi internazionali dell’isola trovano un baccanale organizzato in grande stile con tutti i vizi brutali dell’Occidente e tutte le raffinatezze perverse dell’Oriente, l’alcool e l’oppio, la «roulette» e il «bacàn», la gozzoviglia e l’orgia turpe. Alle femmine di tutte le razze s’aggiungono i prodotti creoli e meticci delle strambe alcove di Macao. I vizi più singolari sono accarezzati dallo spirito d’iniziativa di un esercito di specialisti che debbono incessantemente inventare qualche cosa per sedurre e turlupinare la clientela....

Io sono entrato invece a Macao per una porta secondaria di cui non si servono i «turisti», arrivandovi in automobile dall’Hiang-Can sulla lingua di terra che allaccia la penisoletta di Macao al resto della Cina. La città mi s’è presentata di dorso. Le vecchie spalle conservano ancora l’armatura guerriera dei secoli della potenza e della gloria.

Folgorava un luminoso mattino d’Estremo Oriente quando la macchina è passata rombando sotto l’Arco di Trionfo della Porta do Cerco, bagnata dal sangue del governatore Amarai assassinato dai cinesi. Dalla «fortaleza» di Mongha una pattuglia di soldati portoghesi scendeva la china al ritmo di una marcia guerriera. Sul forte di Guia tuonavano i cannoni in onore di una dreadnought giapponese. Per un momento mi è parso d’essere ancora al tempo dei capitani generali di Braganza e dei grandi ammiragli genovesi al servizio del Portogallo, del ligure Emanuele Pessagno, dei liguri fratelli Vivaldi scomparsi negli oceani... Breve illusione, che il doganiere stesso si è affrettato a fugare. Mentre applicava col gesso il «nulla osta» sui bagagli mi ha passato un cartoncino con l’indirizzo di una Casa de Jogo.

Sono contento però di aver scelto questa strada che è d’accordo con la storia: prima le vestigia della potenza che fu, poi lo spettacolo della decadenza che è. Così una impressione non cancellerà l’altra, e se domani il ricordo di Macao mi evocherà bische e lupanari, mi rammenterà anche la lapide di Alvaro Fernandez, il busto di Diego Gomez, il cippo di Fernando Po, i cimelii di Bartolomeo Diaz, l’avenida Vasco de Gama, la calle – bel termine veneziano – di Marco Polo.....

Le antiche glorie portoghesi sono sempre glorie latine che attestano la fecondità delle particelle di sangue romano innestate dalla città formidabile nelle vene del mondo. Sono anche un po’ gloria italiana, che italiani furono gli audaci pionieri dell’espansione coloniale portoghese, italiani quegli audacissimi navigatori che nel XIII e XIV secolo affrontarono per i primi i misteri dell’Atlantico battendo la bandiera del Portogallo, italiani gli esploratori delle Canarie e delle Azzorre, italiani gli organizzatori delle flotte di Re Dionigi, i conquistatori di Madera, gli amministratori di Porto Santo.

Autentiche glorie nostre, raramente ricordate dagli altri, ma impresse a caratteri incancellabili nel grande libro della storia dell’umanità!

Macao è sorella di Goa. Sono due città di Cristo in terra d’Asia: ma Goa, destinata a rappresentare la Croce contro Brahma, Visnù, Siva e tutti gli iddii terribili dell’India che possedevano eserciti di fanatici sempre pronti alla guerra e alla strage, Goa era tutta palazzi squadrati come fortezze e conventi turriti come castelli, irta di croci e di tabernacoli, raccolta intorno alla Basilica del Santo in una posa di vigilanza e di difesa.

Macao no! Macao non aveva contro la sua Croce che i piccoli Buddha ed i sorridenti filosofi della grande Cina. I forti vigilavano la terra ferma per proteggere la colonia dalle scorrerie dei briganti in rotta con la legge e dei briganti al servizio della legge cinese, ma oltre la cinta fortificata, la città non ha aspetti bellicosi. Se gli edifizi governativi hanno l’esteriorità altezzosa dei personaggi ufficiali, il resto degli abitati è gaiamente meridionale, con facciate bianche e verdi, rosa e cilestrine, punteggiate dal verde delle persiane e dall’immancabile fioritura dei balconi. Quasi ci si crederebbe a Siviglia nella calle del Sol!

Solo gli alti portoni chiusi al tramonto e vigilati durante la notte dal «sereno» che canta per rassicurare gli inquilini, danno una fisionomia medievale alle strade in salita ed alle tortuose «calcadas». Se uno però non si contenta della prima impressione e s’intrufola negli stradini, ritrova il Medio Evo anche in pieno giorno. Certe viuzze incassate fra due file di case finiscono in un vicolo cieco e deserto che evoca i secoli. Si vede da una parte il muro merlato d’un convento sormontato da un mozzicone di garitta e rigato dai finestroni ad inferriata, dall’altra una muraglia slabbrata e senza aperture che butta fuori da un giardino centenario una fantastica mantiglia di rampicanti.

Lo spirito immagina dietro i muri antichi la dignitosa povertà degli ultimi discendenti d’un ricco negoziante della Praia impoverito dalla concorrenza di Hongkong o d’un fiero ammiraglio delle flotte reali ridotto, pel crollo della potenza del Tago, a timbrare le bollette della Dogana... Ma, se un portone aperto permette di buttare lo sguardo nei «patios», si vede un formicolìo di gialli. Se una finestra spalancata all’improvviso fa alzare gli occhi, si scorge il viso di porcellana di una «figlia del cielo». Allora ci si rammenta che a Macao i portoghesi sono solo mille e duecento contro centomila cinesi! Cinquemila meticci di diverse gradazioni rappresentano alla meglio la razza dominante.

Il numero dei bianchi s’assottiglia sempre più, assorbito da Hongkong. Aumenta invece quello dei cinesi, i quali, non riuscendo più ad alloggiarsi nel quartiere indigeno, hanno dato pian piano l’assalto alla città portoghese comperando a suon di taels i vecchi palazzi nobiliari ed installandovisi coi loro paraventi ed i loro Buddha. Si ha l’impressione che la Cina stia riconquistando palmo a palmo coll’intrigo e col baratto la terra che gli eroi di Camoens conquistarono metro per metro a prezzo di gloria e di sangue contro gli eserciti sterminati dei mandarini di Pekino e che difesero con strenuo eroismo contro le flotte dell’Olanda e dell’Inghilterra.

L’anima cerca la cattedrale storica di San Paulo, la rivale della Basilica di Goa, e si meraviglia di non vedere sorgere sui tetti e sulle verande la cupola magnifica cantata da tanti poeti.

A forza di domandare a destra ed a sinistra si arriva dinanzi ad una maestosa scalinata di pietra e ad una facciata solenne. Ecco San Paulo! Sul frontone s’aprono tre porte a sesto acuto sormontate da due alti piloni e da un massiccio architrave. Fra un pilone e l’altro sono scavate cinque nicchie profonde listate da colonne potenti. Sul frontispizio si legge ancora: «Mater Dei». L’occhio va da un gigantesco Cristo mutilato al bassorilievo di una galea del XVI secolo che lotta colle tempeste, da un missionario crociato con la spada ad una Madonna straordinariamente guerriera che schiaccia il simbolico serpente rappresentato per l’occasione dal Dragone della Cina.

In alto un Paolo di Tarso in granito sporge un braccio muscoloso che impugna il Vangelo come una arme. Si riconosce l’apostolato guerresco di Francesco Saverio!

Entriamo per la porta di mezzo nella Basilica, ma la chiesa non c’è più. È sfumata nel tempo, come la potenza coloniale del Portogallo. Restano poche pietre, molte erbacce, una croce di ferro, gli sfondi azzurri del mare e del cielo...

San Paulo è solo una facciata rimasta tragicamente in piedi sulle macerie.

Mi soffermo fra queste pietre dominate dal silenzio e dalla morte. Sono solo. Chi sale ormai fin quassù? Ascolto i rovi che trasaliscono al vento con un rumore secco d’ossame rimestato.

Il tramonto erge su Macao uno sgargiante baldacchino d’oro e di fuoco. Veramente sembra che una mano misteriosa abbia innalzato sulla facciata tragica una cupola straordinaria di rubini e di fiamme, coi ceri accesi dei mille Te Deum intonati all’indomani delle vittorie, coi colori dei dipinti preziosi incorniciati di mosaico che sbiancavano le tenebre delle cappelle, cogli ovali di fiammeggiante oro zecchino che facevano inorgoglire i fieri lusitani della potente e fastosa Macao...

Nella magnificenza del vespro orientale Macao riveste per un momento le porpore antiche. Mitragliati dal sole pare che i forti tuonino contro le quadre di Cornelis Van Dertzen e di lord Wellesley. Specialmente la «fortaleza» di San Francisco risponde con violente bordate di lampi ad un nemico invisibile che dalle profondità marine la tempesta d’obici e di vampe...

Il mare che riflette la gloria del cielo par di sangue intorno alla penisola; di sangue e d’oro; tutto il sangue delle battaglie e tutto l’oro dei mercati bollono nel rigurgito delle onde gonfie di vento. Le giunche cinesi che escono dal porto con le vele spiegate ed i draghi inarcati sui barcarizzi sembra che fuggano dinanzi ad un inseguimento. Sono forse le giunche del mandarino Tso-Tang incalzate dal naviglio di Lemos Faria? No, sono semplicemente i barconi della «fabbrica demaniale» che trasportano a Canton l’oppio ed il sale della settimana.

È l’ora in cui le mogli dei ricchi mercanti portoghesi che hanno «fonda» a Canton escono in carrozza sulla Piazza Grande, l’ora in cui i vaporetti di Hongkong incominciano a scaricare le frotte dei giuocatori, dei fumatori e dei cercatori d’amore...

Hanoi – La cittadella.

Camboge – donne e bambini prendono il sole presso il lago.

Pian piano la statua di Camoens si ritira nell’ombra dei «bania» per non vedere... I forti ammainano la bandiera del Portogallo. E si accende l’epigrafe ardente della «Casa de Jogo».

Usted quiere oppio?

— La «casa giapponese» è a un passo!

— Roba privata, la più bella creola di Macao...

— Al Gatto Rosso la «festa delle candele» nella sala degli specchi.

Almòco, Jàntar con champagne... Cerar di ostriche e vecchio Oporto...

Ad ogni passo qualcuno offre i suoi servizi, raccomanda un indirizzo, stuzzica un desiderio, prospetta una voluttà, schizza un quadretto, sussurra una parola misteriosa che vale tutto uno scenario. Sulla soglia dei ristoranti e dei negozi gli «accaparratores» tentano i passanti con larghi gesti e profondi inchini.

Entrate, entrate, pellegrini venuti d’Oriente e d’Occidente, poveri provinciali di Londra e di Parigi, disgraziati asceti di Montmartre e della Fifty Avenue! La vecchia Cina, maestra di tutte le sapienze, vi offre il fumo che trasporta in paradiso e lo spasimo che fa quasi morire. Se amate l’alcool generoso, il cinese Tin-Pig v’offrirà un nettare d’agua ardiente ed un assenzio stravecchio di Giava insieme con una polvere bianca la quale permette di vuotare a ripetizione lo stomaco e di ricominciare a bere, a bere sempre, fino allo schianto! Se è il giuoco che v’affascina, ecco il «bacàn» che vi centellina l’emozione goccia a goccia e vi fa torcere d’ansia! Se è la carne che vi seduce, la carne fina come seta, calda come fuoco, lubrica come olio, il vecchio So-Kong ha colto per voi i frutti più saporiti d’Estremo Oriente, quelli ancora acerbi che stillano giovinezza e quelli ben maturi che quasi si spappolano in una agonia di magnificenza.

Entrate, entrate... Macao è il regno della Gioia. Qui si giuoca e si beve, si delira e si dimentica! Il capriccio non ha limiti, l’infamia trova compiacenze...

Dalle traverse meno illuminate grandi avvisi elettrici vi buttano negli occhi il loro appassionato richiamo: Casa de Jogo! Gambling House! Nuits de Chine! Quinta de Mantega!

Più tentatori ancora sono gli avvisi cinesi dai caratteri misteriosi, che s’accendono e si spengono ad intervalli rapidi come lampi d’estate; i lampioni di seta, fiochi, torbidi, che fanno pensare ad equivoche penombre; le porte chiuse che aprono uno spiraglio al vostro passaggio e vi mostrano la carne che attende; le bische che promettono manciate di taels e pacchi di dollari; le fumerie che invitano al sogno dolce ed all’amore tormentato, le kang-ià che imbastiscono raffinatezze, le case Jò-Jò che posseggono gli estratti di un millennio di perversità.

Da certi usci scaturiscono ondate d’oppio che v’avviluppano e quasi vi trattengono come una mano invisibile; da certe soglie escono sbuffi d’incensi che paiono linguate. Cento odori fermentano nei trivii. Più la notte s’affonda più la suburra si fa tentatrice. Le orchestre impazzano. Gli ubbriachi cantano e vomitano. I selciati stessi diventano viscidi. Gli «accapparradores» si fanno audaci e quasi violenti. Vi ficcano in tasca per forza la busta delle fotografie infallibili, vi cacciano in mano la cartina bianca che fa dimenticare le perdite e i guai.

Donne discinte escono dagli usci ad impossessarsi della vostra volontà tentennante o della vostra ebbrezza che più non comprende...: cortigiane d’Europa, femmine di Cina, musmè del Giappone, creole di Manilla e di Giava, portoghesi di Macao e quelle torbide meticcie dalla pelle straordinariamente verde, che sembrano fatte di giada...

Tutte ostentano gli ornamenti caratteristici della razza come un trofeo e s’avvolgono negli abbigliamenti nazionali come in una bandiera. Solo le europee no! Miserabili resti di chissà quali naufragi finiti nei fondali di Macao, hanno ritegno di dichiarare la loro origine. Avviluppano le sfiorite avvenenze in mantiglie di Manilla ed in «kimono» del Giappone, oggetto di pietà pei bianchi che passano, di perversa seduzione per gli uomini di colore i quali forse immaginano di possedere in quel tristo carname le grandi stirpi dell’Ovest.

Nelle Casas de Jogo la passione accomuna gialli ed occidentali intorno ai tavoli del «bacàn» e del«Fa-Tan». Entro un momento nella famosa bisca di Whon-Hang. Quattro numeri – 1, 2, 3 e 4 – accaparrano le poste dei giuocatori. Il «croupier» aspetta che i quadri siano colmi di taels, di dollari, di sterline e di piastre, le quattro monete riconosciute dai biscazzieri. Poi empie una tazza di sapeki e la rovescia sul tavolo. E conta i sapeki, quattro a quattro, con sapiente lentezza, riunendoli in tanti mucchiettini, mentre i colli si torcono per vedere, le anime fremono d’ansietà, e chi giuoca l’ultimo dollaro si sente svenire. Alla fine i sapeki che restano indicano il numero vincente: 1, 2, 3 o 4.

La «roulette» di Montecarlo è in confronto un giuoco di barbari. Faites vos jeux! La pallina trilla nella raggiera turbinante... Bastano pochi secondi per sapere se si ha guadagnato o se si ha perso. Il «Fa-Tan» è lungo, lento, doloroso. Vedete il mucchio dei sapeki che s’assottiglia, ma fino all’ultimo momento non sapete se i sapeki restanti saranno alla fine uno, due tre o quattro. Spesso il biscazziere si ferma e vi guarda beffardamente negli occhi mentre voi vi sdilinquite d’ansietà.

Intorno ai tavoli maledetti circolano gli «accapparradores», gli strozzini che conoscono vita, morte e miracoli di tutti i mercanti di Hongkong e di Canton, gli skettpings che sorvegliano i vincenti, per offrire ai fortunati tutte le gioie dello stomaco e dei sensi. Loschi figuri propongono agli stranieri frutti proibiti, false antichità, amuleti che rinfrancano le forze, feticci che incantano la fortuna. I sentori delle carni sudate si mescolano agli effluvii penetranti delle droghe, i risolini melliflui ai ghigni satanici.

Macao è un grande braciere di putredine acceso nella notte d’Oriente. Hongkong e Canton alimentano il tripode immondo col loro oro. Mille farfalle seducenti, mille falene dalle elitre d’oro vi si bruciano e vi s’inceneriscono.

La millenaria usanza cinese d’imbandire orgie e banchetti intorno alle tombe dei morti ha in Macao la sua massima affermazione. Intorno al cadavere della potenza coloniale e marittima del Portogallo cinesi ed anglo-sassoni allestiscono ogni notte crapule pantagrueliche. Si mangia, si beve, si giuoca, si fuma, si spasima, si delira, si vendono le figlie e le mogli. Ogni vizio ha la sua carezza, ogni turpitudine il suo bacio infamante.

Verso l’alba i trivii puzzano come truogoli e le genti si fanno l’un l’altro ribrezzo. Le prime luci spengono i fuochi della notte, mettono in fuga i topi delle chiaviche ed i lombrichi delle fogne...

Allora la monumentale necropoli mostra i palazzi diseredati, il porto deserto, le mura smantellate, i forti senza cannoni, la Basilica senza tetto e senza pareti, i meticci senza nazionalità, gli imbecilli senza più un soldo nelle tasche.

È l’ora in cui a Canton s’aprono le botteghe e le fabbriche ed il formicaio cinese riversa nelle strade le moltitudini industriose.

È l’ora in cui ad Hongkong gli urli delle sirene svegliano il porto, le giunche abbrivano, i vapori incominciano a mettere in moto i vìnchs ed a scoperchiare i boccaporti.

Macao spossata dal bagordo s’addormenta nelle lenzuola del suo giaciglio dorato...

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