Introduzione

DI GIASON DE NORES

RIDOTTA POI IN ALCUNE TAVOLE

SOPRA I TRE LIBRI

DELLA RETTORICA DI ARISTOTILE

Al valoroso ed illustre sig. Francesco Bernardo, del chiarissimo M. Andrea Patron, e sig. osservandissimo.

GRANDEMENTE s'ingannano, valoroso ed illustre signor Francesco, tutti coloro per mio giudicio, che credono posseder la Rettorica di Aristotile con intender questo e quell'altro passo difficile, senza curarsi poi di tener intieramente il metodo, con il quale egli, scrivendo, la ridusse a tanta perfezione. Perciocchè non essendo arte per altro alcuna profession di dottrina, che per la via di apprendere, che prima le diede alcun savio di sublime ingegno; quella non ben compresa, quanto maggior numero di precetti avremo nella memoria, tanto più dalla moltitudine ci ritroveremo intricati e confusi. Chi potesse dimandare ad Aristotile medesimo, in che cosa egli maggiormente si compiacesse intorno alla presente facoltà del dire; in nessuna altra, certamente risponderebbe, che in averle dato quel lume e quella guida di procedere, che ancor ella non avea mai potuto ricevere da alcuno de' suoi passati scrittori. Pertanto ho pensato dover forse prestar alcun giovamento a V. M. ne' suoi prossimi e primi onori, che potrà felicemente conseguire a beneficio della sua repubblica, se con una breve introduzione, accompagnata da alcune tavole, facessi io veder da principio alla fine con che maniera la dirizzasse e regolasse il maestro veramente di color che sanno; la quale impresa piglieremo noi ora tanto più volentieri, quanto è più difficile e meno stimata, e tentata da' comentatori. Ed essendo la Rettorica composta della filosofia umana e della logica, come ben ci dimostra il filosofo in molti luoghi, mi ho proposto, per proceder con qualche ordine, avanti che io dia principio alla presente mia introduzione, di favellar generalmente della diffinizione e divisione di ambedue, acciocchè il nascimento di questa facoltà del dire, e che parte ella prenda, e dall'una e dall'altra più distintamente intendiamo. Ma volendo noi ora diffinir la filosofia umana, dobbiamo sapere quale sia il soggetto, e quale sia il fine di lei, per comprender più facilmente la sua diffinizione, essendo ella ritratta o dall'uno o dall'altro, o d'ambidue. È dunque il suo proprio soggetto il fine estremo di tutte le nostre azioni civili, che è sufficiente a render felice una gente e una città; ed i mezzi più atti a conseguirlo, che sono i magistrati della repubblica e le leggi, come si vede nel secondo capo del primo, e nell'ultimo capo del decimo libro dell'Etica, e particolarmente nella nostra introduzione sopra tutta la scienza civile di Aristotile. Il fine della filosofia umana poi è il medesimo sommo bene, come ci dimostra egli per queste parole nel settimo capo del primo libro dell'Etica: e tutto ciò è conforme alle cose che abbiamo riferito nel principio, avendo noi statuito il fine della facoltà civile quello, che è tenuto ottimo e perfettissimo tra tutti gli altri, la qual procura con ogni studio e diligenza di rendere i cittadini buoni e sufficienti alle oneste operazioni e virtuose. Nè ci paia disconvenienza, che essendo questo sommo bene soggetto della scienza civile, sia anche insieme fine della medesima, essendo egli considerato e come atto ad essere conosciuto, e come atto ad essere conseguito; nella prima maniera come soggetto, nella seconda come fine, nel modo che è ancora la sanità soggetto della medicina in quanto all'esser dimostrata, e fine in quanto all'essere acquistata. Diffiniremo dunque la filosofia umana dal soggetto essere facoltà, o scienza che insegna perfettamente che cosa sia felicità; e dal fine, essere scienza di conseguir la felicità; e da ambedue essere scienza che ne insegna, che cosa sia felicità, per renderci atti a conseguirla. La si divide poi ella primieramente in due parti principalissime, in quella che consistendo nel trattato del sommo bene, è detta Etica e Politica de' costumi, ed è contenuta ne' primi dieci libri, ne' quali Aristotile descrive perfettamente il fine a cui dobbiamo aver la mira in tutte le nostre azioni civili, nella maniera che egli dimostra nel già detto secondo capo del primo libro dell'Etica e in quell'altra, che consistendo nel trattato de' mezzi attissimi ad introdur cotal fine nella compagnia civile, è detta semplicemente Politica, ed è contenuta negli altri dieci ultimi libri, negli otto della Politica e ne' due della Economia, nella maniera che ci fa veder Aristotile nell'ultimo capo del decimo libro dell'Etica. La Politica de' costumi poscia è suddivisa ancora essa in due altre membra, nell'uno de' quali ragiona della felicità, nell'altro delle virtù, come di parti principalissime contenute nella diffinizione delle felicità, che è operazion dell'animo secondo la virtù. La Politica de' mezzi attissimi ad introdur la beatitudine nella compagnia civile è distribuita ancor essa in tre altri trattati, in quello della città, come di luogo in cui si abbia ad introdurre, in quello de' magistrali e della repubblica che è l'un mezzo, ed in quel delle leggi così pubbliche come familiari, che è l'altro mezzo d'introdur il sommo bene nella città. Dunque tutta la filosofia attiva, umana e civile di Aristotile dal primo delle cose morali fino all'ultimo dell'Economia è nominata generalmente scienza, ovvero facoltà civile, ed il suo primo trattato è detto Politica de' costumi, delle virtù e della felicità. Il secondo è detto Politica della città e delle famiglie in quanto parti della città. Il terzo è detto Politica de' magistrati e della repubblica. Il quarto è detto Politica delle leggi pubbliche e familiari. Or dalla Politica della felicità, delle virtù e de' costumi è adombrata da Aristotile quella parte della Rettorica, ove nel terzodecimo capo del primo libro diffinisce la beatitudine, compartendola nelle sue membra, e descrivendo ciascuno, e così tutto il decimo ottavo capo, nel quale diffinisce ciascuna virtù, e tutto il trattato del genere giudiciale raccolto dal quinto libro dell'Etica, che è intorno alla giustizia; ed oltre a ciò tutta la considerazione degli effetti e de' costumi contenuta ne' primi tredici capi del secondo libro. Dalla Politica poscia de' magistrati e delle repubbliche toglie tutto il decimosettimo capo del primo della Rettorica, compartendo le maniere degli Stati, della cognizione de' quali ha mestieri chi parla nelle consulte delle cose pubbliche, che aspettano al genere deliberativo. Dall'ultimo delle leggi finalmente si serve nell'undecimo capo del primo libro, ove ragiona di quai cose debba essere ammaestrato chi vuol favellar pubblicamente delle cose, che sono intorno all'imposizion ed all'abrogazion delle leggi, e nell'ultimo capo del primo libro, parlando di quella maniera delle sedi inartificiose, che è riposta nell'argomentar per le leggi e contra le leggi, e nel proemio universale, quando per digression discorre intorno all'officio del legislatore. E però ogni volta che gli occorre riferir quello che toglie della prima parte, usa dir sempre, come abbiamo detto nella Politica de' costumi, ovvero nelle cose morali, che è il medesimo; e ogni volta che gli occorre riferir quello che toglie dalla seconda, usa dir sempre, come abbiamo detto nella Politica senza altra distinzione. Segue che diffiniamo così grossamente anche tutta la Logica, per vedere parimente che parte in lei abbia la Rettorica, la qual cosa faremo, procedendo per la medesima via, che abbiamo tenuto nel diffinir e nel divider la filosofia umana, cioè investigando, che soggetto e che fine ella si proponga, onde nasce la sua diffinizione e divisione. Il soggetto, ovver la materia di tutta la logica, per mio avviso, è il Sillogismo principalmente compreso come genere con tutte le sue specie, nella maniera che ci dimostra Aristotile nel proemio della Rettorica per queste parole. Ma il veder del sillogismo di tutto ugualmente appartiene alla dialettica, ricevendola per la logica, ovvero ad essa tutta, ovvero ad alcuna sua parte, cioè alla prima e principalissima, che è la Priora, a cui tocca il trattar del sillogismo in comune, ed il compartirlo secondo la diversità delle proposizioni in tutte le sue specie, ed il distribuirle a ciascuna sua parte seguente il dimostrativo alla Posteriora, il dialettico alla topica, il sofistico agli elenchi, il rettorico alla rettorica, come si può vedere apertamente nel principio del primo e negli ultimi capi del secondo libro della Priora. Il fine della logica è il dimostrar con ragioni necessarie o probabili, quello che intendiamo. Se vorremo diffinir dunque la logica dal soggetto potremo dir che ella sia arte che insegna perfettamente a far sillogismi. Se la vorremo diffinir dal fine, potremo dir che ella sia arte di dimostrar con ragioni necessarie o probabili quello che intendiamo. Se la vorremo diffinir dall'uno e dall'altro, diremo che ella è arte che insegna perfettamente a far sillogismi per dimostrar con ragioni necessarie o probabili quello che intendiamo. Delle parti della logica, altre sono de' principj, de' quali è composto il sillogismo; altre sono del sillogismo già composto. Di quelle de' principj l'una è delle voci semplicissime, nelle quali si riduce il nome ed il verbo, denotando o sostanza, o quantità, o qualità, o relazione, o luogo, o tempo, o sito, o abito, e azione, o passione, di cui tratta principalmente Aristotile nel libro de' dieci predicamenti. L'altra è del nome e del verbo, onde sono composte le proposizioni, de' quali tratta Aristotile nel primo libro della interpretazione. La terza è di esse proposizioni, onde incontanente è composto il sillogismo, delle quali tratta Aristotile nel libro della interpretazione. Di quelle altre parti, che sono del sillogismo già composto, la prima è del sillogismo, preso come semplice forma comune, spogliata da ogni materia, e questa è contenuta ne' due libri della Priora. La seconda è del sillogismo dimostrativo, che è composto di proposizioni vere e prime in materia certa ed infallibile, o razionale. o naturale o soprannaturale che ella si sia, il cui fine è acquistar scienza, e questa è contenuta ne' due libri della Posteriora. La terza è del sillogismo dialettico, che è composto di proposizioni probabili secondo il parer di tutti; o de' più, o de' savj, o di questi o di tutti i savj, o de' più savj, o de' più famosi ed illustri savj in ogni questione o naturale, o razionale, o civile, ma più nella naturale e nella razionale, che nella civile, il cui fine è acquistar opinione; e questa è contenuta negli otto libri della Topica. La quarta parte è del sillogismo sofistico, se però merita nome di sillogismo, che è composto di tai proposizioni, ed in tal materia, che si travaglia in ogni questione o naturale, o razionale, o civile, ma più nella naturale e nella razionale, che nella civile, il cui fine è poter confutar le opinioni false e apparenti probabili, la qual cosa non si può far altramente senza saper che cosa sia sillogismo sofistico, per conoscere in che modo se gli possa rispondere e dimostrare la sua apparenza e falsità; e questa è contenuta ne' due libri degli Elenchi. La quinta parte è del sillogismo oratorio, cioè dell'entimema esistente e leale, che è composto parimente per lo più in virtù di proposizioni probabili in ogni quistione o naturale, o razionale, o civile, ma specialmente nella civile del genere deliberativo, dimostrativo e giudiciale, il quale corrisponde al sillogismo dialettico; e questa è contenuta quasi ne' primi due libri della Rettorica. La sesta parte è del sillogismo oratorio falso, cioè dell'entimema adombrato ed apparente, che è composto in tal maniera, che travegliandosi in ogni questione o naturale, o razionale, o civile, ma specialmente nella civile del genere deliberativo, dimostrativo e giudiziale, non prova, ma pare di provare, il quale corrisponde al sillogismo sofistico; e questa è contenuta nel penultimo capo del secondo libro della Rettorica. Delle parti dunque della logica altre sono de' principj del sillogismo, e queste sono le dieci voci semplicissime, il nome e il verbo e le proposizioni trattate ne' predicamenti e ne' libri dell'interpretazione, altre sono del sillogismo. E di queste, l'una è del sillogismo in comune, l'altra del sillogismo dimostrativo, la terza è del sillogismo dialettico, la quarta è del sillogismo sofistico, la quinta è del sillogismo rettorico esistente e leale, la sesta è del sillogismo rettorico adombrato ed apparente, e queste sono contenute nella Priora, nella Posteriora, nella Topica, negli Elenchi e nella Rettorica. Per tanto le due maniere degli entimemi e l'esempio, che è una certa induzion oratoria, atta però a ridursi ancor essa in sillogismo e in entimema, sono il soggetto principalissimo de' due primi libri de' tre della Rettorica di Aristotile, il cui fine è, rimovendo tutti gli entimemi sofistici, e le sedi degli affetti e de' costumi, che fossero state, o che potessero essere addotte contra di noi, di provar con altri entimemi puri, esistenti e leali tutto quel probabile, o persuasibile, che lo vogliam dire, che occorre in ogni materia o naturale, o razionale, o civile , ma specialmente nella civile del genere deliberativo, dimostrativo e giudiciale. Da ciò che abbiamo detto fin qui si può considerar primieramente, come la Rettorica insieme con la Posteriora, con la Topica e con la sofistica sono parti della logica e della Priora: poscia che corrispondenza e similitudine abbia la rettorica con la dialettica e con gli elenchi, come afferma il Filosofo nell'undecimo capo del primo libro, finalmente che soggetto ella abbia, che fine si proponga, e che luogo sia per aver tra tutti questi trattati della logica nell'esser letta; onde ancora si conclude necessariamente, la logica ordinatissimamente scritta da Aristotile non avere il suo intiero compimento senza il trattato del sillogismo oratorio esistente ed apparente; perciocchè facendo egli professione tacitamente di scriver del sillogismo, come di genere, e di tutte le sue specie, delle quali fa menzione nel secondo della Priora, l'avrebbe lasciata imperfetta ogni volta che non avesse egli scritto dell'entimema, che è pur nominato da lui come specie di sillogismo. Il soggetto poi del terzo libro della Rettorica, che è una sua parte accidentale, come dimostra il Filosofo apertamente nel proemio di esso terzo libro, è la disposizione, la elocuzione e l'azione, il cui fine è di trovar il modo di compartire, di spiegare e di pronunziar gli entimemi con ordine delle parti della orazione, con parole, con voce, e con gesti proporzionatamente corrispondenti, più presto per dilettare e per adulare, che per ammaestrar l'auditore, le quali cose a chi ben discorre, comparate agli entimemi, sono come accidenti comparati alla sostanza ed alla vera essenza di questa facoltà; e di qui penso che Laerzio parlando della Rettorica di Aristotile, non gli attribuisce se non due libri, quasi giudicando il terzo come cosa fuori dell'ordine da lui divisato nell'animo, e come un certo trattato separato dal corpo della Rettorica, e più atto a congiungersi a quello della poetica, forse avendo egli osservato così essere il giudicio di chi lo scrisse, come faremo ancora palese più a lungo nel progresso della presente nostra introduzione. Segue ora a vedere, per le parole proprie di chi la ridusse in arte con somma prudenza, in quante altre parti è distinta la rettorica, della quale più particolarmente già abbiamo in animo di ragionare. È dunque ella divisa principalmente in due parti, nel proemio e nel trattato, come il medesimo Aristotile ci dimostra passando dall'uno all'altro per sì fatte parole: ora proviamo di parlar di questo metodo, quasi inferendo poi che abbiamo risolto per via di esordio quello che ci ostava in contrario allo scriver rettorica. Onde soggiunge: di nuovo dunque cominciando come da principio, poi che avremo diffinito ciò che ella si sia, passiamo ai rimanente. Per la qual cosa avendo Aristotile diligentissimamente trattato de' primi principj ed elementi del sillogismo, e di esso sillogismo in comune, considerato come genere, e del sillogismo dimostrativo, del dialettico, e del sofistico, come principalissime sue specie; e volendo scriver anco del sillogismo rettorico, che era un'altra specie a compimento di tutta la logica, vedea queste tre opposizioni essergli sommamente contrarie, cioè che il soggetto di questa perizia del dire non potesse regolarsi, nè ridursi sotto metodo artificioso, e che se mai potesse ridursi, essere stato ridotto da' passati scrittori, e che finalmente se potesse ridursi sotto metodo, e che se non fosse stato dagli altri ridotto, essere nondimeno tanto dannoso a noi altri uomini, che non dovesse mai porsi a tal impresa chi facesse profession di filosofo. Ora acciocchè egli si levasse tutti questi impedimenti, che gli ostavano al mettersi nuovamente allo scriver rettorica, usa quella maniera di proemio, che egli nel terzo libro chiama criminazione, rispondendo alle false accusazioni che gli potessero essere attribuite; per il che constituisce tre questioni. La prima è congetturale del futuro possibile, se il soggetto della rettorica si può ridur in arte. La seconda è congetturale del fatto, e del non fatto, se le cose sottoposte alla rettorica sono state da altri ridotte perfettamente in arte. La terza è della qualità; se la rettorica è giovevole, e se merita essere trattata da un filosofo, che fa profession di scriver cose utilissime alla vita de' mortali. Disputa egli dunque tutti questi tre capi a sua difesa nel presente proemio, per non parer che di nuovo tentasse una cosa impossibile, o soverchia, o indegna della sua gravità. Onde si apre la via al legittimo cominciamento, come fa anco molte volte ne' proemj di alcuni suoi libri, e della Posteriora, e dell'Etica, e della Politica, e di molti altri, quando prevede alcuna cosa ostargli in contrario. La prima parte della confutazione giudicò egli grandemente necessaria, per aver affermato già Platone nel Gorgia, la rettorica essere una certa perizia, la quale, essendo di cose particolari e infinite, non poteva essere compresa sotto arte. Risponde alla seconda, per diminuir l'autorità di coloro che insegnavano allora rettorica, i quali il volgo giudicava perfettissimi maestri in detta facoltà. Va confutando la terza, per aver veduto nel medesimo Gorgia, la rettorica essere grandemente biasimata e schernita, come una certa adulazione e incantazione, e rassomigliata all'arte coquinaria, e a quella di giuocar di mano. Per tanto se non avesse egli risposto a tutte queste obbiezioni, che gli potevano esser fatte, e che erano già così tenute per tutta la Grecia, avrebbe parso indarno per invidia, e per malivolenza ad altri portata, o per propria iniquità d'animo essersi messo ad una simil fatica. Divideremo adunque il presente proemio in tre parti principali, in quella nella qual prova la rettorica potersi ridur in arte; nell'altra nella qual dimostra finora non essere stata ridotta da altri perfettamente; e nella terza nella quale ci fa vedere lei essere utilissima, e per conseguente non indegna di essere trattata da un par suo. La prima difficoltà la risolve con questi due argomenti: la rettorica e la dialettica sono simili; perciocchè l'una e l'altra sono di cose comuni, e di nessuna scienza determinata: ma di quelle facoltà che sono di cose comuni, e di nessuna scienza determinata, tutti possono partecipare fino ad un certo che. La dialettica e la rettorica sono tali: adunque tutti possono partecipar fin ad un certo che della rettorica e della dialettica. Onde tutti possono e inquerire, e sostener conclusioni, e accusare e difendere. Ciò provato fa seguitar il secondo argomento. Or quel che si fa bene dagli uomini del volgo alle volte a caso, alle volte per una lunga usanza, osservata, e notata la causa da' savj, onde ciò possa avvenire, si può ridurre in arte: l'inquerire, e il sostener conclusioni, l'accusare, e il difender si fa bene dagli uomini del volgo alle volte a caso, alle volte per una lunga usanza; adunque l'inquerire, e il sostener conclusione, l'accusare, e il difendere si può ridur in arte; dunque eziandio il soggetto della rettorica si può ridur in arte, come è stato ridotto quello della dialettica. La seconda dubitazione, tacitamente dimostrando non indarno essersi egli messo ad una tal impresa, la decide con questi due sillogismi. Tutti che hanno mai composto alcun'arte, e che hanno in essa tralasciato le cose sostanziali, e hanno atteso solamente alle accidentali e accessorie, essi per certo hanno trattato imperfettamente di quell'arte, tutti costoro che al presente con i loro scritti hanno composto la rettorica finora hanno ne' loro libri tralasciate le sedi e gli entimemi, che sono la sostanza della rettorica, e hanno solamente date regole intorno a cose, che sono fuori dell'arte, adunque tutti costoro, che hanno creduto comporre l'arte del dire, hanno imperfettamente trattato della rettorica, perciocchè i loro libri non darebbono alcun giovamento a tutti quegli che avessero a parlar in una repubblica, e in un giudicio ben regolato, ove fossero vietate le cose estrinseche dell'arte, e quegli affetti e adulazioni inutili, e dove non fosse necessario altro, che la parte di dimostrar con argomenti. Il secondo sillogismo è di questa maniera. Coloro che insegnano nelle loro rettoriche in qual guisa si dimostri la cosa che viene in giudicio esser giusta, o ingiusta, grande, o piccola, il che è proprio del giudice, e non insegnano in qual modo si dimostri lei essere, o non essere; essere fatta, o non essere fatta; essere per avvenire, o per non avvenire; la qual cosa solamente è propria di chi parla nelle cause in una repubblica ben regolata; essi per certo si affaticano intorno a cose che sono fuori dell'officio dell'oratore. Coloro che hanno scritto rettorica finora fanno questo, dunque coloro che finora hanno scritto rettorica si affaticano intorno a cose, che sono fuori di tal arte. Quindi viene per digressione a dimostrare, qual sia l'officio del legislatore, e perchè i passati scrittori di rettorica hanno più copiosamente trattato del genere giudiciale che del deliberativo, essendo però più degno questo di quello, e più abbondante; e imperocchè gli avrebbe potuto dir alcuno, se è stata imperfettamente trattata la rettorica da tutti i passati suoi maestri, e professori, da qual altro mai potremo noi sperare di averla perfettamente? Occorrendo tacitamente alla presente obbiezione dimostra da nessun altro, che da chi ha ridotto in arte anco il restante di tutta la logica, di cui è parte la rettorica, e ciò fa con gran prudenza, per escluder i retori totalmente da una tale impresa, come non spettante a loro in quanto retori, ma a sè, come dialettico. E così con queste risponsioni, digressioni e argomentazioni conclude la seconda parte del proemio. Alla terza risponde con questi altri due argomenti. È cosa utile insegnar in qual maniera possiamo difender le cose giuste, e non lasciarle opprimer dagli uomini scellerati: la rettorica ne insegna difender le cose giuste, e non lasciarle opprimer dagli uomini scellerati; adunque la rettorica è utile. Quindi prende occasione di confutar la ragione di coloro, che la giudicavano dannosa per potersi adoperare al male, e fa vedere ciò non avvenirle per alcuna sua colpa, ma per mancamento di coloro che ingiustamente l'adoperavano, sì come anco infiniti usavano perversamente e la gagliardia del corpo, e la sanità, e le ricchezze, e l'arte militare, per sè stesse sommamente giovevoli e necessarie: ciò dimostrato adduce il seguente argomento tolto dal luogo dal minore al maggiore. Se è cosa vituperevole il non ci poter sovvenir con le forze del corpo, la qual cosa è meno propria all'uomo; quanto dobbiamo riputar più vituperevole il non ci poter sovvenir col parlare e con l'argomentare, che ci è molto più proprio? A queste tre parti del proemio, per farsi la strada alla diffinizion della rettorica, aggiunge un'altra, nella quale dimostra qual sia l'officio di tal facoltà, e se ad essa aspetta a trattar del persuasibile, e dell'apparente persuasibile, sì come fa la dialettica del sillogismo probabile, e del sillogismo falso e sofistico, onde la diffinisce facoltà di vedere ciò, che occorre in ciascuna cosa accomodato ad acquistar fede; le quai parole tacitamente comprendono e l'officio della rettorica, e il trattato degli entimemi adombrati e apparenti, senza la cognizion de' quali non può dirsi l'oratore aver veduto tutto ciò, che in ciascuna cosa proposta era atto ad acquistar fede. Perciocchè non conoscendosi modo di confutar le ragioni apparenti e false, che fossero state addotte nella causa dagli avversarj, non si può anco saper il modo di rimover tutti i contrarj, onde altrove afferma la rettorica essere simile parte alla dialettica, parte alla sofistica, per esserle necessario di participar dell'una e dell'altra, per considerar tutto ciò, che in ciascuna cosa proposta occorre accomodato ad acquistar fede. Dopo tutte queste disputazioni e dimostrazioni addotte a sua difesa e introduzione, chiude ultimamente il proemio così dicendo: Ora proviamo di ragionar di questo metodo, per esporre in che maniera, e da quai cose possiamo conseguir quanto ci abbiamo proposto. Di nuovo dunque ricominciando, come da principio, poi che avremo diffinito ciò che ella si sia, passiamo al rimanente. In questa conclusione, per quelle quattro parole (da quai cose, e in qual maniera) divide tacitamente tutto il trattato in due parti, in quella, nella quale per via di diffinizione e divisione comprende tutte le cose sostanziali della rettorica, cioè le sedi inartificiose e artificiose degli argomenti, affetti e costumi, con le quali facciamo l'officio dell'oratore; e in quella, nella quale separatamente fuori della sua sostanzial diffinizione e divisione, comprende il trattato delle azioni, della elocuzione, e della disposizione, non essendo nel vero queste altro che accidenti, e maniere di pronunziare, dispiegare, e disporre le sedi e le cose, per dilettare, e per adulare gli auditori, come Aristotile dimostra manifestamente nel proemio del terzo libro, quando trapassando da queste a quella dice: per tanto abbiamo cercato prima quello che naturalmente è primo, cioè le cose istesse che ci acquistano fede, e poscia in che maniera si abbiano a trattare. Ma qui potrebbe nascer dubitazione di qualche importanza, perchè tal compartimento non lo ha fatto il Filosofo incontanente dopo la diffinizion della rettorica, essendo ella antecedente a questo. A ciò si risponde, che dovendo egli dopo la diffinizione immediate da essa far derivar la divisione delle cose sostanziali solamente, delle quali nel vero è composta la rettorica, ha voluto prima preporre un'altra distinzione, che separasse le cose sostanziali di tal facoltà dalle cose accidentali, non avendo in animo nella sua diffinizione comprendere se non le sostanziali, e poscia dividerle, riservando le accidentali separatamente in un diverso trattato, che dovea accompagnarsi più alla poetica, che alla rettorica, la qual non ha per sua vera sostanza altro che le sedi. Or che abbia egli giudicato l'azione, la elocuzione, e la disposizione per tali, ne lo dà ad intender apertissimamente nel secondo libro al quartodecimo capo per simili parole. E perciocchè in ciascun genere di orazioni era un certo fine diverso, di tutte queste cose sono state poste innanzi le opinioni, e le proposizioni, delle quali e consigliando, e dimostrando, e litigando si traggano le sedi, e parimente donde si facciano le orazioni accostumate: ci resta a parlar delle proposizioni comuni, le quali determinate, ed espedite proveremo di favellare degli entimemi in comune, e degli esempi, se abbiamo a dire alcuna cosa, acciocchè aggiungendo noi ora tutte quelle parti che ci restano a trattare, possiamo dar intiero compimento a quanto da principio ci abbiamo proposto. Se adunque il trattato della rettorica con le proposizioni proprie e comuni e con gli esempi ed antitemi avrà intiero compimento, certo è, che il terzo libro dell'azione, elocuzione e disposizione è separato totalmente dal corpo della rettorica da lui formata, e divisata nell'animo. Per il che se avesse pensato di ragionar di tutte queste, come di cose sostanziali di tal facoltà, oltra che non le avrebbe mai tanto vituperate nel proemio del primo, e del terzo libro, le avrebbe ancora con alcuna parola comprese apertamente nella sua diffinizione, e sotto qualche sua principale e sostanzial divisione, e dove ha detto che la rettorica è composta della dialettica e della politica solamente, avendo riguardo alle sedi dimostrative, affettuose ed accostumate, avrebbe aggiunto lei essere composta parimente della poetica, per comprender anco in lei tutte queste parti, le quali essere proprie dell'arte istrionica e della poesia ne lo fa veder nella poetica per sì fatte parole. Ma di queste cose che sono intorno all'elocuzione una specie è della considerazion delle figure, le quali appartiene saper ad essa istrionica. Or che la disposizione ancor essa da lui sia stimata per tale, si può comprender da questa ragione. Nel trattato della disposizione non si contien altro che la division delle parti del parlar oratorio in proemio, in narrazione, nelle sedi, e nella perorazione, nelle quali non s'insegna quasi altro, che alterar il giudice con lusinghe, con affetti, con adulazioni, e con mille simulazioni, la qual cosa è fuor della sostanza dell'arte; adunque il trattato della disposizione è fuor dell'arte ancor esso, come egli medesimo tacitamente lo dimostra nel proemio universale per queste parole: le quali cose poichè sono così, è manifesto essi trattar ciò che è fuor della cosa, come che cosa sia di mestieri al proemio, alla narrazione, e a ciascuna delle altre parti della orazione; perciocchè in esse non insegna quasi altro, che in qual maniera possino render il giudice di tal qualità, di qual essi vogliano, cioè non qual dovrebbe essere, ma qual lo vogliono che sia verso di loro, cioè amico e favorevole. Qui potrebbe alcuno forse ricercar, per qual ragione Aristotile non abbia trattato di tutte queste tre parti accidentali in un libro appartatamente, ma le abbia riferite parte nella Poetica, parte nella Rettorica. A questa dubitazione si può rispondere che non pareva convenirsi alla gravità filosofica di far una facoltà separatamente di materia così bassa, spettante non alle sedi e alle cose, ma a certe adulazioni, e a certe vanità di parole, le quai cose però trattate, come giunte in questa e in quella facoltà, si rendono comportabili. Per tanto vedendo egli tutto il soggetto della elocuzione, disposizione, e azione appartener principalmente alla Poetica, e una parte anco alla Rettorica, tutto quello che potea servir al poeta solamente lo riservò alla Poetica, e quello che potea servir parimente all'oratore, lo trasportò dalla Poetica in questo terzo libro della Rettorica, come ne fa comprender nell'ultima parte del suo proemio particolare. Possiamo anco dire che ciò non facesse, dovendo favellar di esse ne' predetti due libri della Poetica e della Rettorica, per non replicar il medesimo due e tre volte senza alcuna necessità. Ma di questa prima distinzione fatta nel fin del proemio sia detto fin qui abbastanza; trascorriamo a quella dell'intiero e legittimo trattato, nel quale abbiamo dimostrato comprendersi tutte le cose sostanziali. Diffinisce dunque la rettorica Aristotile essere una facoltà di considerar in ciascuna cosa proposta tutto quello che vi occorre accomodato all'acquistar fede; le attribuisce per genere più prossimo facoltà, per estendersi ella, come dice Alessandro Afrodiseo, a cose che hanno tra loro opposizione, e per potersi applicar all'una e all'altra; non la diffinisce nè per scienza nè per arte, per non avere ella certo e determinato soggetto; avvenga che si possa ridur sotto metodo di arte, essendo altra cosa, come dichiareremo ancora più sotto, esser arte propriamente, e altra potersi ridur sotto metodo di arte. Le dà per differenza il considerar in ciascuna cosa proposta tutto quello che vi occorre accomodato ad acquistar fede; per il che la distingue da tutte le altre professioni, che si travagliano in alcuna particolar materia. Si può dir che la separi eziandio dalla Dialettica; perciocchè intendendo tutto quello che vi occorre accomodato ad acquistar fede, in quella maniera che lo distingue nella divisione che seguita, certo è che comprende e le sedi inartificiose, e le sedi affettuose, e le accostumate, adoperando le une, e non adoperando le altre. Alla Dialettica, per rimover gl'impedimenti e i contrarj che nelle disputazioni alle volte occorrono, basta solamente saper risponder al sillogismo sofistico; alla rettorica, per rimover tutti gl'impedimenti e contrarj che si adducono nelle cause civili appresso giudici, per il più malvagi e ignoranti: oltre gli entimemi adombrati e apparenti fa di mestieri aver cognizione e delle prove inartificiose, e degli affetti, e dei costumi, le quali tutte per mio giudicio fanno qualche differenza tra queste due facoltà, onde s'inganna grandemente Ermogene, credendo per la presente diffinizione, da lui non così ben considerata, essere abbracciata e la rettorica e la dialettica. La elocuzione, la disposizione, e l'azione non la volse comprender per le ragioni che abbiamo detto lui essersi messo. Onde poteva Quintiliano per avventura riprender più tosto Aristotile, perchè avesse avuto un tal pensiero, che incolpar la sua diffinizione, la quale nel vero secondo la sua volontà e il suo umore non poteva essere nè più perfetta nè maggiormente accomodata. Giudiziosamente adunque dalla presente diffinizione raccoglie la presente divisione e suddivisione che le sedi altre siano inartificiose, altre siano artificiose; e delle artificiose altre dimostrative, altre affettuose, altre accostumate. Delle inartificiose parla nell'ultimo capo del primo libro nel trattato del genere giudiciale: delle dimostrative, che aspettano all'argomentar, ragiona in tutto il primo libro, fuori che nell'ultimo capo, e ne' sette ultimi capi del secondo libro: delle affettuose tratta ne' primi dieci capi del secondo libro; e delle accostumate incontanente nell'undecimo, nel duodecimo, e nel terzodecimo capo del medesimo; ma da ciò che prossimamente abbiamo detto, può nascer una importantissima questione, perchè delle sedi inartificiose non abbia trattato Aristotile secondo l'ordine della proposta divisione, o nel primo luogo avanti, o nell'ultimo dopo tutte le sedi artificiose, ma incontanente dopo il genere giudiciale; e oltre ciò, perchè non abbia favellato prima delle sedi accostumate e affettuose, e poscia di tutte le dimostrative, continuando dal principio alla fine, e similmente perchè non abbia fatto preceder le accostumate alle affettuose, ma si diparta da quello che ci avea tacitamente promesso nella sua suddivisione fatta da sè nel terzo capo dopo il proemio: per risoluzione delle quali dubitazioni dobbiamo sapere che Aristotile nel suo procedere non serva sempre un medesimo ordine, ma alcuna volta, quando altro non impedisce, usa l'ordine secondo la proposizion da sè fatta, alcuna volta lasciando questo, adopera l'ordine secondo la conformità e similitudine delle materie, alcuna volta si prevale dell'ordine della facilità secondo che un trattato preposto dà agevolezza al seguente a non moltiplicare in parole; ora si serve dell'ordine della dignità, cominciando dalla più perfetta e più nobile; alle volte ancora, quando vuol dir poche cose di qualche parte, la prepone a quelle che le sono prime per natura, delle quali ha da parlar più a lungo distesamente, e ciò fa variando dal suo primo proponimento, non però senza qualche potentissima ragione. Nel trattar dunque delle sedi inartificiose, non molto curandosi dell'ordine della divisione, usa quello della conformità che esse aveano col genere giudiciale, essendogli grandemente appropriate, e prestandogli infinite proposizioni. In quanto alle sedi poi artificiose comincia dalle dimostrative, per essere prime per dignità, e sole sostanziali per sè tra tutte le altre, e le divide nelle proposizioni particolari a ciascun genere deliberativo, dimostrativo e giudiciale; e nelle proposizioni comuni a tutti questi tre generi, e ne' luoghi comunissimi della rettorica con tutte le altre arti, e specialmente con la dialettica. Or dopo le proposizioni particolari de' tre generi e le sedi inartificiose, fa seguitar il trattato degli affetti e de' costumi, perciocchè ambidue prestano infinite proposizioni a questo, ed a quell'altro genere, come si lascia intender nel fine del secondo, e nel principio del decimottavo capo del secondo libro. Ragiona dunque degli affetti e de' costumi insieme insieme, e in quanto proposizioni, e in quanto affetti e costumi, per non riferire il medesimo senza necessità in un altro luogo separato: a questi seguono le proposizioni comuni e i luoghi comunissimi. Prepone eziandio le sedi degli affetti a quelle de' costumi, dovendo trattare nel secondo luogo anche de' costumi che sono secondo gli affetti, i quali si potevano comprendere dal trattato degli affetti senza descriverli altramente in particolare; onde venendo a ragionare de' costumi dopo che avea prima scritto degli affetti non gli accade, se non accennare quelli degli affetti per enumerazione, e dimostrare che luogo avessero tra gli altri costumi, che nascevano dagli abiti, dalle età, dalle fortune, e dalle forme e maniere delle repubbliche, secondo i fini che ciascuna si proponea: comparte dunque le sedi artificiose in quelle de' costumi, degli affetti, e delle dimostrazioni; tratta di tutte tre giudiciosamente ne' luoghi che abbiamo dimostrato non senza considerazione; e perchè comincia dalle dimostrative, vediamo la loro divisione, e il progresso di Aristotile. Pone dunque di esse nel quarto capo due specie l'entimema e l'esempio, che corrispondono al sillogismo e alla induzione, dichiarando che cosa sia l'uno e l'altro, e che differenza sia tra loro, indi continuando viene a trattar nel quinto, sesto e settimo capo della materia e forma di ambidue; ed entra poi a dimostrar la differenza degli entimemi, onde nasce la loro divisione, la quale consistendo nelle proposizioni, di cui si cavano le conclusioni degli entimemi, e ne' luoghi, promette, distinte le forme della rettorica in deliberativa, dimostrativa e giudiciale, di dover parlar prima delle proposizioni così delle proprie a ciascuno, come delle comuni a tutti i tre generi, e poscia de' luoghi; per tanto scrive dall'undecimo capo fino al vigesimonono delle proposizioni proprie al genere deliberativo, dimostrativo, e giudiciale; e delle comuni in tutto il quartodecimo del secondo libro, interponendo tra queste e quelle il trattato delle sedi inartificiose nell'ultimo capo del primo libro, e le sedi degli affetti e de' costumi ne' tredici primi capi del secondo per le ragioni, che brevemente abbiamo addotte per risoluzione di coloro che potevano sopra ciò dubitare. Dopo tutte queste cose discende a ragionare di nuovo dell'esempio nel quintodecimo capo, onde si può traer ancora entimemi, come afferma nel vigesimo capo del secondo libro, e indi un'altra volta dell'entimema in comune, e primieramente della sentenza come di sua parte importantissima; poscia del primo e principalissimo luogo topico dell'investigar gli entimemi, e ultimamente degli altri luoghi così de' leali ed esistenti, come degli adombrati e apparenti, e così de' luoghi che sono atti a dimostrare la cosa essere, come de' luoghi atti a disciogliere la già dimostrata. Il trattato delle sedi inartificiose lo divide nelle leggi, ne' testimoni, nelle scritture, ne' tormenti e ne' giuramenti; insegnando quanto si può dire, e per l'una parte e per l'altra in ciascheduno. Il trattato degli affetti lo ha diviso in tanti capi quanti sono gli affetti, considerando in ciascuno oltra la loro distinzione, queste tre cose di grandissima importanza, in qual maniera siano disposti coloro che si trovano in un tale affetto, contra, o verso quali persone si sogliono muovere a tal affetto, e per quai cause si muovano a tale affetto. Il trattato de' costumi lo ha distinto secondo gli affetti, secondo gli abiti delle virtù e de' vizj, secondo le età, che è gioventù, vecchiezza e virilità, secondo le fortune de' ricchi, de' nobili, de' potenti, e di coloro che sono in qualche gran prosperità di fortuna, e secondo le forme delle Repubbliche, che è la signoria di un solo divisa nella tirannide e nel regno, in quella de' pochi potenti, in quella de' pochi buoni, ed in quella di tutto il popolo; e così dà intiero compimento a tutto ciò che virtualmente in poche parole avea compreso nella diffinizione della rettorica e nella principal divisione e suddivisione delle sedi, che erano le sue parti sostanziali rinchiuse ne' due primi libri; seguita che consideriamo ancora alcuna cosa intorno al compartimento del terzo libro, nel quale abbiamo detto Aristotile aver riservato separatamente le altre cose accidentali della rettorica, che erano non delle cose e delle sedi, ma del modo di spiegarle e di compartirle nelle parti della orazione. Ragiona dunque prima dell'azione: perciocchè non avea da dir di essa molte cose, quantunque per natura non fosse prima; indi passa alla elocuzione, per natura prima dell'azione, ed ultimamente perviene alla disposizione. Il trattato della elocuzione lo distingue in tre parti principalissime, nel proemio, nel trattato della elocuzione in sè in comune non applicata a cosa particolare, come accenna nelle prime e nelle ultime parole del nono capo del terzo libro. Il trattato della elocuzione in comune lo distingue di nuovo in sette capi, ne' quali appartatamente ragiona della chiarezza della orazione, del parlar emendatamente, dell'ampiezza, del decoro, del numero, dell'orazion rivolta con periodi, e della orazione e della elocuzione urbana e civile. Il trattato dell'elocuzione in particolare lo distingue in due membra, nell'uno de' quali dimostra qual debba essere parlando e quale scrivendo; nell'altro qual debba essere differentemente nel genere dimostrativo, quale nel deliberativo, e quale nel giudiziale. Nel trattato della disposizione ultimamente distingue le parti della orazione in proemio, in narrazione, in sedi e in perorazione, e tratta separatamente di ciascheduna, e così compie tutte le cose accidentali della rettorica riservate al terzo libro, e discompagnate da' due primi. Molte altre suddivisioni si potevano fare minutamente nella presente introduzione, ma perchè si vedranno quasi tutte più distintamente ancora con le continuazioni proprie di Aristotile nelle tavole che seguiranno, non ho voluto qui inutilmente distendermi più a lungo. Resta a compimento della introduzione che ci abbiamo proposto da principio, di ricercar il titolo dell'opera; che grado debba tener tra gli altri libri della logica e della filosofia umana nell'essere letta; che metodo servasse nell'insegnar Aristotile, e sotto qual ordine de' suoi libri la riferisse o tra gli acromatici, o tra gli exoterici: perchè anco di ciò è qualche differenza tra giudiciosi. Il titolo dell'opera è sì fatto: DELL'ARTE RETTORICA DI ARISTOTILE, LIBRI TRE, come ci fanno piena testimonianza molti antichissimi libri a mano. Dalla presente soprascrizione può nascer alcun dubbio, perchè Aristotile intitolasse la rettorica arte e non facoltà, secondo che la diffinisce, e perchè attribuendole il nome di onoratissima nel secondo capo del primo libro dell'Ettica, che conviene solamente alle scienze ed agli abiti attivi, non la nominasse scienza. Pertanto la chiama egli onoratissima, non riputandola tale semplicemente in sè, ma in quanto a quella parte che ella toglie a prestanza della politica, e in quanto si veste la persona del filosofo morale e civile, trattando della beatitudine, delle virtù, degli affetti, de' costumi, delle leggi, delle maniere delle repubbliche, e non in quanto rettorica: onde propriamente non le aspetta il grado di scienza, non avendo ella alcun certo e determinato soggetto, travagliandosi in ogni materia proposta, ove occorre cosa accomodata ad acquistar fede; e però sapientissimamente Aristotile afferma, coloro distruggere e corromper la sua natura, che la onorassero ed adornassero come scienza e non come facoltà. La intitola adunque arte, quasi volendo inferir non mai da alcun altro per addietro, ma da sè primo e solo ridotta in ARTE, non meritando un tal nome dalla composizione degli altri sofisti e rettori. Or perciocchè ad una tal commendazione che si voleva tacitamente attribuir Aristotile, conveniva più il nome di arte, che di facoltà, l'ha nel titolo nominata arte, e nella definizione facoltà, quasi significando facoltà ridotta da sè prima in arte perfettamente. Ma ricevendo il nome dell'arte due diverse significazioni, vediam qual più gli piacesse di attribuirle. È dunque l'arte in sè ricevuta un abito sufficiente di operar con ragion vera alcuna opera, o alcun lavoro intorno a cose che possono variamente avvenire, onde ogni artefice si travaglia nel far alcuna fattura particolare; impropriamente tolta, si può dir che ella sia una radunanza di molti precetti universali che attendano ad uno istesso fine. È attribuito il nome di arte dal Filosofo alla rettorica non secondo la prima e propria maniera di diffinizione, ma secondo l'altra: per il che parimente da lui medesimo è detta metodo ed artificioso metodo, che significa certa via, ed ordine d'insegnare con artificio, come le diede veramente Aristotile, distinguendo prima i tre generi delle orazioni, ed attribuendo poscia a ciascuno le sue proprie proposizioni per formar entimemi deliberativi, dimostrativi e giudiciali, ed indi accompagnando quelle che sono comuni a tutti tre, e finalmente aggiungendo i luoghi comunissimi degli entimemi, la qual cosa non era stata mai fatta per addietro da passati scrittori. Si può dunque dir meritamente la rettorica arte propria di Aristotile e non di alcun altro, avendo ella da lui solo e primo ricevuto la forma dell'arte. È chi pensa questi tre libri essere quelli, che da lui sono stati scritti a Teodette, ma citando il proprio autore quegli nel terzo di questi, appar non essere i medesimi, i quali riconosce egli per suoi in tanti luoghi, riferendosi ad altri suoi libri, che non può dubitar di questi, chi non dubitasse e dell'Ettica, e della Politica, e della Priora, e della Topica, e degli Elenchi, e della Poetica. Riceviamo adunque volentieri ancor noi il presente titolo come egli sta, e ringraziamo Aristotile che si abbia degnato di ridur sotto metodo ancora la presente facoltà a beneficio de' posteri e di coloro che con ogni studio si affaticheranno d'intenderla e di adoperarla. Questa senza dubbio, in quanto parte di tutta la logica, deve seguir incontanente a' libri della Topica e degli Elenchi, a somiglianza de' quali è stata composta, onde la chiama un rampollo che nasce e si nutrisce dalle radici dell'una e dell'altra; può essere qualche difficoltà, se la debba precedere, o seguir alla scienza morale, o civile, poichè è composta anco da lei, come abbiamo già detto da principio; ma la presente quistione, a chi ben considera, non è molto difficile; perciocchè quantunque la rettorica riceva molte parti dalla politica in quanto alla materia civile, può nondimeno adoperarsi ella in ciascuna altra, come lo prova Aristotile nella sua diffinizione; pertanto trattando ella dell'entimema e dell'esempio e de' luoghi comuni per avventura più necessarj alla filosofia umana, che non le è forse la induzione e il sillogismo, non segue al parer mio disconvenienza veruna, se per sua natura debba procedere alla facoltà de' costumi nell'esser appresa, essendo come una certa dialettica civile, e insegnando gli argomenti probabili applicati per il più alle cause che cadono ogni giorno in consultazione nelle città e nelle repubbliche, e che possono essere disputate dall'una e dall'altra parte; della cognizion de' quali ha grandemente bisogno chiunque si mette prima alla dottrina de' costumi e delle azioni civili, per poter discerner in loro il ben dal male, e il vero probabile dall'apparente. In quanto al metodo e all'ordine di procedere tenuto da Aristotile ne' libri de' predicamenti e dell'interpretazione fino alla Priora usa principalmente il compositivo, cominciando dalle cose semplicissime alle composte, e dalle composte alle ricomposte, cioè da' dieci predicamenti a1 nome ed al verbo, dal nome e dal verbo alle proposizioni che di essi prima si compongono, e dalle proposizioni al sillogismo già intiero e come genere. Dal primo della priora, posteriora, topica, elenchi e rettorica usa poi l'ordine risolutivo, principiando dal sillogismo come genere, e poi risolvendolo nelle sue principalissime specie nel dimostrativo, nel dialettico, nel sofistico, nel rettorico leale, che è l'entimema vero, e nell'apparente, che è l'entimema adombrato e falso. Procede dunque dal genere alla specie, e dalla perfettissima specie alla meno perfetta, e dalla meno perfetta all'imperfetta, e dalla imperfetta alla più imperfetta. Segue ora a veder che metodo tenesse egli particolarmente ne' due libri della rettorica e nel terzo; pertanto incominciando dalla diffinizione, e dividendo poscia le principalissime parti in essa contenute, ed indi suddividendo le già divise, come abbiam fatto vedere, si può dir veramente che proceda con quell'ordine risolutivo, che si fa per via di definizione e divisione, e che è posto da Galeno come una terza specie di metodo. Nel terzo libro così nel trattato della elocuzione, come in quello della disposizione serva l'ordine risolutivo, distinguendo le parti di ciascuna, e trattando di tutte ordinatissimamente, come appar in particolare nel trattato della disposizione, ove risolte le parti del parlar oratorio, ragiona di ciascheduna, ponendo fine a tutta la sua rettorica. Quali siano le opere acromatiche di Aristotile e quali siano le exoteriche, avendo io dichiarato brevemente nella introduzione di tutta la filosofia umana, qui non mi resta a dir altro, se non tra quali si debbano riputar questi tre libri della rettorica. Or essendo essi scritti come una parte della logica, che rendono tutto il suo corpo da ogni parte perfetto. Se la Logica è riferita da tutti tra le opere acromatiche, senza dubbio dovrà essere interposta anche la Rettorica, che è una sua parte, senza la quale non avrebbe ella il suo intiero compimento. Nè so io vedere con che ragione, chi concede la Priora e la Posteriora tra le opere acromatiche, come possa negar poi la Topica, gli Elenchi e la Rettorica, trattando queste delle proposizioni di alcuna specie di sillogismo, come appar manifestamente dal secondo della priora e dal primo della rettorica. Ma che ci occorre qui a disputar più distesamente, potendo noi considerar lei essere acromatica dal perfettissimo e mirabilissimo ordine, che abbiamo già dimostrato essere stata scritta e accompagnata dall'istesso autore alle altre parti della logica e dialettica? Ma perchè Aristotile è solito alle volte trattar del medesimo soggetto, e acromaticamente ed exotericamente, io giudicherei quei libri di rettorica essere stati scritti exotericamente, che sono intitolati a Grillo, a Teodetto, e quei ad Alessandro, se fossero di Aristotile. Molte altre cose si potrebbono riferire a più perfetta e particolar introduzione di questi libri; ma perchè spero che in gran parte siano per supplir le tavole che seguiranno, mi contenterò di quanto ho fin qui detto brevemente, ringraziando il Signore che in questi tempi di sì travagliosa mortalità mi abbia per sua misericordia conceduto grazia di vivere e di affaticarmi forse a beneficio di coloro che vorranno dar qualche opera a questa onoratissima facoltà.

La logica è un'arte che ne insegna le regole di formar argomenti, e specialmente sillogismi in ogni materia, per indur con ragioni o necessarie, o probabili nell'animo, or scienza, or opinione.

Delle parti principalissime della logica contenute

nella sua diffinizione.

Altre sono de' principj, de' quali è composto

il sillogismo.

Delle parti della logica, che sono de' principj,

de' quali è composto il sillogismo.

L'una è delle voci semplicissime, nelle quali si riduce il nome ed il verbo, denotando o sostanza, o quantità, o qualità, o relazione, o luogo, o tempo, o sito, o abito, o azione, o passione, di cui tratta principalmente Aristotile nel libro de' dieci Predicamenti.

L'altra è del nome e del verbo, onde sono composte le proposizioni delle quali tratta Aristotile nel primo libro dell'Interpretazione.

La terza è di esse proposizioni, onde incontanente è composto il sillogismo, delle quali tratta Aristotile nel secondo libro dell'Interpretazione. Questa distinzione è di Aristotile, come appar dalla sua continuazione fatta nel principio del predetto secondo libro, nella qual procedendo con ordine compositivo, comincia dalle cose semplicissime alle composte, e dalle composte alle ricomposte, cioè da' dieci predicamenti al nome e al verbo, dal nome e dal verbo alle proposizioni, e dalle proposizioni al sillogismo già intero, e come genere.

Altre sono del sillogismo già composto.

Delle parti della logica, che sono del sillogismo

già composto.

L'una è che tratta del sillogismo preso come semplice forma comune spogliata di ogni sorte di materia. E questa è contenuta ne' due libri della Priora.

L'altra è che tratta del sillogismo applicato a materia.

La presente distinzione è di Aristotile; come appar delle prime parole del quarto capo del primo libro della Priora.

Delle parti della logica, che trattano

del sillogismo applicato a materia.

La prima parte tratta del sillogismo dimostrativo, che è composto di proposizioni vere, e prima in materia certa ed infallibile, o razionale, o naturale, o soprannaturale, il cui fine è acquistar scienza. E questa è contenuta ne' libri della Posteriora, i quali seguitano i libri della Priora, essendo cosa molto ragionevole prima trattar del sillogismo universale e come genere, che di quello, che è come specie, nella maniera che appar da quel che dice Aristotile nel principio del quarto capo della Priora.

La seconda parte tratta del sillogismo dialettico, composto di proposizioni probabili secondo il parer o di tutti, o de' più, o de' savj, e di questi insieme, o di tutti i savj, o de' più savj, o de' più famosi ed illustri savj in ogni quistione o naturale, o razionale, o civile, ma più nella naturale e razionale, che nella civile, il cui fine è acquistar opinione appresso auditori giudiciosi ed intelligenti. E questa parte è contenuta negli otto libri della Topica, come appar dalla proposizione di Aristotile fatta nel primo capo del primo libro della Topica.

La terza parte tratta del sillogismo sofistico, se però merita nome di sillogismo, che è composto di tali proposizioni ed in tal maniera, che si travaglia in ogni quistione o naturale, o razionale, o civile, ma più nella naturale e nella razionale, che nella civile; questa parte ha per fine di acquistar la facoltà di poter confutar le opinioni false ed apparenti probabili, la qual cosa non si può avere senza saper che cosa sia sillogismo sofistico, per conoscer in che maniera se gli possa rispondere e dimostrar la sua apparenza e falsità, ed è contenuta ne' due libri degli Elenchi. La presente distinzione di queste tre maniere de' sillogismi è d'Aristotile, come appare dalla sua continuazione nel primo capo del primo libro della Topica.

La quarta parte tratta del sillogismo oratorio esistente e leale, che è composto per lo più parimente di proposizioni probabili in ogni quistione o naturale, o razionale, o civile; ma specialmente nella civile del genere dimostrativo, deliberativo e giudiziale, il quale corrisponde al sillogismo dialettico, ed è composto ora di tre proposizioni maggiore, minore e conclusione; ma per il più, ora della maggiore e della conclusione solamente, ora della minore e della conclusione, onde è detto entimema. E questa è contenuta quasi ne' due primi libri della Rettorica d'Aristotile, ed ha per fine l'insegnar in che maniera si possa acquistar opinione appresso auditori imperfetti, che non possono penetrar tanto addentro, nè a ricordarsi così ogni cosa, come sono coloro che ascoltano le orazioni dimostrative, deliberative e giudiziali, i quali sono per il più persone popolari ed idiote. Quindi appare che particella sia della logica questa parte della rettorica, che rampollo sia alla dialettica, e che similitudine abbia con lei, come afferma Aristotile nel capitolo del genere deliberativo.

La quinta parte tratta del sillogismo oratorio falso, cioè dell'entimema adombrato ed apparente, che è composto in tal maniera, che travagliandosi in ogni quistione o naturale, o razionale, o civile, ma più nella civile del genere dimostrativo, deliberativo e giudiziale, non prova, ma par di provare, il quale corrisponde al sillogismo sofistico. Questa parte ha per fine l'insegnare a confutar gli entimemi falsi ed apparenti appresso auditori non così svegliati ed accorti, la qual cosa non si può far senza saper che cosa sia entimema adombrato ed apparente, ed in che luogo è fondato, per conoscer in che maniera gli si possa rispondere e far vedere la sua apparenza e falsità. Questa è contenuta nel penultimo capo, del secondo libro della Rettorica. Quindi appare che particella sia della logica la presente parte della rettorica, e che somiglianza abbia con quella della sofistica, detta elenchi, che tratta del sillogismo sofistico, e che rampollo le sia, come afferma Aristotile nel capitolo del genere deliberativo.

La rettorica, la quale vuole Aristotile essere una parte della logica molto simile alla dialettica e alla sofistica, è facoltà di procurare ragioni probabili universali in ogni materia contingente, ma più nella materia contingente civile consultativa del genere deliberativo, dimostrativo e giudiziale dalle proposizioni proprie e comuni, e da' luoghi comunissimi degli argomenti, a cui si aggiunge il trattato della elocuzione, azione, e disposizione, non come cose sostanziali, ma come aggiunti e accidenti della rettorica, che non le sono necessarie tanto per sè stesse, quanto per rispetto del cattivo auditore.

Delle parti pirincipalissime de' tre libri della rettorica, sapientissimamente ridotta in arte da Aristotile.

L'una è il proemio col quale rispondendo a tutte quelle opposizioni, che gli ostavano in contrario al mettersi di nuovo allo scrivere rettorica, si apre la via alla sua diffinizione e divisione, ed indi a tutto il seguente trattato, nella maniera che dimostra nella conclusione del proemio per queste parole: Ora proviamo di parlare di questo metodo, quasi inferendo, poichè abbiamo fatto vedere nell'esordio la rettorica potersi ridurre in arte, e non essere stata ridotta da altri finora perfettamente; ed essere utile, e il suo ufficio non essere il persuadere, ma il considerare tutto quello che è atto in ciascuna cosa proposta ad acquistar fede.

L'altra è tutto il trattato della rettorica perfettamente ridotta in arte da Aristotile, come appare dal trapasso che fa egli dal proemio al legittimo cominciamento per queste parole. Ma ora proviamo di parlare di questo metodo, per esporre in che maniera, e da quali cose potremo conseguir quanto ci abbiamo proposto. Di nuovo dunque cominciando, come da principio, poichè avremmo diffinito ciò che ella si sia, passiamo al rimanente.

Delle parti principali del proemio della rettorica

ridotta in arte da Aristotile.

La prima è quella, nella quale rispondendo egli a coloro che erano di contraria opinione, dimostra il soggetto della rettorica potersi ridurre in arte con questi due argomenti. La rettorica e la dialettica sono simili; perciocchè l'una e l'altra sono di cose comuni, e di nessuna scienza determinata, ma di quelle facoltà, che sono di cose comuni, e di nessuna scienza determinata, tutti possono partecipare fino ad un certo che; la dialettica e la rettorica sono tali; adunque tutti possono partecipare fino ad un certo che della rettorica e della dialettica: onde tutti possono e inquerire, e sostenere conclusioni, e accusare e difendere. Ciò provato fa seguitare il secondo argomento. Ora quel che si fa bene dagli uomini del volgo è alle volte a caso, alle volte per una lunga usanza: osservata e notata la causa da' savj, onde ciò possa avvenire, si può ridurre in arte l'inquerire e il sostenere conclusioni, l'accusare e il difendere si fa bene dagli uomini del volgo alle volte a caso, alle volte per una lunga usanza. Adunque l'inquerire e il sostenere conclusione, l'accusare e il difendere si può ridurre in arte. Dunque eziandio il soggetto della rettorica si può ridurre in arte, come è stato ridotto quello della dialettica.

La seconda è quella, nella quale rispondendo a coloro che mossi dall'autorità degli antichi professori di rettorica stimavano essere soverchio dopo loro regolare, e ridurre in metodo una tal facoltà, dimostra da tutti loro fino a' suoi tempi non essere stata sufficientemente trattata, e per conseguente non indarno aversi egli messo di muovo ad una tale impresa, la qual cosa va provando con questi due sillogismi. Tutti coloro che hanno composto l'arte del dire, e che hanno in essa lasciate le sedi e gli entimemi, che sono la vera sostanza dell'arte, e che solamente hanno dato regole intorno a cose che sono fuori dell'arte, essi per certo imperfettamente hanno trattato della rettorica; tutti coloro che hanno composto un tal soggetto finora hanno ne' loro libri lasciate le sedi e gli entimemi, ed hanno solamente dato regole intorno a cose, che sono fuori dell'arte: adunque tutti coloro che finora hanno composto l'arte del dire hanno imperfettamente trattato della rettorica; il qual argomento va provando da questa inconvenienza, che le loro rettoriche non darebbono giovamento alcuno a quegli oratori che avessero a parlare in una repubblica, e in un giudicio ben regolato, ove fossero vietate le cose estrinseche dell'arte, e quegli affetti e adulazioni inutili: il secondo sillogismo è di questa maniera. Coloro che insegnano nelle loro rettoriche, in quale maniera si dimostri la cosa che viene in giudicio, essere giusta o ingiusta, grande o picciola, che è cosa propria del giudice, e non insegnano in qual maniera lei si dimostri essere fatta, o non essere fatta, la qual cosa sola è propria di chi parla nelle cause in una repubblica ben regolata, essi per certo si affaticano intorno a cose che sono fuori dell'officio dell'oratore. Coloro che hanno scritto rettorica finora fanno questo; adunque coloro che scrivono rettorica si affaticano intorno a cose che sono fuori dell'arte, e dell'officio dell'oratore. Quindi viene per digressione a dimostrare, perchè gli altri scrittori abbiano trattato più copiosamente del genere giudiziale, che del deliberativo; dopo la qual argomentazione dimostra nessun altro poter ridurre tal soggetto in arte, se non il logico e il dialettico. E ciò fa, per escludere i retori dallo scrivere, e ridurre in arte la rettorica.

La terza è quella nella quale rispondendo a coloro, che stimavano la rettorica inutile alla generazione umana, e per conseguente indegna da essere ridotta in arte da un filosofo, che facesse professione di scrivere cose giovevoli alla vita, dimostra essere utilissima con questi argomenti. È cosa utile insegnare in quale maniera possiamo difendere le cose giuste e non lasciarle opprimere dagli uomini scellerati. La rettorica ne insegna difendere le cose giuste, e non lasciarle opprimere dagli uomini scellerati; adunque la rettorica è utile. A questo aggiunge il seguente argomento tolto dal luogo dal minore al maggiore. Se è cosa vituperevole il non ci poter sovvenire con le forze del corpo, la qual cosa è meno propria all'uomo, quanto dobbiamo riputare cosa più vituperevole il non ci poter sovvenire con il parlare e argomentare, che ci è molto più proprio: onde va continuando a confutare la ragione di coloro, che giudicavano la rettorica inutile, per potersi adoperare al male; e fa vedere ciò non avvenirle per alcuna sua colpa, ma per mancamento di coloro che ingiustamente l'adoperavano, siccome anco infiniti usavano male e la gagliardia del corpo, e le ricchezze, e l'arte militare, per loro stesse sommamente giovevoli e necessarie.

La quarta è quella nella quale dimostra qual sia l'officio della rettorica, e se ad essa aspetta a trattar del persuasibile e dell'apparente persuasibile, siccome fa la dialettica del sillogismo probabile e del sillogismo apparente e sofistico; e ciò premette il prudentissimo filosofo, per aprirsi la via alla diffinizione che dovea fare, la quale tutta dipende da queste due cose già proposte, e confermate; onde la diffinisce facoltà non di persuadere, come gli altri volevano, ma di vedere ciò che è atto in ciascuna cosa proposta ad acquistar fede, le quali parole tacitamente comprendono e l'officio della rettorica, e il trattato degli entimemi adombrati e apparenti, senza la cognizione de' quali non può dirsi l'oratore aver veduto tutto ciò, che in ciascuna cosa proposta sia atto ad acquistar fede, senza sapere il modo di confutare le ragioni apparenti e false, che fossero state addotte nella causa dagli avversarj, e senza sapere il modo di rimuovere tutti i contrarj. Onde altrove afferma la rettorica essere simile parte alla dialettica, parte alla sofistica.

Delle parti di tutto il trattato della rettorica

ridotta in arte da Aristotile.

L'una è intorno alle cose, senza le quali assolutamente non si può adempir l'officio dell'oratore, dette sedi, contenute nella diffinizione e divisione della rettorica. E queste sono per natura le prime, essendo in ordine prima le cose e le sedi, che il modo di spiegarle e di trattarle. Per il che sono comprese ancora ne' due primi libri.

L'altra è intorno al modo, ed alle maniere di trattar le cose e le sedi, cioè de' certi accidenti della rettorica, i quali non sono per sé stessi assolutamente necessarj all'oratore, ma solamente per rispetto de' cattivi auditori. Onde non sono intese nella diffinizione, né meno sono comprese in essa divisione della rettorica, anzi sono riservate al terzo libro, come quasi in un trattato separato dalle cose essenziali. E queste sono per natura le seconde, essendo secondo in ordine il modo di trattar le cose e le sedi, e prima le cose, e le sedi istesse che ricevono il modo e la maniera di esser trattate.

La presente distinzione è di Aristotile, quando nel fine del proemio passando al legittimo trattato, disse: Ora proviamo di parlar di questo metodo, per esponer (in che modo) intendendo dell'elocuzione, azione e disposizione, e (da quai cose) intendendo delle sedi, possiamo conseguir quanto abbiamo proposto. Per la qual cosa a questa distinzione da sè stesso fatta, e non ad alcuna altra avendo riguardo nel fine del secondo libro, trapassando dalle cose e dalle sedi istesse al modo di trattarle, disse: ci resta ora a parlar della elocuzione e della disposizione; e nel principio del terzo: essendo tre le cose, delle quali si ha da trattare intorno al parlar oratorio; l'una onde provengono le sedi, l'altra della elocuzione, la terza in qual maniera si debbano ordinar le parti dell'orazione. Abbiamo già detto delle sedi, e di quante e quali cose elle si facciano, cioè dagli affetti e da' costumi e dalle dimostrazioni; segue che ragioniamo della elocuzione, non bastando aver quel che si ha da dire, ma bisognando anco dirlo come si conviene. Pertanto abbiamo cercato prima quello che naturalmente è primo, cioè le cose istesse che ci acquistano fede, e poscia in che modo si abbiano da trattare; le quali continuazioni non avrebbe egli usato se non avesse avuto prima relazione a tal distinzione fatta da sé nel fin del proemio, la qual propone egli prudentissimamente alla diffinizione ed alla divisione della rettorica, per aver la mira di comprender in esse solamente le cose sostanziali, e di riservar le cose accidentali nel terzo libro, come quasi in un altro trattato fuor della sua vera intenzione, diffinizione e divisione, a compiacimento altrui, e per persuader il giusto anco per questa via appresso i cattivi auditori. Or che la sua intenzione sia questa il dimostra il secondo libro, ove parla delle proposizioni comuni a' tre generi, riferendo quanto ha detto, ed aggiungendo quanto gli restava da dire nel seguente trattato; e perciocchè in ciascun genere di orazioni era un certo fine diverso, di tutte queste cose sono state poste innanzi le opinioni e le proposizioni, dalle quali e consigliando, e dimostrando, e litigando si traggono le sedi, e parimente donde si facciano le orazioni accostumate: ci resta a parlare delle proposizioni comuni. Queste determinate e spiegate, proveremo di ragionare degli entimemi in comune, e degli esempi, se abbiamo a dire alcuna cosa, acciocchè aggiungendo noi ora tutte quelle parti che ci restano a dire, possiamo dare intiero compimento a quanto dal principio ci abbiamo proposto. Qui si devono considerare quelle parole: a quanto da principio ci abbiamo proposto; che mai Aristotile ha proposto nel principio del legittimo trattato di dover scrivere di altro, che delle proposizioni particolari, delle proposizioni comuni, e de' luoghi comuni degli entimemi, nè mai della elocuzione, disposizione, e azione. Si devono ancora ponderar quelle altre parole (aggiungendo noi tutte quelle parti che ci restano a dire), cioè delle proposizioni comuni, degli esempi, e degli entimemi, possiamo dare intiero compimento a quanto da principio ci abbiamo proposto. Se adunque il trattato della rettorica con le proposizioni proprie e comuni, e con gli esempi ed entimemi, come appare dalla sua continuazione, aveva intiero compimento, certo è che il terzo trattato dell'elocuzione, disposizione e azione non appartiene all'intiero compimento della rettorica da lui divisata, ma è oltre la sua proposta, come un altro trattato separato.

Delle parti sostanziali della rettorica, ridotta in arte da Aristotile, contenute nella sua diffinizione, e divisione, dette sedi, ovver prove, ovver persuasioni, senza le quali assolutamente non si può adempire l'officio dell'oratore.

L'una parte è delle sedi, o delle prove inartificiose, come sono leggi, testimoni, scritture, tormenti e giuramenti, che non sono altramente ritrovate dall'ingegno e dalla industria dell'oratore, ma gli sono apportate di fuori dalla causa e da' litigati, delle quali per essere elle grandemente proprie al genere giudiziale, e per sovvenirlo di molte proposizioni, tratta nell'ultimo capo del primo libro della rettorica incontanente, poichè ha trattato del genere giudiziale, quantunque secondo l'origine da lui proposto dovrebbe avere trattato di esse, o prima che di tutte le prove artificiose, o in ultimo dopo di tutte le prove artificiose.

L'altra è delle sedi, o delle prove artificiose, ritrovate dall'ingegno e dalla industria dell'oratore, delle quali tratta Aristotile in tutto il primo e secondo libro della rettorica, fuorchè nell'ultimo capo del primo libro, ove abbiamo detto lui aver trattato delle prove inartificiose, come grandemente pertinenti al genere giudiziale. Questa divisione è di Aristotile, quando disse dopo il proemio: la rettorica essere una facoltà di considerare in ciascuna cosa proposta ciò che occorre accomodato ad acquistare fede, e le sedi essere altre inartificiose, altre artificiose.

Delle parti del trattato, che è intorno alle sedi, ovvero alle prove artificiose, contenute quasi ne' due primi libri della rettorica.

La prima è intorno alle ragioni e all'argomentazione e disputazione della causa, quando l'oratore procura di acquistarsi fede appresso gli auditori dimostrando, o parendo di dimostrare ciò che dice essere vero, o apparente vero. Questa parte comprese Aristotile in tutto il primo libro, e ne' sette ultimi capi del secondo della rettorica. E per questa solamente la rettorica è parte della logica, e simile alla Topica, considerando ambedue i luoghi comunissimi.

La seconda è intorno agli affetti, quando l'oratore rimovendo i contrarj affetti mossi dagli avversarj con la forza del dire, procura di condurre coloro che hanno a giudicare a qualche giusta passione di animo o ad ira, o ad invidia, o a misericordia, o ad amore. Onde diversamente travagliati inclinino a favorire o a disfavorire quella parte, a che la giusta alterazione mossa gli sospingerà. Questa comprese Aristotile ne' primi dieci capi del secondo libro. Perciocchè essendo la sua intenzione di trovare molte proposizioni, onde si compongono gli entimemi, e avendo nel primo libro fatto vedere tutte quelle che si potevano avere nel genere deliberativo, dimostrativo e giudiziale, convenevolmente accompagna ancor queste altre, che si possono avere dagli affetti. Diremo dunque che in quanto il presente trattato presta infinite proposizioni, lo fa seguitare qui nel principio del secondo libro, come in luogo convenientissimo, avvengachè in quanto trattato degli affetti dovesse farlo seguitare dopo tutto l'intiero trattato, che spettava all'argomentazione, dopo i luoghi topici. Or che nel trattare gli affetti Aristotile adduca infinite proposizioni, il dimostra apertamente nel fine del primo capo del secondo libro e nel capitolo decimottavo del secondo libro. Il trattato degli affetti adunque è considerato da Aristotile in tre modi, e come trattato che presta infinite proposizioni a far entimemi, e allora è sostanziale per sè assolutamente, ed è parte essenziale della sua rettorica. Ed è considerato ancora come trattato che ci dà cognizione in qual maniera si muovono gli affetti non già per muoverli, ma per saperli rifiutare mossi da altri, e in questa maniera è sostanziale non per sè assolutamente, ma secondo un certo che; in quanto al muover gli affetti semplicemente non lo considera egli altramente; perciocchè allora non ha che fare con la rettorica da sè formata, e non è sostanzial parte di essa, nè per sè assolutamente, nè secondo un certo che, e così parimente il trattato de' costumi.

La terza è intorno a' costumi di colui che parla, quando egli si dimostra per tale con le maniere della sua orazione che meriti la credenza degli auditori: perciocchè a coloro che si fanno scorgere per prudenti, per giusti, per forti, per temperati, per religiosi, per pazienti, per modesti, per ben creati, per fedeli, e finalmente per persone che non facessero cosa alcuna contra l'onesto, e il dovere in ogni causa, ma specialmente nelle dubbiose, sogliamo prestare maggiormente fede. Questa parte comprese Aristotile nell'undecimo, duodecimo e terzodecimo capo del secondo libro: perciocchè presta ancor essa infinite proposizioni ai tre generi, avvengachè in quanto trattato de' costumi dovesse farla seguitar dopo tutta la parte dell'argomentazione, e dopo tutto il trattato degli affetti favellando de' costumi, eziandio che sono proprj degli affetti. Or la presente distinzione delle sedi, o delle prove artificiose in dimostrative, affettuose e accostumate, è di Aristotile nel principio del terzo capo del primo libro dopo il proemio, quando dice: ma le sedi da noi ritrovate con artificio e per via di ragione sono divise in tre specie; altre consistono nel costume di colui che parla; altre nel disporre l'auditore, ed altre nella stessa ragione e disputazione, o dimostrando, o parendo di dimostrare; per questa parte la rettorica è parte della politica de' costumi, e così per quella degli affetti, e in queste il retore si veste della facoltà civile.

Delle parti del trattato di quelle prove artificiose che sono poste nel dimostrare, o nel parer di dimostrare ciò che diciamo esser vero, o apparente vero.

L'una è quella nella quale Aristotile tratta dell'entimema che proviene dal sillogismo, onde si può chiamare oratorio sillogismo, che è una forma di argomentare, quando presupponendo alcune cose per vere, o generalmente, o per il più, ne segue un'altra terza oltra le presupposte, ma per virtù delle presupposte. Questa parte comprese Aristotile nel quarto, nel quinto, nel sesto, nell'ottavo, e in tutto il primo libro, fuor che nell'ultimo capo, e nel quarto decimo del secondo fino al fine, fuorchè nel quintodecimo capo.

L'altra è quella nella quale Aristotile tratta dell'esempio che proviene dall'induzione, onde si può chiamare oratoria induzione, che è una forma di argomentare, quando per molte cose e simili dell'istessa maniera, ma più certe e più note si dimostra alcun'altra essere così per loro somiglianza, ed è non come parte al tutto, nè come tutto a parte, ma come parte a parte, simile a simile. Questa parte comprese Aristotile nel quarto e nel settimo capo del primo libro, e nel quintodecimo del secondo; la presente distinzione è di Aristotile nel quarto capo del primo libro, quando dice: le sedi che si fanno per dimostrare, o per parer di dimostrare, come nella dialettica sono l'induzione ed il sillogismo, così sono similmente nella rettorica, essendo l'esempio induzione e l'entimema sillogismo; e chiamo io l'entimema oratorio sillogismo, e l'esempio oratoria induzione.

Delle parti del trattato degli entimemi.

L'una è delle cose dalle quali come da materia sono composti gli entimemi, la quale è il probabile universale di quello che cade in consultazione, e che si può disputare dall'una e dall'altra parte, e delle quali non siano state già fatte arti appresso tali auditori, che non possono mirare troppo addentro, nè raccordarsi di una lunga schiera de' sillogismi e di proposizioni. Onde è formato l'entimema per il più di due parti, o della maggiore e della conclusione, o della minore e della conclusione. Oltre ciò alle volte ancora sono materia dell'entimema alcuni segni detti tecmirj e dimostrativi, da' quali si può far conclusioni necessarie che non si possono sciogliere, se sono vere le proposte. Di tutta questa materia degli entimemi tratta Aristotile nel quinto, sesto e settimo capo del primo libro, come egli medesimo si va continuando nel fine del settimo capo per queste parole: ma fin qui abbiamo esposto da quai cose si cavano quelle sedi che sono atte a dimostrare quello che intendiamo, ma tra gli entimemi è una gran differenza; e quel che segue nel restante dell'ottavo capo.

L'altra è delle cose nelle quali sono differenti gli entimemi. Onde nasce la loro principale divisione, come appare dalla distinzione fatta da Aristotile nel fine del settimo, e nel principio dell'ottavo capo del primo libro.

Delle parti del trattato che è intorno alle cose, nelle quali sono differenti gli entimemi.

L'una è delle proposizioni le quali si cavano da' verisimili e da' segni, come afferma Aristotile nel fine del nono capo; di cose particolari, come o delle civili, o delle naturali, o di qual si voglia altre che siano differenti di specie. E queste rendono gli uomini periti di alcuna arte. Perciocchè si travagliano intorno a soggetto proprio e particolare. Delle proposizioni tratta Aristotile dal nono capo del primo libro fino alla fine, e nel quartodecimo capo del secondo libro, ed in quanto a queste, considerandole come materia, la rettorica può dirsi essere parte della Politica de' costumi, ed il retore vestirsi della persona del politico mentre tratta di queste.

L'altra è de' luoghi comuni alla rettorica con tutte le altre arti, specialmente con la dialettica; come è il luogo dal maggior, dal minor, dal pari, o dal simile, e da tutti gli altri, da' quali non si può formar entimemi più delle cose civili che delle naturali, o di qual si vogliano altre, che siano differenti di specie. E questi tai luoghi non fanno gli uomini periti in alcuna arte. Perciocchè non si travagliano intorno a soggetto particolare. Onde ancora sono comuni tanto alla dialettica, quanto alla rettorica. De' luoghi tratta Aristotile dal sestodecimo capo fino al fin del secondo. La presente distinzione è chiarissimamente di Aristotile nell'ottavo capo del primo libro, quando dice: dunque, siccome nella topica, così nella rettorica si devono distinguer le forme degli entimemi ed i luoghi: ma chiamo io forme le proprie proposizioni in ciascun genere, e luoghi le proposizioni egualmente comuni a tutti i generi; ma insegniamo prima delle forme. Per questa parte la rettorica è parte della logica, e quasi una cosa medesima con la dialettica; ed il sillogismo dialettico si dice esser rettorico, ed il rettorico dialettico, come chiaramente dimostra nell'ottavo capo del primo libro.

Delle parti del trattato delle proposizioni.

L'una è della distinzion de' generi delle orazioni in deliberativo o dimostrativo e giudiziale, secondo la diversità degli auditori, del soggetto, del tempo e del fine, per poter dimostrare quai proposizioni siano le proprie a ciascun genere, e quali siano le comuni a tutti i tre generi. E questa parte è contenuta nel nono capo del primo libro, come appar dalla proposta di Aristotile fatta nel fine dell'ottavo capo per queste parole: ma prendiam cominciamento dai tre generi, acciocchè, poi che avremo dimostrato quanti si siano, possiamo parlar separatamente de' principj e delle proposizioni di ciascuno. E per dire il vero in qual maniera si avrebbe compreso le proprie proposizioni di ciascun genere, e le comuni di tutti tre, se prima non si avesse distinto tutti i tre generi, e dichiarato ciò che si fosse ciascuno di essi, e che che soggetto si proponesse?

L'altra è della division delle proposizioni nelle proprie di ciascun genere, e nelle comuni a tutti i tre generi. E questa parte è contenuta nel decimo capo del primo libro. E la presente distinzione delle proposizioni è di Aristotile, come appar dalle sue parole nel nono e nel decimo capo del primo libro.

Delle parti del trattato delle proposizioni proprie dei tre generi delle orazioni.

L'una è delle proposizioni proprie del genere deliberativo, la quale è contenuta nell'undecimo, nel duodecimo, nel terzodecimo, nel quartodecimo, nel quintodecimo, nel sestodecimo e nel settimodecimo capo del primo libro.

L'altra è delle proposizioni proprie del genere dimostrativo, la quale è contenuta nel decimottavo, decimonono, vigesimo e vigesimoprimo capo del primo libro.

La terza è delle proposizioni proprie del genere giudiziale, la quale è contenuta nel vigesimosecondo, vigesimoterzo, vigesimoquarto fino al fine del primo libro, comprendendo anche il trattato delle sedi inartificiose tra le proposizioni del genere giudiziale, non essendo elle quasi altro che proposizioni proprie più di esso, che del deliberativo e dimostrativo. Questa distinzione è di Aristotile, quando disse nel fine dell'ottavo capo: ma prima parliamo delle forme, ma prendiamo cominciamento da' tre generi della rettorica, acciocchè, poi che avremo dimostrato quanti si siano, possiamo parlar separatamente de' principj, e delle proposizioni di ciascuno.

Delle parti del trattato delle proposizioni proprie e particolari del genere deliberativo.

La prima parte è del soggetto del genere deliberativo, che sono tutte le cose che cadono in consultazione, il principio delle quali è in noi, e specialmente quelle che sono intorno alle entrate pubbliche, intorno alla pace ed alla guerra, intorno alla custodia della regione, intorno alle cose che sono portate a noi di fuori, e che sono traportate da noi ad altre nazioni, ed intorno a far le leggi. E questa parte è compresa in tutto l'undecimo capo, come appar dal suo fine ed epilogazione ivi fatta.

La seconda parte è del fine del genere deliberativo, che è la beatitudine e le sue parti, alle quali mirano tutte le nostre proposizioni e argomenti. E questa è contenuta nel duodecimo e nel terzodecimo capo del primo libro; ed è come una certa introduzione a perfetta cognizione delle proposizioni, a che fine debbono essere indirizzate, come appar dalle prime parole del duodecimo capo del secondo libro.

La terza parte è delle proposizioni proprie e particolari del genere deliberativo intorno a' beni ed agli utili confessi che si debbono riferire alla beatitudine de' beni, ed utili che sono in controversia del maggior e minor bene ed utile. E questa è contenuta nel quartodecimo, quintodecimo e sestodecimo capo del primo libro, come appar dalle continuazioni di Aristotile di capo in capo.

La quarta parte è intorno ad un importantissimo avvertimento di dover conoscer perfettamente le maniere delle repubbliche, e che fine si propone ciascuna, per indirizzar le nostre proposizioni al fine di quella maniera di stato, della qual parleremo. E questa è contenuta nel decimosettimo capo de! primo libro. La presente distinzione è di Aristotile, come appar dal suo progresso e continuazione di capo in capo per tutto il trattato del genere deliberativo.

Delle parti del trattato delle proposizioni proprie e particolari del genere dimostrativo.

La prima parte è del soggetto del genere dimostrativo e della diffinizione delle virtù, ed è come una certa introduzione alle sue proposizioni, che nascono dalle virtù; e corrisponde alla prima ed alla seconda parte del genere deliberativo; ed è contenuta nella prima metà del capitolo decimottavo del primo libro.

La seconda parte è delle proposizioni del genere dimostrativo che nascono dalle virtù, e corrisponde alla terza parte del genere deliberativo, ed è contenuto nel restante del capitolo decimottavo del primo libro.

La terza parte è intorno ad un importantissimo avvertimento, di dover l'oratore aver riguardo appresso che generazion d'uomini fa la sua orazione dimostrativa, per indirizzar le sue proposizioni a' suoi costumi, usanze e leggi. E questa corrisponde all'ultima parte del genere deliberativo, che è intorno alle maniere degli stati, ed è contenuta nel mezzo il decimonono capo del primo libro.

La quarta parte è intorno a certi altri avvertimenti pertinenti al genere dimostrativo, come nel dimostrar prelezione in colui che laudiamo; che cosa sia laude, che cosa sia encomio, che similitudine abbia il genere dimostrativo col deliberativo; e l'amplificazione essere grandemente propria al genere dimostrativo. E questa parte è contenuta dal mezzo decimonono capo sino al vigesimosecondo del primo libro. La presente distinzione è di Aristotile, come appar dal suo progresso di parte in parte, in tutti i predetti capi del genere dimostrativo. Quella parte che dimostra l'amplificazione essere propria al genere dimostrativo, corrisponde a quel capo del genere deliberativo, nel qual tratta del maggior e del minor bene ed utile, non essendo altro l'amplificazione, che un dimostrar una cosa essere maggiore dell'altra.

Delle parti del trattato delle proposizioni proprie e particolari del genere giudiziale.

La prima parte è della divisione delle cose più importanti che ha da dir in tutto il trattato del genere giudiziale, cioè che cosa sia far ingiuria, e della diffinizione della ingiuria; e che altre di loro siano contra la legge comune, altre contra la legge privata; ed in che maniera si può peccar contra ambedue, e tutta questa è come una certa introduzione al seguente trattato delle proposizioni del genere giudiziale, ed è contenuta nel vigesimosecondo capo del primo libro.

La seconda parte è delle proposizioni proprie del genere giudiziale, le quali sono divise nelle proposizioni che dimostrano per quali e quante cose gli uomini facciano ingiuria; nelle proposizioni che dimostrano da quai persone si faccia ingiuria, e nelle proposizioni che dimostrano a quali persone si faccia ingiuria; e questa è contenuta nel vigesimoterzo, vigesimoquarto e vigesimoquinto capo del primo libro, come appar dalle continuazioni fatte da Aristotile in ciascun capo de' sopraddetti; il proceder di Aristotile in questo capo ha una certa somiglianza col proceder che egli usa nel trattato degli affetti, ove prima parla in qual maniera siano disposti coloro che si trovano in questo e in quell'altro affetto; contra, o verso quali persone si sogliano muover a tale affetto, e per quali cause si muovano a tale affetto.

La terza parte è della distinzione e delle differenze delle ingiurie, in quelle che si commettono contra la legge scritta, ed in quelle che si commettono contra la legge non scritta. E questa è contenuta nel vigesimosesto e nel vigesimosettimo capo del primo libro.

La quarta parte è delle maggiori e delle minori ingiurie, e questa è contenuta nel vigesimottavo capo del primo libro, ed ha corrispondenza con quel capo del genere deliberativo, ove Aristotile parla del maggior e del minor bene, e con quello del dimostrativo, ove parla dell'amplificazione.

La quinta parte è delle sedi inartificiose, cioè delle leggi, de' testimoni, delle scritture, de' tormenti, de' giuramenti, come maggiormente proprie al genere giudiziale. Onde può l'oratore servirsi d'infinite proposizioni utilissime al trattar una tal maniera di cause. E questa è contenuta nell'ultimo capo del primo libro; quantunque, secondo l'ordine da Aristotile proposto, nella prima divisione dovrebbe o preceder a tutte le sedi artificiose, o seguir dopo tutte le prove artificiose. La presente distinzione è di Aristotile, come appar dal suo progresso di parte in parte in tutti i predetti capi del genere giudiziale.

Delle parti del trattato delle proposizioni comuni a tutti i tre generi deliberativo, dimostrativo e giudiziale.

La prima parte è come continuazione e divisione delle proposizioni comuni, e come una certa introduzione, e quasi un loro proemio. E questa è contenuta nella prima parte del quartodecimo capo del secondo libro. E chi vuol ben considerare è molto simile al principio delle meteore, ed all'ultimo capo dell'etica. Perciocchè siccome in questi due luoghi Aristotile col riepilogar ciò che ha detto e di che gli resta a dire, ci fa scorger l'ordine di proceder da lui tenuto in tutta la filosofia naturale e civile, così in questo capo si vede manifestamente l'ordine di procedere osservato da Aristotile nello scriver rettorica, in quanto al vero e legittimo trattato da lui divisato ne' due primi libri. Perciocchè il terzo libro è come un certo trattato diverso dal legittimo trattato della rettorica, secondo il suo umore ed intenzione formata e ridotta in arte.

La seconda parte è delle proposizioni del possibile e dell'impossibile, le quali spettano comunemente a tutti i tre generi, ma specialmente al deliberativo. E questa è contenuta nella seconda parte del quartodecimo capo del secondo libro, che è dopo la introduzione.

Questa maniera di proposizioni, sebben aspetta a tutti i tre generi, spettando nondimeno più al deliberativo che agli altri, si può dir ancor essa propria del deliberativo, e così quell'altra del futuro e non futuro.

La terza parte è delle proposizioni, se la cosa è fatta o non è fatta, le quali spettano comunemente a tutti i tre generi, ma specialmente al giudiziale. E questa è contenuta nella terza parte del quartodecimo capo del secondo libro.

Questa maniera di proposizioni, sebben aspetta a tutti i tre generi, spettando nondimeno più al giudiziale che agli altri, si può dir ancor essa propria al giudiziale. E così quella della grandezza e della picciolezza al dimostrativo. Per il che ancor queste proposizioni comuni si possono chiamar proprie, e per questo rispetto e per essere proprie solamente della rettorica. E così le chiama Aristotile in questo suo trattato ove raccogliendo ciò che ha detto, e ciò che gli resta a dire, così parla. Ma ci resta a trattar delle sedi comuni a tutti, poichè fin qui abbiamo favellato delle proprie, cioè così delle particolari, come delle comuni, le quali tutte però sono proprie della rettorica e non di alcuna altra arte, come è l'entimema e l'esempio fondato ne' luoghi topici.

La quarta parte è delle proposizioni, se la cosa è, o per dover essere, o non è per dover essere, le quali spettano comunemente a tutti i tre generi, ma specialmente al deliberativo. E questa è contenuta nella quarta parte del decimoquarto capo del secondo libro.

La quinta parte è delle proposizioni della grandezza e della picciolezza, le quali spettano comunemente a tutti i tre generi, ma specialmente al dimostrativo. E questa è contenuta nell'ultima parte del decimoquarto capo del secondo libro; tutto questo trattato delle proposizioni comuni, secondo 1'ordine di Aristotile, dovea seguir incontanente dopo il trattato delle proposizioni proprie di ciascun genere, ma egli a questo ha preposto il trattato degli affetti e de' costumi. Perciocchè da' essi ancor si possono cavar infinite proposizioni, alcune delle quali possono servir al genere deliberativo, alcune al dimostrativo, alcune al giudiziale. La presente distinzione delle proposizioni comuni a' tre generi è di Aristotile, come appar da tutto il decimo capo del primo libro.

Delle parti del trattato de' luoghi comuni alla rettorica con le altre arti, e specialmente con la dialettica.

La prima parte è della sentenza, come di membro importantissimo dell'entimema, di cui non avea trattato Aristotile nel primo libro, e di essa tratta quattro cose; che cosa ella si sia, di quante maniere, in che modo la dobbiamo usare, e che utilità ci apporti; come appar nel fine del sestodecimo capo del secondo libro, nel quale è contenuta tutta questa prima parte.

La seconda parte è del modo di cercar gli entimemi, cioè quali cose dobbiamo appararci, ed eleggerci, che possano occorrere e che siano a nostro proposito, e questo chiama Aristotile non solamente luogo, ma primo luogo topico nel fin del decimosettimo capo del secondo libro, nel quale è contenuta questa seconda parte.

La terza parte contiene il trattato di tutti gli altri luoghi comuni, de' quali, altri sono atti a dimostrar la cosa essere, o non essere, che hanno corrispondenza col sillogismo; altri sono atti a rifiutare, che hanno corrispondenza col sillogismo sofistico e con gli elenchi; ed altri sono degli entimemi esistenti e leali; ed altri sono degli entimemi adombrati ed apparenti. E questa è contenuta nel decimottavo e nel decimonono capo del secondo libro, come appar dalla continuazione di Aristotile fatta nel principio del predetto decimottavo capo del seconde libro.

La quarta parte è della maniera di discioglier gli entimemi. E questa è contenuta nell'ultimo capo del secondo libro, come appar dalle prime parole del predetto capo, che è una certa continuazione alle cose precedenti.

Delle parti del trattato degli esempi, che è la seconda maniera delle sedi dimostrative.

La prima parte è della differenza e delle maniere degli esempi, della qual cosa non avea trattato nel primo libro. E questa è contenuta nella prima parte del quintodecimo capo del secondo libro.

La seconda parte è in qual maniera dobbiamo usare gli esempi. E questa è contenuta nella seconda parte del quintodecimo capo del secondo libro.

La terza parte è quando dobbiamo usare gli esempi. E questa è contenuta nell'ultima parte del quintodecimo capo del secondo libro. La presente distinzione del trattato degli esempi riservato al secondo libro è di Aristotile nel fine del predetto decimoquarto capo. Or l'ordine proposto da Aristotile nel primo libro al quarto e al settimo capo, richiedeva, che in questo secondo libro avesse prima trattato dell'entimema, e poscia dell'esempio; nondimeno ha rivolto l'ordine proposto, per essere l'esempio una certa induzione, e la induzione prima, e principio, come egli medesimo dimostra nel principio del predetto decimoquinto capo del secondo libro. Tratta anco insieme in questo secondo libro prima dell'esempio, e poscia delle cose pertinenti a' luoghi degli entimemi, cavandosi entimemi anco dagli esempi, come afferma al vigesimo capo; e quegli entimemi si cavano dagli esempi, che sono dei segni, che provano da una cosa singolare una universale: come Socrate fu savio e giusto; adunque tutti i sapienti sono anco giusti, la qual cosa vedi nel primo libro.

Delle parti del trattato degli affetti, che è la seconda maniera delle prove artificiose.

L'una è il proemio, che è come una certa introduzione alle due maniere delle prove artificiose, che sono gli affetti e i costumi. E questa è contenuta nel primo capo del secondo libro.

La seconda parte è il legittimo, e separato trattato degli affetti, in ciascuno de' quali dopo la diffinizione propone Aristotile di dover procedere con questo ordine, di dover ricercare nel trattato di ciascuno affetto queste tre cose, cioè in qual maniera siano disposti coloro che si trovano in un tale affetto, contra o verso quai persone si sogliano muovere a tale affetto, e per quali cause si muovano a tale affetto. E questa è contenuta nel secondo capo del secondo libro fino a tutto il decimo capo. Il presente trattato degli affetti, secondo l'ordine di Aristotile, proposto nel primo libro al terzo capo dopo il proemio, dovrebbe seguire dopo tutte le considerazioni delle proposizioni e dei luoghi; nondimeno perciocchè presta ancora esso infinite proposizioni alle proposizioni dei tre generi, è stato interposto in questa prima parte del secondo libro tra le proposizioni particolari e comuni, come dimostra Aristotile in questo primo capo del secondo libro, e nel decimottavo, ove accenna dal trattato degli affetti potersi traere infinite proposizioni. Il procedere di Aristotile nel presente trattato degli affetti ha una certa somiglianza col procedere che usa nel vigesimoterzo, quarto e quinto capo del primo libro, ove prima parla per quali e quante cause gli uomini facciano ingiurie, poscia da quali persone si faccia ingiuria, e finalmente a quali persone si faccia ingiuria. In questa parte il retore si veste della persona della politica de' costumi, e per dire meglio, della persona di quel filosofo naturale, a cui aspetta trattare dell'anima, e delle sue parti e potenze.

Delle parti del trattato de' costumi, che è la terza maniera delle prove, o sedi artificiose.

La prima parte è come una certa breve introduzione al trattato de' costumi, oltra la introduzione comune agli affetti e a' costumi fatta nel proemio universale del secondo libro. E questa è contenuta nell'undecimo capo del secondo libro.

La seconda parte è de' costumi secondo gli affetti, la considerazione de' quali si può avere dal trattato precedente degli affetti. Onde meritamente lo antepone al presente trattato, essendo egli primo per natura, prestando a questo la considerazione de' costumi secondo gli affetti. In questa parte il retore si veste della persona del politico de' costumi, e di quel filosofo, a cui tocca il trattare dell'anima, e delle sue parti e potenze.

La terza parte è de' costumi secondo gli abiti virtuosi, la considerazione de' quali si può avere dal trattato del genere deliberativo e dimostrativo, ove ragiona delle virtù, e le diffinisce e descrive. In questa parte il retore si veste della persona del politico de' costumi.

La quarta parte è de' costumi secondo le età, e questa è partita ne' costumi de' giovani, de' vecchi e di mezza età; ed è contenuta nel duodecimo capo del secondo libro.

La quinta parte è de' costumi secondo le fortune. E questa è partita ne' costumi de' nobili, de' ricchi, de' potenti, e di coloro che sono in qualche gran prosperità di fortuna. E questa è contenuta nel terzodecimo capo del secondo libro. La presente distinzione è di Aristotile, e tutte le precedenti, come appare dal principio e da tutto l'undecimo capo del secondo libro.

La sesta parte è de' costumi delle repubbliche; la considerazione de' quali si può avere dall'ultima parte del trattato del genere deliberativo, ove parla delle maniere delle repubbliche, e che fine si propone ciascuna. E questo appare dalle ultime parole del terzodecimo capo del primo libro. In questa parte il retore si veste della persona del politico della repubblica.

Delle parti accidentali della rettorica, che sono come certe maniere di trattare le cose e le sedi, e che non sono per sè stesse assolutamente necessarie all'oratore, ma solamente per rispetto del cattivo auditore, onde non sono comprese nella diffinizione e divisione della rettorica, ma sono riservate al terzo libro, come in un separato trattato.

L'una è detta azione, della qual tratta Aristotile nel primo capo del terzo libro della rettorica; perchè avea da dire pochissime cose di essa, quantunque secondo l'ordine naturale dovea seguire al trattato della elocuzione. La riduce dunque tutta a tre differenze, quando la voce secondo ciascuno affetto accomodata debba essere grande, o piana, o mediocre; quando la debba essere acuta, o grave, o mezzana tra grave e acuta; e quando la debba essere presta o tarda, o tra presta e tarda; la qual distinzione comprende egli con questi tre nomi; grandezza, armonia e numero. Per la qual cosa della azione non cercheremo di far altra distinzione che la presente.

L'altra è detta elocuzione, della quale tratta Aristotile dal secondo capo fino al decimo del terzo libro della rettorica. Or che la elocuzione non sia parte sostanziale della rettorica, il dimostra apertissimamente Aristotile nel proemio del terzo libro della similitudine di coloro che insegnano la geometria. Perciocchè siccome essi dando precetti di questa scienza, non vengono a trattare del modo e della maniera e delle parole di scrivere le proposizioni; così anco chi scrive rettorica deve far vedere le cose e le sedi, e non il modo di trattarle, non essendo costume di chi fa l'una cosa fare anche l'altra. Onde aggiunge egli non doversi giudicare maggiormente necessaria di quello che è alla poesia l'arte degl'istrioni, la quale ad altro non attende, che a dare solamente un vano diletto all'auditore ignorante. Ma qui si ha da vedere che riferendosi anco le prove degli affetti e de' costumi all'auditore, perchè abbiamo detto quelle essere intese nella diffinizione della rettorica, e comprese anco nella divisione, e non essa elocuzione? A ciò si risponde, che il trattato degli affetti presta infinite proposizioni alla formazione degli entimemi. Onde si deve riputare parte sostanziale; la qual cosa non fa altramente il trattato dell'elocuzione, che non ha riguardo ad altro, che alle parole. Oltre ciò non pone Aristotile il trattato degli affetti, per insegnar a muovere gli affetti, ma per insegnar a conoscerli, per saperli rimuover contra chi gli movesse. Per la qual cosa, siccome il muovere gli affetti secondo Aristotile, è parte sostanziale della rettorica, così è parte sostanziale della rettorica il conoscerli perfettamente, per sapersi opporre contra chi gli movesse. La qual cosa non si può fare senza una tale cognizione. Ma la elocuzione nè per l'una cosa nè per l'altra è parte sostanziale della rettorica: perchè ella non opera altro, che dilettare l'auditore. Onde si conclude meritamente la cognizione degli affetti essere necessaria all'oratore, e tale trattato essere parte sostanziale della rettorica, e per sé assolutamente, in quanto presta proposizioni per formare entimemi; e sostanziale secondo un certo che, in quanto dà cognizione degli affetti, per poterli rimovere contra chi cercasse di moverli contra di noi. E la elocuzione non essere altramente né necessaria, nè per conseguente parte sostanziale della rettorica. Il simile si può dire della disposizione delle parti della orazione, non aggiungendo ella maggiore gagliardia alle prove, secondo Aristotile, ma solamente una certa proporzione e bellezza esteriore al corpo della orazione, per intertener chi ascolta con quel minor rincrescimento che sia possibile; intorno alla qual cosa vedi ciò che dice il Mirandolano nel libro De eversione singularis certaminis, a pag. 284 lin. 44, ove per luoghi di Aristotile apertissimi, dimostra queste due parti disposizione ed elocuzione aspettarsi all'istrionica; ma in questa parte trattando di queste il rettore si veste della persona dell'istrionica e della poetica.

La terza è detta disposizione; della quale tratta Aristotile dal decimo capo fino alla fine del terzo libro della rettorica. La presente distinzione è di Aristotile, come appare dalle ultime parole del secondo libro, e dalle prime del terzo libro, e da tutto quel capo, che è come proemio a tutto questo trattato delle parti accidentali della rettorica. Tutte queste tre parti spettano più tosto all'istrionica che alla rettorica; perciocchè appartiene ad essa più che ad alcun'altra cercar il parlare soave, i proemj, le narrazioni, le interrogazioni, le risponsioni; del che vedi il Mirandolano nel libro suddetto De eversione singularis certaminis, a pag. 278, lin. 17.

Delle parti del trattato della elocuzione, contenuto ne' primi nove capi del terzo libro della rettorica.

La prima parte comprende la continuazione ed una certa introduzione al trattato della elocuzione, per dimostrare lei non essere membro sostanziale della rettorica, ma della poetica, e una minima parte di essa spettare all'oratore; ed a sè non convenir di trattare in questo luogo se non di questa, acciocchè alcuno non lo riprendesse per aver qui favellato così poche cose della elocuzione, il qual proponimento di Aristotile appare da queste sue ultime parole nel proemio: chiara cosa è dunque, che non dobbiamo noi cercare con maggior diligenza tutto quello che si può insegnare intorno alla elocuzione, ma solamente intorno a quella che diciamo appartenere all'oratore; e dell'altra abbiamo ragionato nella poetica. La presente parte è contenuta nel primo capo del terzo libro, che è come un certo proemio comune alla elocuzione e all'azione, della quale non faremo nelle tavole seguenti alcuna sorte di compartimento.

La seconda parte è della elocuzione oratoria in comune, non più applicata al parlare, che allo scrivere, nè più accomodata al genere dimostrativo, che al deliberativo e al giudiziale. E questa è contenuta nel secondo capo fino a tutto l'ottavo del terzo libro.

La terza parte è della elocuzione oratoria particolare, cioè quale differentemente si convenga allo scrivere, e quale al parlare; quale al genere dimostrativo, quale al deliberativo e quale al giudiziale. E questa è contenuta in tutto il nono capo del terzo libro. La presente divisione del trattato della elocuzione oratoria in comune, e particolare è di Aristotile, come appare dalla sua continuazione nel principio del nono capo per queste parole: ma è di mestieri che sappiamo essere diversa la elocuzione di ciascuna maniera; perciocchè non è la medesima delle scritture, e delle disputazioni, nè delle consulte e de' giudizj. E nel fine dell'istesso capo dal suo raccoglimento per queste altre parole. E fin qui è stato detto della elocuzione, e della pertinente comunemente a tutte le specie delle orazioni, e della spettante particolarmente a ciascuna.

Delle parti del trattato della seconda parte della elocuzione oratoria in comune, non più applicata al parlare, che allo scrivere; nè più accomodata al genere dimostrativo, che al deliberativo e giudiziale, contenuta nel secondo capo fino a tutto l'ottavo del terzo libro.

La prima parte è della chiarezza dell'orazione, a talchè non sia nè umile, nè sublime, ma convenevole, la qual cosa fanno le parole proprie e le traslate; onde prende occasione di trattare della traslazione e delle sue virtù, che sono la chiarezza, la soavità, e la pelegrinità, ed indi de' vizj di essa, e finalmente della similitudine, da cui è cavata la metafora; e la presente parte è contenuta in tutto il secondo capo del terzo libro.

La seconda parte è che la elocuzione sia emendata, il che consiste nella congiunzione, ne' nomi proprj, ne' nomi non ambigui, nel concordare i generi de' nomi, non accompagnando il sostantivo maschio con l'addiettivo feminino, e nel servar nel nominar uno pochi molti co' numeri convenienti; e la presente parte è contenuta in tutto il terzo capo del terzo libro.

La terza parte è dell'ampiezza dell'orazione, e da quai, e da quali cose ella si possa far tale; e la presente parte è contenuta in tutto il quarto capo del terzo libro.

La quarta parte è del decoro della orazione, il che consiste nel renderla affettuosa, accostumata e proporzionata alla materia soggetta; e questa parte è contenuta in tutto il quinto capo del terzo libro.

La quinta parte è del numero della orazione, cioè con quai piedi si possa ella rendere numerosa; e questa parte è contenuta in tutto il sesto capo del terzo libro.

La sesta parte è della orazione rivolta, e composta di periodi, e di esso periodo, e delle sue membra; e questa parte è contenuta in tutto il settimo capo del terzo libro.

La settima parte è della elocuzione politica, civile e urbana, la quale si fa con la traslazione fatta per proporzione, e col proporre la cosa dinanzi agli occhi; e questa parte è contenuta in tutto l'ottavo capo del terzo libro. La presente distinzione è di Aristotile, come appare dalle sue continuazioni fatte di capo in capo in tutti i predetti capi.

Delle parti del trattato della terza parte della elocuzione oratoria particolare.

L'una parte è di qual maniera debba essere la elocuzione che usiamo nel parlare, e di quale maniera debba essere quell'altra che usiamo nello scrivere; e questa è contenuta nella prima parte del nono capo del terzo libro.

L'altra parte è di qual maniera debba essere la elocuzione nel genere dimostrativo, di quale nel deliberativo, e di quale nel giudiziale; e questa è contenuta nella seconda parte del nono capo del terzo libro. Questa distinzione è di Aristotile, come appare nel suo progresso nel presente capo.

Delle parti del trattato della disposizione, contenuto negli ultimi cinque capi del terzo libro della rettorica.

L'una è come una certa introduzione e divisione delle parti della orazione, delle quali le necessarie sono la proposizione e le sedi; e le più sono il proemio, la narrazione, la proposizione, le sedi, la perorazione, comprendendo tra le sedi la confermazione e la confutazione; e questa parte è contenuta nel decimo capo del terzo libro. La presente distinzione è di Aristotile, come appar dal suo progresso nel decimo capo del terzo libro.

L'altra è del legittimo trattato della disposizione, cioè delle parti della orazione già distinte e separate; e questa è contenuta nell'undecimo, nel duodecimo, nel terzodecimo e nel quartodecimo capo del terzo libro.

Delle parti del secondo trattato della disposizione contenute nell'undecimo, duodecimo, terzodecimo, quartodecimo capo del terzo libro.

La prima parte è del proemio; e questa è contenuta nell'undecimo capo del terzo libro.

La seconda parte è della narrazione; e questa è contenuta nel duodecimo capo del terzo libro.

La terza parte è delle sedi, nelle quali comprende anco la proposizione; e questa è contenuta nel terzodecimo capo del terzo libro.

La quarta parte è della perorazione; e questa è contenuta nel quartodecimo capo del terzo libro.

La presente distinzione è di Aristotile, come si può veder da tutto il decimo capo del terzo libro.

Delle parti di quel trattato della disposizione, nel quale si tratta particolarmente del proemio.

La prima parte è de' proemj che si aspettano alle orazioni dimostrative, la quale è contenuta nel principio dell'undecimo capo del terzo libro.

La seconda parte è de' proemj che si aspettano alle orazioni deliberative, la quale è contenuta nella seconda parte dell'undecimo capo del terzo libro.

La terza parte è de' proemj che si aspettano alle orazioni giudiziali, la quale è contenuta nella terza parte del terzodecimo capo del terzo libro.

La quarta parte è della recriminazione, quando nel proemio ci convien risponder alle calunnie degli avversarj, la quale è contenuta nella quarta parte dell'undecimo capo del terzo libro. La presente distinzione è di Aristotile, come appar dal suo progresso di parte in parte in questo capo.

Delle parti di quel trattato della disposizione, nel quale si tratta particolarmente della narrazione.

La prima parte è della narrazione del genere dimostrativo, e delle virtù e qualità che deve aver tal parte di orazione, qualmente in essa si possa introdur la controversia della causa, e come la si possa far morata ed accostumata; la qual parte è contenuta nel principio del duodecimo capo del terzo libro.

La seconda parte è della narrazione del genere giudiziale, e qualmente in essa si possa introdur la controversia della causa, la quale è contenuta nella seconda parte del duodecimo capo del terzo libro.

La terza parte è della narrazione del genere deliberativo, se gli aspetta o no, e di che qualità debba essere, la quale è contenuta nel fine del duodecimo capo del terzo libro; e la presente distinzione è di Aristotile, come appar dal suo progresso, di parte in parte in questo capo.

Delle parti di quel trattato della disposizione, ove si tratta particolarmente delle sedi.

La prima è in qual maniera si devono accomodar le sedi allo stato, o alla questione, o alla proposizione nel genere giudiziale, la qual cosa è per natura la prima.

La seconda è in qual maniera si debbono accomodar le sedi allo stato, o alla questione, o alla proposizione nel genere dimostrativo.

La terza è in qual maniera si debbono accomodar le sedi allo stato della controversia nel genere deliberativo, onde s'ingannano grandemente coloro che non vogliono Aristotile aver trattato degli stati delle cause, avendoli egli raccontati nel capo della narrazione, e ridotti al congetturale, al giurisdiziale, ed a quello della quantità; ed in questo capo insegna in qual maniera debbono essere indirizzate le sedi e le prove a ciascuno stato nella confermazione del genere dimostrativo, deliberativo e giudiziale.

La quarta parte è quando dobbiamo usar nelle cause entimemi, e quando esempi in questa parte delle sedi, cioè nella confermazione e confutazione.

La quinta parte è in qual maniera debbono essere accomodate in questa parte di orazione le sedi affettuose, le accostumate e le dimostrative.

La sesta parte è in qual maniera deve proceder chi parla nel primo luogo, e chi parla nel secondo contra l'avversario in questa parte di orazione.

La settima è quando dobbiamo interrogar ed interpellar gli avversari.

La ottava è quando in tal parte di orazione dobbiamo usar i ridicoli, per rispondere e per confondere le valide ragioni de' nostri avversarj, come voleva Gorgia, de' quali Aristotile ha parlato nella poetica, e ad essa si riferisce; ma essendo pervenuta tal parte imperfetta, fa di mestieri ricorrere a' ridicoli di M. Tullio, nel secondo libro dell'Oratore, ed al trattato del Mazo ed al Cortegiano. La presente distinzione è di Aristotile, come appar dal suo progresso di parte in parte in questo capo.

Delle parti di quel trattato della disposizione, ove si tratta particolarmente della perorazione.

La prima parte è della perorazione che si fa per rendersi l'auditore benevolo a sè, e agli avversarj contrario; la quale è contenuta nella prima parte del quartodecimo capo del terzo libro.

La seconda parte è della perorazione che si fa per amplificare il fatto, o per diminuirlo; la quale è contenuta nella seconda parte del quartodecimo capo del terzo libro.

La terza parte è della perorazionee che si fa per muover gli affetti nell'animo degli auditori; la quale è contenuta nella terza parte del quartodecimo capo del terzo libro.

La quarta è della perorazione che si fa per enumerazione, per ridurre a memoria al giudice la cose già dette e disputate; la quale è contenuta nella quarta parte del decimoquarto capo del terzo libro. La presente distinzione è di Aristotile, come appare dal principio di questo quartodecimo capo del terzo libro.

LA RETTORICA

D'ARISTOTILE

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