CAPITOLO II.

DICIAMO dunque, che la rettorica sia una facoltà di considerare in qualunque soggetto ciò che per avventura vi si trova da poter persuadere; perciocchè questo officio non può far veruna dell'altre arti; avvenga che i precetti e le persuasioni di ciascuna dell'altre siano solamente sopra al soggetto lor proprio, come la medicina sopra quel che giova, e quel che nuoce alla sanità; la geometria sopra le disposizioni che accaggiono alle quantità; l'aritmetica sopra al numero. E similmente l'altre arti e l'altre scienze. Ma la rettorica d'ogni cosa proposta (per modo di dire) par che possa considerar tutto quello che v'è da poter persuadere; e per questo diciamo, che il suo artificio non è determinatamente sopra alcun soggetto proprio. Delle prove, certe sono senza artifizio, e certe artifiziose. Senza artifizio chiamo io quelle, che non vengono da nostra invenzione, ma prima avevano l'esser da loro; come testimoni, tormenti, scritture, e simili. Artificiose quelle, che per via di regole e di precetti, ci possiamo procurar da noi medesimi per modo, che ci abbiamo di quelle a servire, e di queste a provvedere. Le procurate da noi per mezzo del parlare sono di tre sorti: certe, che consistono nel costume del dicitore; certe nel disporre in alcun modo l'auditore; e certe nella stessa ragion del dire, o dimostrando, o parendo di dimostrare. Dal costume si cavano, quando il ragionamento è fatto per modo, che fa parer colui che dice, tale, che meriti che se gli presti fede: perciocchè agli uomini dabbene generalmente in ogni cosa crediamo più, e più presto che agli altri: ma nelle cose, che non ci possono essere perfettamente note, e sopra le quali son diversi pareri, ci rimettiamo ancora in tutto all'opinione, e al detto loro. Bisogna nondimeno che questa credenza proceda dalla forza del dire, e non dall'impression già fatta, che il dicitore sia di qualche buona condizione:perciocchè io non tengo secondo certi, che hanno scritto di quest'arte, i quali vogliono, che l'esser il dicitore reputato uomo dabbene non sia compreso nell'artificio del dire, come se il saper farsi tener per tale col parlare, fosse di nullo momento al persuadere. Anzi son di parere, che la maggior parte della prova (per modo di dire) consista quasi nel dar buon odor di sè con le parole. Dalla disposizion degli uditori si persuade, quando col dire gli abbiamo condotti in una qualche passion d'animo; perciocchè non a un medesimo modo giudichiamo quando siamo addolorati, che quando siamo allegri; o quando siamo amici, che quando quando siamo inimici. Sopra di che diciamo, che solamente si vanno travagliando quelli, che ora scrivono dell'arte del dire. Ma queste cose si dichiareranno particolarmente quando verremo a dir degli affetti. Con le ragioni ultimamente s'acquista fede, quando abbiamo dimostrato il vero, o quello che par vero per quei mezzi, che in ciascun soggetto hanno forza di persuadere. Essendo adunque che le prove si facciano per queste tre vie, è manifesto che queste tre cose bisogna avere, che sono di chi possiede il modo d'argomentare; di chi può considerare quel che si ricerca intorno ai costumi e alle virtù; e la terza di chi conosce quel che appartiene agli affetti. E saper poi quel che sia ciascuno affetto, e quale, e di che, e come si fa. Onde segue, che la rettorica sia come un rampollo della dialettica, e di quella pratica, che tratta dei costumi, la qual giustamente si deve chiamar politica. Di qui viene ancora che la rettorica si veste della figura d'essa Politica. E così quelli che ne fanno professione si fanno chiamar Politici, parte per ignoranza, parte per boria, e parte per altre umane cagioni; perchè nel vero, ella non è se non una certa particella della dialettica, ed una sua somiglianza, come dicemmo nel cominciare; per questo che niuna di loro è scienza d'alcuna cosa determinata in quanto a dichiarar la natura d'essa cosa; ma sono certe facoltà di trovar da ragionare in tutti i soggetti. E così della potenza loro, e di come si corrisponda l'una all'altra s'è detto abbastanza. Gl'instrumenti che ci servono a dimostrare, o parer di dimostrare, come nella dialettica, sono l'Induzione, il Sillogismo, e l'apparente Sillogismo; così son similmente nella rettorica; perciocchè l'esempio è l'Induzione, e l'Entimema il Sillogismo. E chiamo l'entimema sillogismo, non assoluto ma rettorico: e l'esempio, rettorica induzione. Ora dico così, che tutti per via del dimostrare vengono a far le lor prove, o con addurre esempi, o con formare entimemi. E fuor che con queste due cose si può dire, che con nissun'altra si dimostra. Adunque se per dimostrar qualunque cosa, è necessario a qualunque si sia di procedere in tutto o per sillogismo, o per induzione (la qual cosa ne' risolutivi s'è fatta chiara), necessariamente si conchiude, che ambedue quelle cose siano le medesime con ambedue queste. Che differenza sia poi tra l'esempio e l'entimema, vien dichiarato per quel che se ne dice nella Topica, dove trattandosi primamente del sillogismo e dell'induzione, s'è detto, che quando si dimostra per molte cose, e simili, che così sta; questa dimostrazione, quivi nella dialettica è induzione, e qui nella rettorica, esempio. Ma quando, presupponendosi certe cose, ne segue una cert'altra di più, fuor di quelle, per rispetto che quelle son vere, o generalmente o per la più parte; nella dialettica si dice sillogismo, e nella rettorica entimema. Ed è cosa chiara, che la rettorica ancora essa ha l'uno e l'altro di questi beni: perchè siccome s'è detto nella Metodica, che si trovano due spezie di parlar dialettico; così son anco due spezie di parlare rettorico; l'una esemplare, l'altra entimematica. E dei dicitori similmente, alcuni sono esemplari, ed alcuni entimematici. Il dire, che si fonda negli esempi, non persuade meno: ma quello che vien dagli entimemi, commove, e penetra più. Delle cause dell'uno e dell'altro di questi; ed in che modo si debba usar ciascuno d'essi, si dirà poi. Attenderemo ora a dar di queste medesime cose più chiara determinazione. Conciossiachè ogni persuasivo a qualcuno persuada. E di questi persuasivi l'uno sia atto in un subito per sé stesso a persuadere ed esser creduto; l'altro, perchè pare che si possa dimostrar per mezzo di quello, che per sè stesso persuade; e nessuna arte faccia le sue considerazioni solamente sopra d'un particolare; come la medicina non considera quel che sia salutifero a Socrate, o a Callia; ma quel che giova a un tale, o a più tali (che questo si può ridurre in arte, ed i particolari sono infiniti, e sotto certa scienza non si possono comprendere); così nè anco la rettorica considera quel che sia probabile spezialmente a uno come a Socrate, o Ippia; ma quel che si può persuadere a questi o a quelli tali; come avviene anco nella dialettica: perciocchè ancora essa argomenta non con ogni probabile, che le viene innanzi. Essendo che ancora i pazzi abbiano certi pareri a lor modo. Ma la dialettica si serve per argomentare di quelle ch'hanno bisogno di disputa. E la rettorica di quelle che son già consuete a venire in consulta. L'offizio d'essa rettorica si stende circa quelle cose, delle quali ci convien consultare, e per arte non le possiamo sapere. Ed i suoi auditori sono di qualità, che non possono comprendere innanzi molte cose, nè discorrer dalla lunga. Il consultare si fa di cose, che par che possino stare nell'un modo e nell'altro; perciocchè nissuno si consiglia di quelle, le quali non si può far che sieno state, o che abbiano a essere, o che sieno altramente che come stanno; essendo così risoluto che sia, perchè non se ne può consultar più che tanto. L'argomentare e il concluder poi si fanno parte di cose, che sono prima provate per altri sillogismi, parte di quelle, che non son provate, ma bisogna che per provarle si mettano in sillogismo, per non esser probabili per lor medesime, Ed è necessario, che delle due cose dette una non si possa facilmente afferrare per la lunghezza che corre di prova in prova (perciocchè si presuppone, che l'auditor sia rozzo), e l'altra, che non sia persuasiva, per non esser nè delle concedute, nè delle probabili. Di modo ch'è forza, che l'entimema e l'esempio, sieno l'uno induzione, e l'altro sillogismo di quelle cose che possono esser il più delle volte ancor altramente. Ed è forza medesimamente, che questo entimema sia di poche cose, e spesse volte di manco, che non son quelle che concorrono alla formazione del primo sillogismo. Che se di quelle alcuna è nota, non bisogna dirla, perchè l'auditor medesimo supplisce: come volendo provare, che Dorieo ha vinto il giuoco, che per premio ha la corona, basta a dire: ha vinto gli Olimpici. Che chi vince poi gli Olimpici s'incoroni, non accade che vi s'aggiunga: perchè tutti se 'l sanno. E conciossiachè poche sieno le cose necessarie donde si cavano i sillogismi rettorici: avvenga che la maggior parte di quelle sopra le quali si determina, e si considera, possino essere, e non essere; perciocchè gli uomini deliberano, e consultano delle cose che fanno: e le cose che fanno sono del sopraddetto genere di quelle che accaggiono. E d'esse (per dir così) nessuna è necessaria. E quelle che per le più volte avvengono, e possono essere, è necessario che siano messe in sillogismo da altre simili; e così le necessarie dalle necessarie, come apertamente abbiamo mostrato nell'Analitica; è manifesto, che delle cose donde si formano gli entimemi, alcune poche sono necessarie; e che la maggior parte sono di quelle che avvengono le più volte. Perciocchè gli entimemi si fanno di verisimili, e di segni, per modo che è necessario, che ambedue questi sieno i medesimi con ambidue quelli; perchè il verisimile è quello, che le più volte suole essere, non affatto, come diffiniscono certi; ma in quanto essendo intorno alle cose che accaggiono può essere, che sieno altramente, avendo la medesima convenienza con quella cosa, a rispetto della quale esso è verisimile, che l'universale col particolare. De' segni alcuni sono come certi particolari applicati agli universali, ed alcuni come certi universali applicati a particolari. E di questi, quello che è necessario si chiama tecmirio: e quello che non è necessario, non ha nome che lo faccia differente dal genere. Chiamo adunque necessari quelli, de' quali si formano i sillogismi indissolubili, onde che i tecmirj vengono a essere di questa sorte di segni; perchè quando pensiamo che non si possa replicare a quel che si detto, allora giudichiamo d'aver formato un tecmirio, come quel ch'è dimostrato e concluso. Perchè τεχμαρ e τεραζ, secondo la lingua antica, significa il medesimo che fine, e conclusione. Di questi segni, quello, ch'è come particolare applicato all'universale, sarà come se alcuno dicesse, Che segno è, che i savi son giusti, perchè Socrate fu savio e giusto. Questo di certo è segno: tuttavolta si può risolvere, ancora che quello che si dice sia vero, perchè non fa sillogismo. Ma se si dicesse così: È segno che sta malato perchè ha la febbre: o veramente che ha partorito, perchè ha latte; questo è necessario: il quale in fra i segni è solamente tecmirio; perchè solo quando sia vero, non si può risolvere. Quello ch'è come universale applicato al particolare, è come s'alcuno dicesse: Segno è, che abbia la febbre, perchè spesso respira. Ed ancora questo si può risolvere quando ben sia vero: perchè può ben essere, ch'uno che non abbia febbre, respiri spesso. Ed ancora qui abbiamo noi detto del verisimile, del segno, e del tecmirio, quel che sono, e che differenza sia fra loro. Ma nell'Analitica abbiamo trattato più chiaramente, e di questi, e della ragion perchè certi di questi fanno buon sillogismo, e certi no. Dell'esempio abbiamo detto di sopra, che egli è quel che l'induzione. E detto ancora circa a qual materia sia induzione. Ora egli non è come la parte applicata al tutto, nè come il tutto alla parte: nè come il tutto al tutto: ma come la parte alla parte, e il simile al simile: quando ambidue sono compresi sotto un medesimo universale, ma l'uno più noto dell'altro. Ed esempio sarà come dir questo: Che Dionisio domandando la guardia aspira a farsi tiranno; perchè Pisistrato avanti a lui domandò la guardia, ed avuta che l'ebbe si fece tiranno. E Teagene in Megara, e tutti gli altri, che si sappia aver fatto il medesimo, serviranno per esempio a provar che Dionisio v'aspira ancor esso: non si sapendo ancora che la domandi a questo fine di tiranneggiare. Queste cose sono comprese sotto un medesimo universale, il quale è, che chi aspira alla tirannia domanda la guardia. Ed abbiamo ora detto di che cose si fanno quelle prove, che paiono dimostrative. Gli entimemi son molto differenti; e la lor differenza sopra tutto non è stata intesa quasi da niuno. Ed è però la medesima che de' sillogismi nella via della dialettica. Perciocchè siccome alcuni d'essi sillogismi appartengono alla dialettica, ed alcuni altri all'altre arti, e all'altre facoltà; così degli entimemi, certi riguardano alla rettorica, e certi all'altre arti, e all'altre facoltà. O ch'elle siano con effetto, o che non sieno ancora apprese. Onde avviene che quegli entimemi, che non sono propriamente rettorici, sono oscuri agli auditori. E coloro che gli usano, quanto più entrano nell'esquisito dell'arte donde derivano, tanto vanno più lontano dai termini loro. Ma per far più chiaro quel che s'è detto, ne parleremo più distesamente. Io chiamo sillogismi dialettici e rettorici quelli, de' quali diciamo essere i lochi, i quali lochi son quelli che servono comunemente alle cose giuste, alle naturali, alle civili, ed a molte altre che sono di diverse spezie; come il loco del più e del meno: dal quale non si traggono sillogismi, o entimemi più delle cose giuste, o naturali, che di qualunque altra sorte; ancora che queste cose siano di diverse spezie tra loro. Ma proprj sono quelli che si formano di proposizioni di ciascuna spezie, o di ciascun genere; come dire, che la naturale ha certe sue proposizioni, delle quali non si cava sillogismo, o entimema, che faccia per la morale. E la morale ha medesimamente le sue, delle quali non ci possiamo servire per la naturale. E questo medesimo avviene in tutte. Quelli che son comuni non insegnano cosa alcuna in alcuna sorte di scienza; perchè non hanno alcun soggetto particolare. E quanto uno sceglie questi proprj migliori, tanto più copertemente farà che le lor proposizioni diventino diversa scienza dalla dialettica e dalla rettorica; perchè abbattendosi a dar ne' principj, si vedrà, che non è più nè dialettica, nè rettorica, ma quell'arte, della quale si saranno presi i principj. Gli entimemi, che derivano da queste spezie di particolari, e proprj, sono assai. E quelli che vengono da' comuni sono pochi. Adunque siccome abbiamo fatto nella Topica, faremo ancora qui una divisione, e delle spezie degli entimemi e de' lochi donde s'hanno a cavare. E chiamo spezie quelle proposizioni che sono proprie di ciascun'arte , e lochi quelli che sono a tutte le materie similmente comuni. Cominceremo adunque a dir delle spezie. Ma vegnamo prima alle sorti della rettorica; perchè divisando quante sono, possiamo pigliare i fondamenti e le proposizioni di ciascuna.

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