CAPITOLO PRIMO.

ABBIAMO sino a qui detto di che cose ci convien consigliare e disconsigliare, biasimare e lodare, ed accusare e difendere. E quali sono le opinioni e le proposizioni delle quali ci dobbiamo servire in ciascuno di questi generi per esser creduti. Perciocchè di queste si fanno, e da queste si cavano gli entimemi, per così dire, partitamente sopra ciascuna sorte di parlamento. Ora perchè il fin della rettorica sta nel giudizio di quelli che ascoltano, conciossiacosachè si giudichi ancora ne' consigli, e che le liti non siano altro che giudizio; è necessario non solamente aver l'occhio all'orazione, ch'ella sia dimostrativa e degna di fede; ma che il dicitore e il determinatore siano preparati e condizionati in un certo modo. Perciocchè molto importa per acquistarsi fede, sopra tutto nelle deliberazioni, di poi nelle liti, che d'una qualche condizione sia tenuto colui che dice, e che per bene o male affezionato sia preso verso quelli che ascoltano. E di più che gli ascoltanti medesimi s'abbattino ad esser in una qualche disposizione. La condizione del dicitore è di maggiore utilità ne' consigli. E la disposizion dell'auditore è di più profitto nelle liti; perciocchè non con un occhio medesimo vede l'amico che il nemico, nè l'adirato che il mansueto. Ma le medesime cose si rappresentano loro o in tutto diverse, o non tanto grandi. Conciossiachè l'amore faccia parere che colui che s'ha da giudicare, di nulla, o di poco abbia prevaricato alla giustizia, e che l'odio ne faccia parere il contrario. Così che desidera e spera, e se la cosa che aspetta le sarà grata, s'imaginerà ch'ella debba essere ed esser buona. E per l'opposito crederà colui che non se ne cura e l'ha per male. Tre sono le cagioni per le quali i dicitori vengono in credito degli ascoltanti; perchè tre altre sono le cose oltre alla dimostrazione, alle quali gli uomini prestano fede, cioè: la prudenza, la bontà e la benevolenza. Onde coloro che dicono e che consigliano, o per mancamento di qualcuno di questi capi, o di tutti, si gabbano; perciocchè o veramente per ignoranza non sentono rettamente, o se rettamente sentono, per malignità non dicono il parer loro; o se pur sono savi e buoni, non saranno riputati per amici. E per questo può essere che quelli che consigliano non dicano il meglio ancora che il conoscano. E oltre a queste tre cose non ve n'è veruna altra. Colui dunque nel quale par che s'accozzino tutte tre queste, è necessario che sia creduto dagli auditori. E per saper donde s'abbia a cavare di parer savio e buono, bisogna ricorrere alle divisioni già fatte delle virtù, con le quali possiamo far parere noi, e mostrar altri per tali. Ma della benevolenza e dell'amicizia tratteremo ora insieme con gli altri affetti. Ed affetti sono quelli che venendo accompagnati dal dolore e dal piacere, fanno un'alterazione in noi per la quale variamo di giudizio, come l'ira, la misericordia, la paura e gli altri simili, ed i contrarj a questi. Ora bisogna che di ciascuno affetto facciamo tre parti; poniam caso dell'ira, qual sia la disposizion di quelli che facilmente s'adirano, con chi si sogliono adirare, e per qual sorte di cose. Perciocchè una o due di queste parti che noi avessimo e non tutte, ci sarebbe impossibile di provocar l'ira degli ascoltanti. E similmente dico degli altri affetti. Onde siccome di sopra ci siamo distesi a descrivere le proposizioni, così ora tratteremo degli affetti distintamente nel modo che s'è detto.

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