Sarà dunque l'ira un appetito con dispiacere di far vendetta, che paja vendetta contra chi pensiamo che ci abbia dispregiati nelle cose che tocchino a noi, o a qualcuno de' nostri indegnamente. E poichè l'ira è tale, di necessità colui che s'adira si cruccia sempre con qualche particolare, come dir con Cleone, e non con la specie umana. E la cagion dell'ira sarà perchè abbia in qualche cosa dispiaciuto a lui, o a qualcuno de' suoi, o veramente perchè abbia voluto dispiacere. Ed anco è necessario che ogni ira sia accompagnata con un certo piacere. Il quale è quello che gli viene dalla speranza della vendetta. Conciossiachè dolce cosa ne paja di conseguir quel che noi desideriamo. Ma nessuno è che desideri cosa che si dimostri impossibile a lui: dunque il desiderio dell'adirato non è di cosa ch'egli non s'affidi di conseguire. E però consideratamente fu detto dell'ira:
Che più d'un puro mel dolce s'accende
Ne' petti valorosi.
Perciocchè ne seguita un certo diletto, così per la speranza che s'è detta, come perchè si trova con l'animo quasi in atto di vendicarsi. Onde che quella così fatta immaginazione partorisce allora quel piacere che si suol sentire alcuna volta sognando. E conciossiachè il dispregio sia un mettere in opera l'opinione che si tiene d'una cosa che da nulla ci paia (perciocchè le cattive e le buone cose, e quelli che son mezzi del bene e del male ci paiono degne di farne conto: ma quelle che sono non nulla, o di pochissimo momento, non ci sono d'alcuna considerazione), tre saranno le sorti del dispregio. Il non curare: il far dispetto: e l'oltraggiare; perciocchè quelli che non curano, dispregiano; avvenga che quelle cose non si curano, che di nulla stima degne si reputano. E quelle che per degne di nulla stima si tengono, si dispregiano. E quelli che fanno dispetto, mostrano di non curare; per questo che il dispettare è uno impedimento che noi facciamo delle voglie altrui, non per aver noi, ma perchè altri non abbia. Poichè dunque dispregiamo un altro senza nostro profitto, è chiaro che crediamo che il dispregiato non ci possa nuocere (che se ciò non fosse, n'avremmo paura, e non lo dispregeremmo), nè anco pensiamo che ci possa far giovamento da tenerne conto; perchè c'ingegneremmo d'averlo per amico; e quelli che fanno oltraggio dispregiano; perchè oltraggiare non è altro che nuocere, e far dispiacere in cose che tornino a vergogna di chi riceve l'oltraggio. E questo non per acquisto d'alcuna cosa di più di colui che il fa, nè per risentimento di dispiacere che sia stato fatto a lui, ma solamente per piacer di sè stesso; perchè quelli che rendono l'offesa ricevuta non oltraggiano, ma si vendicano. E la cagion del piacer che glie ne risulta è, che nel far quella superchieria, si presume d'esser da più degli altri. E da qui nasce che i giovani e i ricchi sogliono esser oltraggiosi; perchè in questo poter oltraggiare pensano d'esser maggiori degli altri. Dall'oltraggio procede il disonore. E chi disonora dispregia, perchè colui che reputa una cosa da nulla, non ne tien conto alcuno, nè come di bene nè come di male. E per questo Achille adirandosi, dice:
A mio scorno il mio pregio
Mi tolse, ed ei se 'l tiene; ed ei se 'l gode;
ed altrove:
Come stranier, come d'onore indegno
Disonorommi;
volendo mostrar che per queste cose si fosse adirato; perciocchè gli uomini si persuadono di dover essere molto apprezzati da quelli che sono inferiori a loro di sangue, di potenza, di virtù. Ed universalmente chiunque si sia che in quella medesima cosa si creda d'avanzare un altro di molto, in quella si presuppone di dover esser assai stimato da lui; come il ricco dal povero nelle ricchezze, un bel dicitore nell'eloquenza da chi non sa parlare, un signore da un vassallo, ed un che si reputi degno di governare da un degno d'esser governato. E per questo fu detto:
Sì grave è l'ira
De gli alteri da Dio nutriti Regi;
ed in un altro loco:
Ma dentro al petto serba
Ira ch'a nuocer luogo e tempo aspetta.
Perciocchè tenendosi eccellenti sopra gli altri, non possono tollerare di non esser riconosciuti per tali. Pensiamo ancora d'essere stimati da coloro da chi convenientemente aspettiamo benefizio. E questi sono quelli ai quali abbiamo fatto, o facciamo ben noi; o che sono, o sono stati beneficati da qualcuno de' nostri, o per nostro conto; o beneficati che siano, o che s'avesse animo di beneficarli; e già, per quello che s'è detto, si può chiaramente ritrarre in che disposizione, con quali persone, e per quali cose gli uomini s'adirano. Perciocchè quanto alla disposizione, allora agevolmente si crucciano, quando si dolgono; perchè colui che si duole qualche cosa desidera. Onde se alcuno s'oppone dirittamente a quel suo desiderio (come a un che abbia sete nel bere), e se ancora non così dirittamente; par che ne segua il medesimo similmente. Avvenga che il paziente in quel termine si crucci con ognuno, o che gli si opponga, o che non lo sovvenga, o che qualch'altro impedimento gli faccia, mentre si trova in quell'essere. E per questo gl'infermi, i poveri, gl'innamorati, gli assetati, ed in somma tutti quelli che desiderano, e quelli che non possono conseguire i loro desideri, sono universalmente stizzosi e di poca levatura. E massimamente verso quelli che poco si curano di ciò che patiscono in quel tempo; come gli ammalati si risentono con chi nella lor malattia; i poveri con chi nella lor povertà; i guerrieri con chi nel maneggio della guerra; gl'innamorati con chi nell'occorrenze d'amore, o fanno lor contra, o non gli ajutano, o in altra guisa gli attraversano; e similmente con gli altri simili; perchè la passion presente tien ciascuno come avviato a crucciarsi di ciascuna cosa che gli dispiaccia. Oltre di ciò s'adirano, quando avvien loro il contrario di quel che aspettavano; perciocchè una cosa che venga molto fuor di pensiero, n'affligge maggiormente: come anco più ne diletta, se molto inaspettatamente ne incontra, pur che sia come noi vogliamo. Donde si possono chiaramente considerare le stagioni, i tempi, le disposizioni, l'età, quali siano maggiormente inchinate all'ira, e quando, e dove. E che quanto più ci troviamo nelle cose dette, tanto maggiormente inclinazione abbiamo a crucciarne. Questi dunque così fatti sono quelli che facilmente montano in collera. Ora diciamo con chi s'adirano, che son quelli che si ridono di loro, che gli scherniscono, che li motteggiano; perciocchè gli oltraggiano; e con quelli che gli offendono con altre simili cose, le quali siano segni d'oltraggio, che necessariamente saranno quelle che non si fanno per vendetta nè per comodo alcuno che se ne cavi. Onde si può pensare che per oltraggio solamente son fatte. Ci adiriamo ancora con quelli che ne biasimano, e non ci prezzano in quel che principalmente è nostra professione; come se tenendo riputazion di filosofi non fossimo stimati nella filosofia; e compiacendone d'esser belli fossimo scherniti nella bellezza; e così medesimamente nell'altre cose. E tanto più se stessimo in dubbio, che quelle cose fossero in noi, o che ne fossimo privi affatto, o che scarsamente l'avessimo, o che avendole non apparissero; avvenga che quando ci conosciamo gagliardi in quel che ci sentiamo tocchi, non ce ne curiamo; e con gli amici di crucciamo più che con quelli che non ci sono amici; perchè pensiamo che sia più convenevol cosa ricever ben da loro, che non riceverne; e con quelli che sollevano onorarci e curarsi di noi per innanzi, quando di poi se ne ritraggano; perchè ci crediamo per questo che ci dispregiano; che se ciò non fosse, continuerebbono di fare il medesimo; e con quelli che non ci rendono il cambio del bene che abbiamo lor fatto, o che non lo rendono pari; e con quelli che fanno contra di noi quando ci siano inferiori; perchè tutti questi simili par che ci disprezzino: quelli come inferiori beneficati da superiori, e questi come superiori dispregiati da inferiori; e con quelli maggiormente ci crucciamo i quali ci dispregiano, essendo essi di nessun pregio; perchè s'è già proposto che l'ira venga dal dispregio che c'è fatto da quelli a chi non si conviene; e convenevol cosa non è che gl'inferiori dispregino i superiori. E con gli amici, se non dicono ben di noi o non ce ne fanno. E tanto più se fanno il contrario, e se non conoscono il nostro bisogno; come Plisippo indotto da Antifonte a crucciarsi con Meleagro; perciocchè non avvedersi del bisogno dell'amico è segno di dispregio, essendo che le cose che ci sono a cuore non ci siano nascoste. E con quelli che si mostrano festosi de' nostri infortunj, ed universalmente di buon animo; perciocchè o nemici o dispregiatori dimostrano d'essere. E con quelli che non si curano di darci dispiacere. E per questo ci adiriamo con chi ci porta cattive novelle, e con quelli che sentono, e veggono volentieri i danni e le vergogne nostre; perchè o dispregiatori, o nemici par che ci siano; conciossiachè gli amici si condolgano de' mali degli amici, ed ognuno si dolga del suo proprio. E con quelli più gravemente ci crucciamo che ci dispregiano appo cinque sorti di persone, che sono quelli co' quali si desidera d'avere onore, quelli che noi ammiriamo, quelli da chi vogliamo esser ammirati, quelli di chi ci vergogniamo, e quelli che si vergognano di noi, e con quelli che ci dispregiano in cose che ci sia vergogna a non ajutarle; come son padri, figliuoli, moglie e sudditi. E con quelli che non sono grati de' benefizj; perchè il dispregio è un non far secondo il dovere; e con quelli che ironicamente ci pungono, quando facciamo o diciamo alcuna cosa da vero; perchè l'ironia è una spezie di dispregio. E con quelli che fanno bene agli altri, se non ne fanno ancora a noi; perchè questa è pur una sorte di dispregio, non degnar uno di quel che giudica che tutti siano degni. Il dimenticarsi ancora fa stizza, come scordarsi de' nomi, sebbene è picciola cosa; conciossiachè la dimenticanza paja ancor segno di dispregio; perchè procede da negligenza e la negligenza è dispregio. Abbiamo già detto con chi gli uomini s'adirano; come son fatti quando sono in disposizion d'adirarsi; ed insieme si son fatte note le cose per le quali montano in ira. Ora è chiaro che al dicitore fa mestiero di dispor col suo parlare gli ascoltanti nel modo che son quelli che sono disposti a crucciarsi, e di fare gli avversarj colpevoli di quelle cose che provocano ad ira; e mostrar loro per tali, quali sono quelli con i quali ci adiriamo.