CAPITOLO V.

DEL timore dichiareremo al presente che cose, e che persone sono quelle che sono temute, e la disposizion di coloro che temono. Diciamo adunque che il timore sia un certo dispiacere, o una perturbazione che proceda dall'immaginazione d'un futuro male, o pernizioso, o doloroso; perciocchè non tutti i mali si temono, come non si teme l'avere a diventar ingiusto, ovver tardo; ma solo sono paurosi quelli che sono possenti di fare o gran pernizie, o gran dolore. Nè anco di questa sorte temiamo quelli che ci sono discosto, ma quelli che ci pajono vicini a dover essere; perciocchè di molto lontani non ci fanno paura; avvenga che tutti sappiamo di dover morire, e non vedendo la vicinità della morte non ce ne curiamo. Essendo adunque la paura quel che s'è detto, è necessario che quelle cose sieno paurose, o spaventevoli, o terribili che l'abbiamo a chiamare, che gran poter hanno di distruggere, o di nuocere in cose che grandemente ci affliggono; e per questo temiamo ancora i segni delle cose terribili, perchè ce le fanno parer vicine. E questa vicinità è quella che si chiama pericolo. Di cotal sorte sono l'inimicizie e l'ire di quelli che hanno qualche possanza di nuocere; perchè, poichè vogliono e possono, è manifesto che sono appresso all'eseguire. E l'ingiustizia è tale quando è congiunta con la potenza; perciocchè si presuppone che la volontà ci sia sempre, essendo che l'ingiusto sia ingiusto, perchè si propone di voler far male. Tale è la virtù ingiuriata quando può anch'ella, perchè quanto al volere, ella vuol sempre che si senta ingiuriare; quanto al potere, si dice ora che possa. Tale ancora è la paura di quelli che hanno qualche possanza, perchè questi tali temendo d'essere offesi, è necessario che stiano anco preparati per offendere; e perchè molti sono gli uomini cattivi, e servi del guadagno, ed anco timidi ne' pericoli, è quasi sempre da temere lo stare a discrezion d'altri. E per questo temiamo un consapevole di qualche nostro malfatto, che non ci riveli, o non ci abbandoni; e quelli che sono potenti a ingiuriare, sono terribili a quelli che sempre possono essere ingiuriati, perchè le più volte gli uomini ingiuriano gli altri quando possono. E quelli che sono stati, o che pensano d'essere ingiuriati, s'hanno da temere; perciocchè aspettano sempre il tempo di vendicarsi; e di quelli che hanno ingiuriato si deve aver paura, perchè sospettando non sia lor renduta l'ingiuria (che questo s'è presupposto che sia da temere ), cercano d'assicurarsi. Ed i concorrenti sono da esser temuti, quando non possano insieme ottener l'uno e l'altro quel che competono; perciocchè tra questi tali è sempre continua guerra; e quelli che sono terribili ai maggiori di noi, saranno terribili ancora a noi, potendosi maggiormente nuocere ai minori che ai maggiori. E così quelli che son temuti dai maggiori di noi, per la medesima ragione. E coloro che s'hanno levato dinanzi quelli che sono da più di noi, e coloro che manomettono gli inferiori a noi, o perchè già sono, o perchè cresciuti che sieno, saranno terribili; e degl'ingiuriati e de' nemici o degli avversarj, sono terribili non quelli che sono subiti nella collera e liberi nel parlare, ma che sono quieti, simulatori e scaltri; perciocchè non si scoprendo, non si posson vedere se son vicini a farci male; e per questo anco non ci possiamo mai chiarire che ci sieno lontani. Di tutte le cose terribili quelle sono più da temere, dove gli errori che si fanno non si possono correggere; ma la correzione o assolutamente non è possibile, o dipende dagli avversari e non da noi. Ed anco quelle contra le quali, o non abbiamo aiuti, o difficilmente ci aiutiamo. E parlando universalmente, terribili son tutte quelle cose, le quali accadute, o che sieno per accadere ad un altro ci muovono a compassione. Delle cose terribili dunque, e di quelli che noi temiamo, queste per modo di dire sono quasi le più notabili. Ora venendo alla disposizion di quelli che temono, diciamo, ch'essendo già la paura un espettazione d'avere a patire qualche male pernizioso, è manifesto che nessuno di coloro temerà, i quali non pensano di dover patire cosa alcuna. Nè temeranno quelle cose, le quali non istimano di patire, nè quelle persone da chi non l'aspettano, nè allora che non se 'l pensano. È dunque necessario che quelli temano, i quali credono che potrebbono patir qualche cosa, e patir da questi tali, e tali cose e nel tal tempo. Ma quelli non si credono di poter patir cosa alcuna che si trovano in gran prosperità, e che così pajono. E per questo sono oltraggiosi, e dispregiatori e audaci. E le cose che li fanno tali sono le ricchezze, la forza, la moltitudine degli amici e la potenza. Nè quelli che stimano d'aver già sofferto e provato di quei mali che sono atroci, e che hanno estinta ogni speranza dell'avvenire, come coloro che son già menati al supplizio. Ma per temere bisogna che agli uomini resti qualche speranza della salute, per conto della qual cosa sono angustiati. E segno di questo è che la paura fa proceder con consiglio, e nessun sa consigliare dove non è speranza. Onde che per dispor gli auditori quando sia meglio di farli temere, ce li bisogna acconciar di sorte, che credano di poter patire, per aver patito quelli che sono da più di loro; e mostrar degli altri simili che patiscono, o vero che hanno patito, e da quelli che non si pensano, e in quelle cose, ed allora che non si pensavano. Della dichiarazion del timore delle cose che s'hanno a temere, e della disposizion di quelli che temono, vien dichiarato quello che sia confidare, circa quali cose confidiamo, e qualmente siano disposti i confidenti; perciocchè la confidenza è l'opposito della paura, e le cose che ci fanno confidare opposite a quelle che ci fanno temere. Onde che la confidenza sarà con immaginazione delle cose salutifere come propinque: e delle terribili come non fossero, ovvero come lontane. E le cose che ci fanno confidenti sono le atroci e perniziose di lontano, e quelle che ci danno animo da presso; e quando ci sia di poterle ammendare, e quelle nelle quali abbiamo o molti o grandi aiuti, o grandi e molti insieme. E dove non siamo stati offesi, nè manco abbiamo offeso altri, e dove non abbiamo concorrente alcuno, o che quelli che concorrono con noi non son potenti, o se hanno potenza, sono amici, o benefattori nostri, o beneficati da noi, o dove quel che vogliamo fare, torna a benefizio alla maggior parte, o alla migliore, o alla migliore ed alla maggiore insieme. Confidenti saremo poi quando ci troviamo in questa disposizione di pensare, che molt'altre cose ci siano successe prosperamente, e senza alcun sinistro, o che molte volte ci siamo messi ne' travagli, e ne siamo usciti a salvamento; perciocchè per due cose gli uomini stanno sicuri: o per non aver provato il male, o per avervi il rimedio. Come ne' pericoli del mare aspettano francamente o quelli che non hanno notizia della tempesta, o quelli che per esserne esperti, vi sanno riparare. E quando crediamo che una cosa non sia tenuta per terribile dai simili a noi, nè anco da quelli che sono, o che stimiamo che siano da manco di noi; e da manco teniamo quelli i quali o li cui simili, o di cui più possenti abbiamo superati; e quando noi pensiamo d'aver le più e le maggiori di quelle cose che fanno terribili gli uomini che n'abbondano più degli altri; e queste sono la moltitudine de' danari, il valor delle genti, la fortezza de' paesi, la copia degli amici, e gli apparecchiamenti della guerra, o tutti, o quelli di più importanza. E quando non abbiamo ingiuriato o niuno, o non molti, o non tali che dobbiamo temerne. Ed universalmente, quando così dall'altre cose, come dai segni, e dagli oracoli conosciamo di star ben con Dio. Perciocchè l'ira genera confidenza, e il non offendere, e l'essere offeso genera l'ira. E l'aiuto degli Dei si stima che sia in favor di quelli che ingiustamente sono offesi. E quando essendo i primi ad assaltare, pensiamo che non ci accada, o non sia per accaderci male alcuno, o che la cosa ci abbia a succedere felicemente; e delle cose che s'hanno a temere, e per le quali abbiamo a confidare, già s'è detto abbastanza.

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