LA prosperità ha per sue parti i costumi de' sopraddetti; perciocchè quelle che noi teniamo che siano maggior prosperità, si stendono per tutti quei beni che si son detti, ed oltre a quelli comprendono l'esser avventurato ne' figliuoli, e quanto al corpo, l'abbondar de' suoi beni. I fortunati dunque sono più superbi, e più sconsiderati che gli altri uomini, come quelli che si confidano nella lor buona fortuna; un costume nondimeno gli accompagna miglior di tutti gli altri: che sono religiosi ed in un certo modo ben disposti verso Dio; e questo, perchè per suo benefizio si pensano d'esser beneficati dalla fortuna. Abbiamo ora detto de' costumi appartenenti all'età ed alla fortuna; perchè i contrarj di quelli che si son detti, per i lor contrarj si manifestano; come i costumi de' poveri, degli sfortunati e degl'impotenti. Ma conciossiachè l'uso de' parlamenti persuasivi sia per rispetto del giudicio; perciocchè nelle cose già sapute e giudicate non accade più di parlare, intendendosi per giudizio ancora quello nel quale il ragionamento si volge ad una sola persona, o che persuada, o che dissuada, come son quelli che ammoniscono e quelli che esortano; che nondimeno hanno quell'un solo per giudice, essendo che giudice universalmente s'intenda quello, a chi fa mestiero di persuadere, così dicendosi contra l'avversario, come pigliandosi un soggetto da sè stesso; perciocchè bisogna pur che si venga alle ragioni di quel che si dice, e che si distruggano le contrarietà che vi sono, contra le quali s'indirizza il parlare, come contra l'avversario. E così anco nel genere dimostrativo, perciocchè il dir si rivolge allo spettatore, come a giudice. Ma giudice in somma per semplice intelligenza si dice quello che giudica sopra le questioni delle controversie civili. Perciocchè in questioni si mettono così le cose che si litigano, come quelle che si consultano. A questo giudizio dico, indirizzandosi l'uso dell'orazioni sopraddette; ed essendosi dei costumi, che molto giovano a questo, parlato prima nel deliberativo, quando si trattò della natura di ciascuna sorte di civiltà; si viene ad esser diffinito, come e per quali mezzi s'hanno a fare i ragionamenti conformi ai costumi di tutti, e conciossia cosa ancora che il fine sia diverso in ciascuna sorte d'orazione: di questi fini tutti avendo già prese le opinioni e le proposizioni donde cavano le lor prove e quelli che consultano, e quelli che dimostrano, e quelli che litigano; ed avendo oltre di questo determinato di che cose s'hanno a compor le orazioni accomodate ai costumi; resta ora che veniamo alle cose comuni. Perciocchè è necessario che ognuno nel suo dire inferisca di quelle cose, che son circa il possibile e l'impossibile; e che de' dicitori alcuni si sforzino di provare che una cosa sia per essere, ed alcuni che sia stata. Comune ancora a tutte le sorti dell'orazione è di poter far grande e piccolo quel di che si ragiona. Perciocchè usano di ringrandire e di sminuir le cose, e confortando o disconfortando, e lodando o vituperando, ed accusando o difendendo. Determinate queste cose, ci sforzeremo di ragionare degli entimemi in comune, se avremo che dirne, ed anco degli esempi. Acciocchè aggiungendovi ora quel che ne restava a dire, diamo perfezione alla proposta che ne facemmo da principio. E di queste cose comuni lo ringrandire (come s'è detto) è appropriatissimo al genere dimostrativo; la cosa fatta al giudiziale (perciocchè dal fatto nasce il giudizio); e il possibile e il futuro, al deliberativo.