ESSENDO tre le cose delle quali s'ha da trattare intorno all'arte del dire: la prima che consiste nell'invenzion delle prove, la seconda nell'elocuzione, e la terza nella disposizion delle parti del ragionamento che s'ha da fare. Abbiamo già detto delle prove, di quali cose, e di quante si fanno, e come sono di tre sorti, e quali siano, e perchè tre solamente; perciocchè ognuno resta persuaso o per una qualche disposizion di sè stesso, o per credere che coloro che dicono, siano d'una qualche condizione, o per essergli dimostrato per forza di ragione. Abbiamo ancora trattato d'onde s'hanno a cavar gli entimemi; perciocchè d'essi altri sono spezie, ed altri sono luoghi. Ora conseguentemente abbiamo a ragionar dell'elocuzione; perciocchè non basta aver che dire, che bisogna dir anco come si conviene, ed è di molta importanza a far parer l'orazione di quella qualità che bisogna. S'è cercato in questa facoltà di dire, secondo l'ordine naturale prima quel che naturalmente è primo, cioè di trovar donde le cose s'hanno a provare. Dipoi trovate che sono, come s'hanno a mettere in ragionamento, e con qual ordine. Ed ultimamente come si debbono pronunziare e recitare. La qual parte è di grandissima forza; ma per ancora non è stata ridotta in arte, perchè non è molto tempo che venne nei tragici e negli epici; perciocchè da principio i poeti medesimi rappresentavano le lor tragedie. Onde che questa parte della recitazione appartiene ancora alla rettorica, sì come appartiene alla poetica. E da Glaucon Teio, e da certi altri ne sono stati dati alcuni precetti. Consiste questa nella voce, come si debba usare, quando grande, quando piccola, e quando mezzana; secondo che a ciascuna sorte d'affetto si conviene; come usar gli accenti, cioè l'alto, il basso e il mezzano. E che sorte di numeri secondo la qualità di ciascuna passione. Onde che tre sono le cose che si considerano circa la recitazione. La grandezza, l'armonia e il numero. Questi dunque che sanno ben recitare, sono quelli che quasi sempre nelle lor controversie riportano l'onore del dir bene; e siccome ora nelle poesie più muovono quelli che le rappresentano, che quelli che le compongono, così nelle contese civili sogliono esser superiori coloro, che meglio e più vivamente porgono le lor ragioni per la correzione degli ordini civili. Nondimeno l'arte di questa cosa non è stata ancor costituita; perciocchè quella dell'elocuzione ancor essa è venuta tardi. E volendola ben considerare par che sia cosa molto fastidiosa. Ma poichè tutta questa pratica della rettorica insieme è fondata nel parere; ci convien tener conto ancor di questa parte, non come di cosa ben fatta, ma necessaria. Considerando che il dover sarebbe di non cercare altro di più ne' parlamenti, che porger nudamente le sue ragioni, e contendere con la sola verità delle cose, senza voler per via d'ornamenti e d'artifizio attristare, o dilettar gli animi degli ascoltanti per guadagnarseli. Onde che l'altre cose che si adducono fuor della dimostrazione, sono anco fuor del proposito; possono nondimeno assai, come s'è detto per la corruzion che regna negli auditori. L'ornamento dunque del parlare, per un certo che, si richiede necessariamente in ogni sorta di disciplina. Essendo pur qualche differenza a voler bene esprimere il suo concetto dal dire in un modo, al dire in un altro. Nondimeno non importa tanto nell'altre, quanto in questa. Ma tutte queste cose hanno luogo nella fantasia degli uomini, e servono solamente per adescar gli auditori; e da qui viene, che nessuno di quelli che insegnano la geometria procede con tale artifizio. Quest'arte di recitare quando si sarà trovata, sarà quel medesimo che quella degl'istrioni. E di già sono stati certi, che hanno messo mano a darne alcuni pochi avvertimenti, come Trasimaco nelle sue commiserazioni. Procede questa grazia di recitare più tosto dalla natura che dall'arte. Ma circa il parlare, non si può fare senza artifizio; e per questo dico un'altra volta, che quelli che ciò sanno fare, riportano la palma delle lor contese, così come i retori nella parte che tocca all'azione; perciocchè si vede che l'orazioni scritte hanno maggiore efficacia dal modo del dire, che dal sugo de' sentimenti. Cominciarono da principio i poeti a mover qualche cosa in questa parte, sì come naturalmente si fa perchè i nomi delle cose non sono altro che una rappresentazion d'esse, e la voce è sopra tutte l'altre parti attissima rappresentatrice d'ogni cosa; e di qui son venute l'arti del comporre versi eroici, e del rappresentare le composizioni, e l'altre simili. E perchè i poeti piacevano alla gente, ancora che dicessero delle sciocchezze, parve che il favore e la gloria loro non venisse tanto dalle cose che dicevano, quanto dal modo del dirle; e di qui nacque che gli oratori si dettero da principio al dir poetico, come fece Gorgia; ed infino ad oggi sono molti poco intelligenti i quali pensano che questi tali siano i più leggiadri dicitori di tutti. Il che non è, perchè d'una parte è il dir che s'appartiene ai prosatori, e d'un'altra quel che si conviene a' poeti. Di che fa fede l'usanza che è seguita di poi; perchè gli scrittori delle tragedie non usano più quel medesimo modo di comporre. Ma sì come dagli ottonarj si sono gittati ai jambici senarj, come a numero più somigliante alla prosa, così hanno dismessi quei vocaboli che sono fuor dell'uso del parlare ordinario; e quelli che ancor oggi son compositori d'esametri non usano più quelle voci, con che ornavano prima le lor composizioni. E per questo è una vanità a voler imitare quel lor modo di dire, il qual da essi medesimi è stato rifiutato. Chiara cosa è dunque che non ci bisogna ragionar compitamente tutto che si può dire intorno all'elocuzione, ma solamente intorno a quella che diciamo appartenere al prosatore; perchè dell'altra abbiamo ragionato nella poetica. E quel che se n'è detto sia ben detto.