AVENDO parlato di queste cose, diremo ora donde si cava l'arguzia e le vaghezze del parlare. Queste si fanno o per bontà d'ingegno, o per forza d'esercitazione. Ma come si debbano fare s'appartiene a quest'arte d'insegnarlo. Ora volendo dirle e raccontarle, cominceremo prima da questo. Che tutto quello che facilmente ci dà qualche notizia, naturalmente ci diletta. E perchè tutte la parole ci fanno intender qualche cosa, quelle che portano con loro questa nuova intelligenza son quelle che maggior dilettazion ci porgono. Ma le parole forestiere non fanno ciò, perchè non ci son note, e le proprie perchè già le sappiamo. Lo fa dunque principalmente la metafora, perchè dicendosi paglia per significar la vecchiezza, ci si insegna, e ci si dà notizia per mezzo del genere di quel che hanno comunemente la paglia e la vecchiezza, perciocchè così l'una come l'altra sono appassite e senza vigore. Il medesimo fanno adunque le immagini de' poeti. Onde che, se saranno ben prese, riusciranno ancor esse arguzie; perciocchè dall'immagine alla metafora non c'è altra differenza che una certa giunta di più; e quell'esser più lunga fa che sia men dolce. Ed è men dolce ancora, perchè l'immagine non dice che quella cosa sia questa, e però l'animo non lo cerca. Ora è necessario, così nel parlare, come negli entimemi, che quelle s'intendano arguzie, che in un subito ci fanno sapere qualche cosa di più; e per questo volendo vagamente dire; nè quelli entimemi son vaghi che vanno per la piana, cioè che sono chiarissimi a tutti, e che non bisogna punto cercarli; nè quelli i quali, poichè son detti non sono intesi. Ma vaghi son quelli, che mentre si pronunziano, o poco dipoi che si son pronunziati, ci si fanno noti, se ben prima non erano; perciocchè in questi, o mentre si dicono, o detti che sono, veniamo in qualche cognizion di più; dove quegli altri non ci insegnano cosa alcuna, nè detti, nè dicendosi. Sì che quanto al sentimento della cosa che si dice, questi tali entimemi sono quelli che hanno vaghezza.
Ma quanto all'elocuzione la vaghezza si fa con la figura del dire, come sarebbe del contrapponimento in questa guisa. Quella che comunemente era pace agli altri pensavano che fosse privatamente guerra a loro; dove la guerra si contrappone alla pace. Fassi ancora con le parole quando ci concorre la metafora, la quale non vuol esser aliena; perchè difficilmente s'afferra in un tratto quel che si dice con quel che si vuol dire; nè vuol esser in tutto volgare, ed esposta ad ognuno, perchè così non muove affetto niuno. Si fa medesimamente quando si pongono le cose avanti agli occhi: conciossiachè volendo commovere, bisogni rappresentarle in fatto più tosto che da farsi. Onde che per dar vaghezza al parlare, ci conviene aver in considerazione queste tre cose, la metafora, il contrapponimento e la vivezza. Ma trovandosi di quattro sorti metafore, quelle sono le più vaghe di tutte, che si fanno per via di proporzione; come fu quella che fece Pericle de' giovani che furono uccisi nella battaglia; dicendo che la città restava per la perdita della gioventù, non altramente che resterebbe l'anno senza la primavera. E quell'altra di Leptine de' Lacedemoni. Che non si dovea consentir di veder che la Grecia restasse con un occhio solo. Cassiodoto sdegnandosi che Carete faceva una gran fretta di render conto della guerra Olintiaca, disse, che si studiava che li fosse riveduto allora, perchè avea la capezza nella gola al popolo. Il medesimo volendo una volta esortare gli Ateniesi che s'erano vettovagliati in Negroponte, disse che bisognava che uscisse in campagna il parer di Milziade. Ed Ificrate avendo per male che gli Ateniesi avessero capitolato con gli Epidauresi e con tutta quella riviera, disse che s'erano privati del viatico della guerra. E Pitalao soleva dire che Paralo era la mazza del popolo, e Sesto l'arca di Pireo. E Pericle dava per precetto, che si dovesse tor via l'isola d'Egina, per essere un panno negli occhi di Pireo. Merocle, nominando un gentil uomo disse di sè, che egli era non punto più tristo di lui, perciocchè l'usura della tristizia di quel tale era a più di trenta, e la sua solamente a dieci per cento. Alessadride in quel jambo che fece delle figliuole, che indugiavano troppo a maritarsi, disse:
Son queste mie fanciulle
Cadute in contumacia delle nozze;
Polietto contra un certo Speusippo, che in tutte le parti del mondo era stupido, disse che la fortuna non lo lasciava star saldo, ancora che l'avesse messo nella malattia del Pentesiringo. Cefisodoto chiamava le galere, molini dipinti. Diogene Cinico diceva che le taverne erano i cenacoli d'Atene. Esione disse che tutta la città s'era versata in Sicilia. Il qual parlare è per metafora, e mette la cosa avanti agli occhi. Così dicendosi che la Grecia gridava, in un certo modo è metafora, e pon la cosa avanti agli occhi. Cefisodoto parlando con gli Ateniesi delle lor tumultuose congregazioni, avvertite, disse, di non dar tante volte all'arme. E così anco Isocrate contra di coloro che concorrevano ne' panegirici. Lisia nell'orazion fatta nell'esequie de' Corintj morti a Salamina, disse in questo modo: Degna cosa è che la Grecia venga coi capelli tagliati a questa sepoltura, dove con la virtù di questi cittadini è sepolta ancora la sua libertà. Che se avesse detto che ragionevolmente dovea piangere, perchè con essi era sotterrata la virtù, era metafora e rappresentazion della cosa; ma dicendo con la lor virtù la sua libertà, fa un certo contrapponimento di più. Ificrate, dicendo il cammino del mio parlare, sarà per mezzo delle cose fatte da Carete, usa la metafora che vien dalla proporzione; e quel per mezzo mette le cosa avanti agli occhi. Il dire ancora che i pericoli esortino a sovvenire ai pericoli, è medesimamente vivezza e metafora insieme, Licoleone orando in favor di Cabria, disse: e non gli perdonerete voi per riverenza di questa che vi supplica in vece sua? La quale era una sua statua di bronzo. Questa è metafora in quell'atto, ma non sempre. È ben sempre rappresentazione; perciocchè essendo egli in pericolo, s'induce una sua statua a pregar per lui. Onde che una cosa senz'anima supplica a una animata. E metafora è medesimamente a dir ch'essa statua fosse un comentario delle cose fatte per la repubblica. Studiavano in tutti i modi di saper poco. Quello studiare, si dice per metafora; perchè propriamente è un voler fare acquisto di qualche cosa e non perdere. Accese Dio l'intelletto per lume nell'anima. Questa ancora è metafora ben presa; perchè così l'intelletto come il lume chiariscono, come dir l'oscurità. Non dissolviamo la guerra, dice Isocrate, ma le prolunghiamo i termini. Metafora, dove l'una cosa e l'altra, cioè il prolungamento de' termini, e questa tal pace, riguardano al futuro. Queste condizioni d'accordo (dice il medesimo) sono un trofeo de' nemici, di maggior gloria, che quelli che s'acquistan nella guerra; perchè quelli per poca cosa, e per una sola buona fortuna si guadagnano; e queste s'impongono quando s'è finito di vincere interamente; dove i trofei e le condizioni hanno questo di comune, che l'una cosa e l'altra sono segni di vittoria. E questa è metafora che ancora alle città con esser infamate dagli uomini, si danno de' gran castighi, perciocchè il castigo non è altro che un certo giusto nocumento.