Capitolo III. L’Infinito.

Altro caposaldo della filosofia materialista – dopo l’inseparabilità della materia e della forza e la loro eternità – è quello che afferma l’infinità dell’Universo nello spazio. Nello stesso modo che abbiamo visto che riesce impossibile concepire il nulla assoluto, del pari inconcepibile riesce l’assegnare dei limiti allo spazio. E invero: è concepibile un limite dell’Universo senza pensare a qualche cosa di esistente al di là di quel limite? No, per cui si può dire che la nozione dell’infinito costituisce la piattaforma delle stesse nostre operazioni mentali. Se anche la scienza dovesse dimostrarci sperimentalmente l’esistenza di limiti allo spazio, nessuno di noi saprebbe – in forza della propria organizzazione intellettuale – rappresentarseli come esistenti, concepirli.

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Per avventura invece, che l’inverso sia infinito, è oggi – dopo le conquiste dell’astronomia siderale – una verità, si può dire, sperimentale. Più gli strumenti di osservazione andarono perfezionandosi e in maggior copia apparirono agli occhi degli scienziati nuovi e sempre rinascenti mondi, e più lo spazio, in cui nuota la eterna materia, parve ingrandirsi. – Una volta si credeva ingenuamente che la Terra fosse il primo tra gli astri e il centro dell’Universo. Credevano i nostri buoni antenati che tutto quanto il mondo: soli, stelle, pianeti, nebulose, satelliti, fosse stato creato al preciso scopo di dare alla Terra, questa sedicente regina del mondo, uno stuolo di compiacenti cortigiani. Fu primo Galileo a dare un colpo a tale pregiudizio che oggi non sopravvive più, se non forse – fossile innocuo e inosservato – in qualche trattatello, di quelli compilati ad usum delphini. Altro che regina dell’Universo! Lo è così poco che non solo vi sono milioni di corpi celesti immensamente più grandi di essa (dopo Venere, la Terra resta il più piccolo pianeta dello stesso nostro sistema solare) ma, sparsi in tutti, si può dire, i punti dello spazio, s’aggirano, al di là dell’orbita in cui il nostro sistema solare si muove, complessi e vastissimi sistemi di mondi. Le distanze commensurate dagli astronomi raggiungono cifre che sbalordiscono! Si sa che l’unità di misura di queste distanze è la velocità della luce. Essa percorre, com’è noto, 42 mila leghe al minuto secondo; or bene, chi avrebbe mai pensato che per giungerci dalla Via Lattea abbia impiegato non meno di 2000 anni? E si noti che la Via Lattea non è uno dei più lontani sistemi di mondi. I telescopi di Herschell e di Ross ci hanno attestato la presenza di stelle a profondità anche più lontane. Si conoscono astri la cui luce per giungere sino a noi ha impiegato non meno di 60000 anni! Si domanda: qual ragione s’impone per ammettere che a distanze così lontane dall’imaginabile. vi siano dei limiti? Noi non li possiamo ammettere, giacchè vediamo come sia bastato e basti perfezionare i nostri mezzi di osservazione per scoprire, a distanze sempre maggiori, astri e sistemi di astri sempre nuovi! Dobbiamo, in altre parole, necessariamente ammettere che, qualora collocassimo le nostre specole in uno di questi remotissimi astri, chi sa quali non concepibili distanze il telescopio scoprirebbe al di là dei medesimi! E non solo: è nota la legge di gravitazione per cui i corpi tutti si attraggono in ragione diretta della loro massa ed inversa del quadrato delle distanze. Se l’Universo non fosse illimitato, come crediamo, ma circoscritto in determinati confini, cosa avverrebbe? Avverrebbe in forza appunto della legge newtoniana la conglomerazione in un solo globo di tutti gli astri, insomma il caos. Avverrà questo fra qualche centinajo di milioni di anni?

La risposta si risolve a sua volta in una domanda: poi- chè il mondo esiste dall’eternità, come mai ciò non s’è fino ad ora verificato?

Evidentemente non si può ammettere nessuna attrazione verso un centro qualsiasi determinato. Ciascuna massa planetaria tende naturalmente ad attrarre nella sua orbita le altre masse, ciascuna massa tende, diremo così, a farsi centro dell’Universo, ma non pertanto i conati d’ogni singolo centro d’attrazione (centripeto) vengono controbilanciati dalla corrispondente attrazione in senso opposto, esercitata dai centri più lontani (centrifughi), e questo all’infinito.

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