RIASSUNTO E CONCLUSIONE.

La conclusione delle pagine che abbiamo così presentato – conclusione che il lettore conosce già – non può essere dubbia: l’uomo non è il prodotto di un atto creativo speciale, ma di una lenta, lunghissima e laboriosa evoluzione organica, disciplinata da proprie leggi, quali ad esempio la lotta per l’esistenza, la selezione sessuale, la selezione naturale, l’adattamento, l’eredità, ecc., per le quali le specie animali, lungi dall’immobilizzarsi ciascuna in un tipo irriducibile, secondo l’idea che ne ebbe la biologia tradizionale, tendono continuamente a trasformarsi per dar luogo aa altre più perfette.

Queste leggi furono, com’è noto, illustrate la prima volta con inusitata larghezza da C. R. Darwin nell’opera L’Origine delle Specie.

Riassunte nella forma più chiara e più breve che ci è stata possibile queste leggi fondamentali al Capitolo I: Le Basi della Teoria, noi abbiamo esposto nel Capitolo Il le Scoperte della Paleontologia, in forza delle quali fa d’uopo riconoscere all’uomo un’età ben più antica di quella recentissima di circa 6000 anni attribuitagli dalla Sacra Scrittura. Non occorre ch’io rammenti la scoperta di fossili nei profondi strati miocenici e la conclusione cui pervenirono i paleontologi assegnando al genere umano almeno 240 000 anni di vita. Pur tuttavia se le scoperte ardite della paleontologia, corroborando la critica biblica, potevano costituire un argomento di più in sostegno della tesi che nega i caratteri divini dai teologi regalati alle Sacre Scritture, se, dico, aggiungevano un argomento di più, e validissimo, in prova dell’indole esclusivamente umana, storica della Bibbia, non potevano forse bastare a persuader tutti della verità d’una teoria come la darwiniana, la quale proclama assurda l’ipotesi biblica che fa intervenire l’opera diretta del Creatore nella origine dell’uomo...

Ed ecco allora spiegarsi al Capitolo III tutti i più evidenti caratteri della parentela animale: così i caratteri anatomici, come i fisiologici, per cui, a dirla con l’Häckel, riesce impossibile fare dell’uomo un regno a parte nella classificazione geologica. Qui abbiamo esposto le osservazioni e le opinioni di naturalisti valorosi, quali l’Häckel, l’Huxley, il Weissbach, l’Owen, il Büchner, ecc.

Più interessanti nondimeno, e senza dubbio – almeno dal mio punto di vista – più decisive, appajono le prove embriologiche da noi a larghe linee esposte nel Capitolo IV.

Invero noi abbiamo ivi veduto come gli stadî di sviluppo percorsi dall’embrione umano corrispondono a quelli pei quali il mammifero si eleva a poco a poco – via via differenziandosi – dagli ordini e dalle famiglie più umili ai più complicati. Così abbiamo visto come se nelle primissime fasi della gestazione il feto umano rassomiglia a un pesce, assume in seguito la forma di un anfibio e poscia quella, più specializzata, di un vertebrato.

Non torna forse inopportuno ricordare qui le parole dell’Häckel:

«La serie delle diverse forme che deve percorrere ogni individuo di qualsiasi specie, dal principio alla fine della sua esistenza, dall’uovo alla tomba, è una breve e rapida ricapitolazione delle serie di forme specifiche e multipli, per le quali passarono gli antenati della specie attuale, durante il tempo incalcolabile dei periodi geologici.»

Discorrendo nel V Capitolo – benchè brevemente – degli organi rudimentali e delle anomalìe affatto irreducibili, come gli attributi d’una Provvidenza divina e onnisciente, e per ciò inesplicabili per quanti credono alla origine divina dell’uomo; trattando al Capitolo VI delle prove storiche addotte dal Lubbock contro il sofisma della degradazione patrocinato dai teologi, rilevammo nell’uno e nell’altro campo formidabili conferme della ipotesi darwiniana.

La petulanza teologica ci offrì tuttavia materia per altri due non brevi capitoli: Cap. VII, Objezioni e Risposte, Cap. VIII, Preoccupazioni sentimentali. Con la scorta dei fatti e delle osservazioni registrate da scienziati come Darwin, Hayes, Reugger, da linguisti come Du Chaillu, Westropp, William Bell, C. Royer, ecc., noi abbiamo dimostrato come nessuno dei così detti caratteri speciali o essenziali dell’uomo riveste tale natura; insomma abbiamo chiarito come tali attributi non siano mai esistiti e non esistino – almeno con la particolare fisonomia loro assegnata – che nella imaginazione dei teologi. La conclusione del capitolo non poteva necessariamente che suonare conferma della ipotesi darwiniana.

Spinoso per l’indole più polemica presentavasi il Capitolo VIII, esordendo il quale non potemmo a meno dal denunciare la mala fede con la quale il darwinismo viene di volta in volta attaccato e diffamato dagli avversarî.

Chiarita assurda, per non dire calunniosa, l’accusa mossagli dai teologi di avvilire l’umana dignità, noi affrontammo l’altra accusa, secondo la quale il darwinismo sovverte la morale.

Rilevammo col Canestrini come la Morale sia pei teologi un pretesto per dichiarar guerra a una dottrina, la quale, più assai che della morale, palesasi sovversiva del dogma e della superstizione.

Vera invece, benchè in un senso relativo, riconoscemmo la terza accusa: che cioè il darwinismo sovverte la Religione. Senza dubbio.

Mentre infatti il darwinismo non impedisce a nessuno di foggiarsi una sua propria idea e un suo proprio culto del Divino, la rompe recisamente con tutte le Rivelazioni. Com’è logico, il darwinismo la rompe anche con la dogmatica cattolica, cui si legano tanti interessi gerarchici, materiali, morali,– politici, ecc.

Popolarizzare il darwinismo vuol dire senza dubbio affrettare il processo di dissoluzione dell’organismo cattolico, il definitivo tramonto del dogma, con tutte le sue conseguenze.

Ma che v’ha di riprovevole o anche solo di irreligioso in tale opera?

Non è forse questo il più bel contributo, il maggior servizio che la dottrina darwiniana può rendere alla causa del progresso umano?

Cesare Enrico Aroldi.

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