CAPITOLO VIII. PREOCCUPAZIONI SENTIMENTALI.

L’attitudine dei teologi di fronte al darwinismo, come, in tesi generale, di fronte a qualsiasi altra conquista della scienza contemporanea, è davvero curiosa. Da prima tentarono di ucciderlo col ridicolo, ma invano. Il darwinismo non parve curarsene. Capirono in seguito la necessità di fare della polemica, la quale avesse almeno una larva di contenuto scientifico, e gettarono sul mercato una quantità di polpettoni tomistico-biblico-rivelatori – mi si passi l’orribile trinomio – a fine di combattere corpo a corpo l’odiata dottrina... Ma anche qui fecero fiasco.

Infatti: la Rivelazione non ha i caratteri di quella autenticità divina che la Chiesa vi attribuisce. E una. In secondo luogo le objezioni d’indole, diremo così, tecnica si chiarirono insostenibili alla stregua dei fatti.

Capovolgere le parole, girarle a piacere a fine di convergerle a certi scopi non è impresa difficile per nessuno, molto meno per dei teologi, figurarsi! L’imbroglio nasce quando si pretenda di capovolgere e girare i fatti... E due.

Ciò premesso, qual via restava tuttora aperta ai seguaci della Rivelazione? Ecco il dilemma: o far atto di adesione al darwinismo, vale a dire abjurare il dogma, oppure a quest’ultimo attaccarsi e combattere il darwinismo con ogni arma. Il primo partito fu, manco dirlo, scartato a priori.

A parte infatti lo scandalo, dove se ne andrebbero la quiete dello spirito e, diciamolo pure, la quiete del corpo?

Prudentemente la teologia – parlo della protestante non meno che della cattolica – si attenne al secondo partito e formulò un programma di lotta che si può riassumere in una parola sola, la quale potrà forse suonar male, ma che, a parer mio, sintetizza il criterio a cui sono informate tutte, senza eccezione, le campagne della teologia contro la scienza contemporanea: diffamazione.

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Bisogna mettersi in testa che pei dottoroni del cattolicismo, il pensiero moderno, il quale si arroga la facoltà di procedere fuori delle pastoje dogmatiche, costituisce qualche cosa di sacrilego, di peccaminoso, di satanico. Non c’è che dire: le teologie non vedono ordine e morale al di là delle loro formule, dei loro credi. Chi ne vive fuori dev’essere, per questo solo, messo al bando come cosa pericolosa e turpe... Tutti comprendono in qual posizione possa essersi trovato e possa trovarsi di fronte alla teologia una dottrina come la dottrina darwiniana, la quale, senza mezzi termini, la rompe con le tradizioni bibliche mettendo in interdetto nientemeno che la Rivelazione.

Il campo teologico e conseguentemente la turba dei poveri di spirito (che non sono pur troppo la minoranza), dei bigotti, dei baciapile, dei Tartufi vecchia e nuova scuola, diedero il grido d’allarme, gridarono allo scandalo, all’empietà, allo scombussolamento universale. Diffamarono il darwinismo non potendo tenergli testa sul terreno della polemica scientifica.

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Ed ecco come.

Il darwinismo, dicono i teologi, offende, abbassandola al livello delle bestie, l’umana dignità.

A loro volta i darwinisti domandano: è questo un argomento contro la verità della dottrina che sosteniamo? No. In nome della dignità, i signori teologi infallibilisti, non distruggono uno solo dei fatti da noi invocati a suffragio della nostra teoria.

Dunque un argomento buono tutt’al più per un pubblico di bigotti, non mai certo per degli studiosi.

E dicono anche: è contrario al vero che il darwinismo abbassi la dignità umana... Comprendiamo che i signori teologi lo vadano tuttodì ripetendo per fomentare antipatie e diffidenze contro la nostra dottrina, ma, facendolo, sanno di essere in mala fede. Invero come una persona la quale, nata povera, abbia toccato gli alti gradi della considerazione e della ricchezza non menoma la propria dignità riconoscendo la sua oscura origine in una famiglia povera e rozza, così il genere umano, in quanto rappresenta la più elevata sfera dello sviluppo organico non rinnega la propria dignità riconoscendo la parentela che lo lega al mondo sottostante degli esseri organizzati, vegetali e animali. Al contrario rifulgono anzi così in più viva luce i meriti dell’uomo, il quale, pur fra mezzo a difficoltà e ostacoli senza fine, ha saputo elevarsi all’attuale grado di coltura intellettuale e di civiltà. Da che si vede come abbia ragione l’Huxley di scrivere che contro la retorica di tali argomentazioni basta la logica di un fanciullo... «È egli (intendi l’uomo) forzato di latrare e di camminare a quattro gambe, perchè sta il fatto, completamente fuori d’ogni dubbio, che una volta egli era un uovo, nel quale non si poteva minimamente discernere differenza alcuna da quello di un cane?».

E Flammarion sentenzia benissimo quando dice che ogni qualvolta sentiamo taluno volgere in ridicolo la parentela dell’uomo con l’animalità, dobbiamo ritener per dimostrato di trovarci di fronte o a un ignorante, o a una mente chiusa, o, peggio, a una persona in mala fede. «Questi spiriti retrogradi – scrive l’illustre astronomo francese – mettono la nobiltà loro là dove non ve n’è punto, nella decadenza di un tipo primitivo più o meno perfetto, in luogo di riconoscerla, di ammirarla e salutarla nel progresso

Qui torna forse opportuno ricordare anche le splendide parole di un altro illustre naturalista, il dottor Schaaffhausen.

«Non si può credere che avvilisca l’uomo chi attribuisce la sua nascita ad un naturale svolgimento delle forme, sendochè non si può dire che ciò equivalga a ridurre allo stesso livello l’intelligenza umana e quella animale. Si possono mantenere fuori di ogni contestazione i grandi interessi intellettuali e morali dell’umanità, e nondimeno ammettere che l’intelligenza nostra, da un infimo stato siasi inalzata fino al più sublime grado di elevazione. Certo, si potrà rispondere che l’uomo e l’animale sono diversi nell’essenza. Tuttavia, se noi non avessimo veduto il pulcino uscire dall’uovo, con quanta maggiore verosimiglianza non potremmo noi pretendere che uovo e pulcino son cose essenzialmente differenti? Per qual motivo i primi elementi del sentimento morale, umano non avrebbero potuto trovarsi ne’ primi sentimenti dell’animale?

«Se i corpi organizzati s’avviano tutti verso una perfezione progressiva, perchè uno sviluppo graduale delle forze intellettive dovrebbe reputarsi impossibile? Considerare la natura come un tutto, la cui evoluzione rilega le parti, non val forse quanto concepire una più grande idea del disegno della creazione, e più degna che non sia quella di chi vuol vedere nel Creatore il volgare artefice, che a diversi tempi distrugge il suo lavoro per ammigliorarlo con altre opere?»

Ma si dice: il darwinismo offende e minaccia di sovvertire la morale.

Ma a qual morale, di grazia, intendono alludere i teologi? Alla morale della Chiesa? o non è questa ormai liquidata all’infuori dell’azione del darwinismo? chi ha detto ai teologi che una morale non sia possibile, indipendentemente dalla Rivelazione e dai dogma? e non vediamo noi tuttodì coi nostri occhî nascere dai nuovi rapporti sociali, creati senza l’intervento del darwinismo, dalla Civiltà moderna, una morale nuova e, quel che è più, in antitesi alla pietistica morale teologica? E allora con qual buona fede si attacca il darwinismo e gli si fa taccia di sovvertire l’ordine morale? E ignorano d’altra parte i dottori della teologia che tutte le dottrine nuove, a partire da quella tanto celebre di Galileo nel moto della Terra, furono in ogni tempo dalla Chiesa scomunicate come sovversive della morale? E chi oserebbe fra gli stessi teologi sostenere che il mondo sia diventato più cattivo in seguito al trionfo di tali dottrine? O non è anzi vero al contrario che l’umanità civile è diventata migliore?

Per il che ben s’appone il Canestrini quando scrive: «Il timore di una decadenza morale per le idee di Darwin, a mio credere, non è che un pretesto; ciò che veramente si teme è la caduta di certi pregiudizî che da taluno, sia in buona fede, sia per ragioni egoistiche, si vogliono fomentare nei credenti. Ma egli è certo un sublime spettacolo il vedere come tali pregiudizî vadano scemando in ragione diretta del progresso delle scienze naturali e si ritirino ognora più davanti alla civiltà sempre crescente.»

Non la morale minacciata si vuol salvare dai teologi, ma piuttosto col pretesto della morale la rocca crollante di pregiudizî, di superstizioni, de’ quali hanno pasciuto e pascono, non senza materiale profitto, l’ignorante umanità.

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Un’altra accusa fanno i teologi al darwinismo: dicono che sovverte la religione.

E per essere giusti fa d’uopo riconoscere che quest’accusa ha un qualche fondamento di verità.

Senza dubbio quella religione, la quale, facendo del libro biblico il suo sancta-sanctorum, si impernia nell’adorazione di un Dio partigiano, vendicativo, fallace, capriccioso, vano, malizioso cui fanno corona centinaja di pseudo-iddii eredi dei detronizzati idoli pagani; quella religione, ripeto, la quale fa un dogma della divinità di Gesù che nacque, visse e morì uomo per quanto come Budda, come Confucio ed altri superiore a’ suoi simili – o peggio quella religione la quale fa dell’«eterna tortura» – l’inferno – un dogma, punto preoccupandosi della contraddizione in cui sta con la decantata bontà divina, è uscita poco meno che sgominata dagli attacchi del pensiero moderno.

Ma in ciò – sia detto categoricamente – il darwinismo vi ha una parte solo subordinata. È tutto l’indirizzo scientifico contemporaneo che urtando contro la dogmatica ha finito nell’ultimo secolo col demolirla. Che colpa ne ha il pensiero contemporaneo se su basi d’argilla posava l’edificio della Fede? Possiamo onestamente fargli colpa d’aver rischiarato problemi e d’aver formulato conclusioni, le quali spiacciono alla Religione? Possono i teologi pretendere che Darwin e seguaci venissero umilmente da loro a chiedere il permesso di far libero uso della logica o, per dirla con cattolico linguaggio, di far uso di quel raziocinio che i teologi definiscono poi primi un dono di Dio?

E se d’altra parte il darwinismo, lungi dal contenere alcuna verità scientifica, non è, come l’ortodossia sostiene, che un’aberrazione, un nonsenso, che ha a temerne la Religione, la quale per converso riposa su cardini infallibili?

E ancora: esclude forse la concezione darwiniana dell’origine dell’uomo e del processo universale della vita la credenza in un Ente soprannaturale?

In altre parole, è proprio necessario far adesione all’ateismo per essere darwinisti?

E chi non ha letto, non foss’altro sulle copertine delle riviste o sui giornali cattolici, qualche brano delle Ascensioni Umane di A. Fogazzaro, non meno ossequioso delle fondamentali verità darwiniane che dei dogmi cattolici?

Lo che significa che nei darwinisti possiamo trovare gli atei a fianco di coloro i quali, pur negando fede alla Rivelazione e simili, ammettono l’esistenza di un principio superiore, insomma di un Dio.

Ch’io mi sappia, l’ateismo non fu professato dal Darwin fondatore della dottrina evoluzionista. Ricorderò in proposito – chè possono far piacere a qualcuno – le ultime righe con le quali chiude l’immortale Origine delle Specie:

«Vi ha certamente del grandioso in queste considerazioni sulla vita e sulle varie facoltà di essa, che furono in origine impresse dal Creatore in poche forme od anche in una sola; e nel pensare che, mentre il nostro pianeta si aggirò nella sua orbita, obbedendo alla legge immutabile della gravità, si svilupparono da un principio tanto semplice, e si sviluppano ancora infinite forme, vieppiù belle e meravigliose.»

Dov’è dunque il famoso sovvertimento della Religione? Qual darwinista, si chiamasse Büchner o Huxley, ha mai preteso che si neghi l’esistenza di Dio come condizione sine qua non per aderire alla dottrina?

Se non che queste ed altrettali domande hanno tutta l’aria di oziosi punti interrogativi... Qual’è infatti la Religione per la quale temono, o dicono di temere i teologi? Evidentemente la Cattolica. Non sono i pericoli onde può essere minacciata la fede nella divinità in sè stessa ciò che turba il cattolicismo; ne abbia il lettore la prova nelle persecuzioni e nelle scomuniche in ogni tempo inflitte a tristi come, per ricordarne qualcuno, Bruno da Nola, Galileo Galilei, M. Lutero, e fra i modernissimi G. Garibaldi e G. Mazzini; è propriamente il timore che la popolarizzazione del darwinismo debba nuocere all’organismo dogmatico della religione costituita, nel quale, sto per dire, scompare aggrovigliata e atrofizzata la stessa astratta idealità di Dio. Affievolendosi la fede nei responsi biblici e sacerdotali, aumentando negli uomini la fiducia in sè stessi e, conseguentemente, venendo meno in essi i terrori e le superstizioni ai quali fino ad oggi li tenne aggiogati il clero, ci sono tutte le ragioni per temere che insieme si rompa una volta per sempre la vasta rete di interessi materiali e morali che vi è fondata...

Che il darwinismo – vuoi come concezione generale della vita, vuoi come concezione dell’origine dell’uomo – possa affrettare, una volta popolarizzato, questo processo di disgregazione delle superstizioni e degli interessi cattolici, non sarò io certamente a negarlo. Ma per fermo ritengo che da questo punto di vista debbano tutti i liberi spiriti vedere nell’opera del darwinismo uno dei maggiori servizi che il Pensiero moderno rende, consapevole della sua missione, alla causa della civiltà.

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