INTRODUZIONE

Che cosa s'intende per Anarchico. – Socialismo e anarchismo. – Divergenze fondamentali. – Carattere della presente volgarizzazione.

Nel concetto comune, accettato dai più senza controllo, come moneta corrente, si suol designare col nome di anarchico colui il quale, professandosi nemico dell'attuale ordinamento economico-politico, vagheggia e, per quanto può tende con altri al fine rivoluzionario di rovesciarlo mediante la violenza, aspirando come ideale ultimo, come programma massimo, per dir così, della sua azione rivoluzionaria, ad una società nuova fondata sulla perfetta uguaglianza di tutti i suoi componenti, e quel ch'è più caratteristico, una società senza Governo, senza Stato, senza leggi, senza tribunali, senza nessuna di quelle istituzioni ufficialmente riconosciute (quali, ad esempio, la Proprietà, il Matrimonio, l'Esercito, ecc.), che, sotto forme diverse, si sono sempre mantenute presso tutti i popoli, in tutti gli ordinamenti e in tutti i tempi.

Si è sempre fatta – e si fa tuttora da molti – una grande confusione fra socialisti e anarchici, fra la dottrina e l'ideale di questi ultimi e il collettivismo. Fa d'uopo invece riconoscere che, contro tutte le apparenze, c'è fra gli uni e gli altri, fra le teorie socialiste e le anarchiche, una notevolissima, per non dire anzi essenziale e insanabile divergenza. E la verità è che così sul terreno dottrinario come sul terreno pratico della propaganda e del programma, i capi riconosciuti delle due dottrine hanno sempre impegnato fierissime polemiche, e, sull'arena tumultuosa dei comizi, i socialisti e gli anarchici si schierano generalmente in due colonne avversarie e nemiche.

Nè potrebbe essere altrimenti. Il socialista di qualunque tendenza combatte anzitutto e sopratutto quello ch'egli chiama l'ordinamento borghese (intendi il regime capitalistico della proprietà e della distribuzione delle ricchezze); egli mira, nell'interesse del proletariato, alla socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio, al collettivismo, e crede che ad esso – indipendentemente dall'azione dei partiti – sia incamminata, per fatalità di leggi economiche, la società attuale.

Ridotta alla sua più semplice espressione, la dottrina socialista non è che lo sforzo cosciente col quale una classe d'uomini (il Proletariato) si studia, nel suo diretto interesse (che in ultima analisi coincide e s'identifica con l'interesse di tutta la collettività), di affrettare l'avvento di una nuova fase economica, di un nuovo evo storico, i cui germi sono già sviluppati nel seno della attuale fase economica nella compagine dell'attuale evo storico.

La fatalità del collettivismo! Ecco infatti il motivo che ricorre sovente nella letteratura socialista. Coloro che accettano i postulati di C. Marx sanno benissimo che il Collettivismo non può rappresentare l'ultima, definitiva fase della storia umana... Nel concetto marxista il Collettivismo rappresenta nè più più nè meno che la sintesi con la quale le forze motrici dell'odierno regime borghese risolveranno le contraddizioni, le antinomie del regime borghese.

Il Socialismo sarà, in altre parole, il figlio del Capitalismo, e uscirà per processo naturale dalle sue viscere, nella stessa guisa che quest'ultimo è uscito dalle viscere della società feudale. (Il Feudalismo sarebbe il nonno del Socialismo!) È logico che, date queste premesse, il socialista non possa concepire la sua futura Utopia che traverso i punti di vista (un kantiano direbbe traverso le categorie) della società borghese: il Governo, lo Stato, la Famiglia, la Proprietà, il Diritto Punitivo, ecc., ecc.

Non passa neppure per la mente al socialista la possibilità di far tabula rasa di queste istituzioni che hanno in ogni tempo e presso ogni popolo, quantunque sotto diverse forme, contrassegnato la convivenza sociale degli uomini. Egli dirà che vuole abolita la proprietà capitalistica, ma per far posto alla proprietà statale; vuole abolito il Governo borghese, ma per far posto al Governo socialista.

Possiamo, in altre parole, immaginare il regime collettivista come un vasto ordinamento borghese senza borghesia (intendi senza borghesia padrona o dominante). Insomma: il socialista non è necessariamente un nemico delle Istituzioni; è, tutt'al più un avversario delle istituzioni borghesi.

Ma per l'anarchico è tutt'altra cosa! Prima di tutto egli non fa bersaglio de' suoi strali la società borghese, ma tutte le forme di società aventi la loro ragion d'essere nel PRINCIPIO AUTORITARIO... È come dire che quand'anche domani si dovessero distruggere gli attuali rapporti di proprietà e di scambio, egli, in quanto professa i principi dell'Anarchia, dovrebbe combattere con non diminuito ardore la società collettivista inaugurata dalla Rivoluzione. Il perchè è presto detto: Il Collettivismo lascia intatta l'essenza dell'antico regime: il principio di autorità; il Collettivismo riconosce e consacra, siccome legittima, la dipendenza dell'individuo nei suoi rapporti con la collettività, e rinnova a quest'ultima il mandato di controllare la condotta.

Noi abbiamo visto che il socialista non potrebbe, quando pure lo volesse, immaginare il futuro collettivismo meta delle sue aspirazioni, se non traverso i punti di vista della società attuale. Per l'anarchico il caso è perfettamente l'opposto. Egli non sa che farsene delle cosidette leggi di Evoluzione e di Continuità storica, che tiene in conto di imparaticci e di retorica borghese. L'anarchico salta a piè pari l'alta siepe delle categorie sociali, da cui è invece limitato l'orizzonte intellettuale e teorico del socialista, e salta questa siepe col negarle a priori, col rigettarle lungi da sè come un inutile ciarpame. La sua, insomma, è una logica diversa da quella del socialista. Egli non ha nè la sua scienza, nè i suoi scrupoli, ed è sovratutto un dichiarato nemico delle riserve con le quali il seguace di Marx concepisce la Rivoluzione.

Nel corso delle pagine che seguiranno, noi ci studieremo di esporre e riassumere nel modo più obiettivo la dottrina anarchica. Benchè ancora molti guardino ad essa e a' suoi seguaci come ad uno spauracchio, come al babau, è fuor di dubbio che essa trovò una larga adesione fra pensatori di alto intelletto e che forma ancora oggi il conforto e la fede di molti uomini, i quali non sono poi tutti dei pazzi o dei delinquenti.

Filosoficamente considerate, le dottrine anarchiche potranno fornire materia di disputa, ma nessuno ha il diritto di condannarle a priori come immorali o criminose. Studiarle nella loro genuina espressione è, direi quasi, doveroso per ogni persona colta, per chiunque sdegni di approvare o combattere un indirizzo di idee senza bene conoscerle. Ma, come dissi nella Prefazione, io non intendo assolutamente di far opera apologetica o polemica: non scrivo pro nè contro le idee degli anarchici. Io mi propongo semplicemente di esporle, studiandomi, per quanto mi riuscirà, di prescindere da quelle che possono essere, in proposito, le mie personali convinzioni.

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