LA NEGAZIONE DELLA PROPRIETÀ: P. J. PROUDHON

Che cos'è la Proprietà (Qu'est ce que la propriété?)

Ecco il problema al quale Proudhon ha dedicato la maggior parte delle sue meditazioni e a cui deve, come scrittore e come anarchico, la sua celebrità.

Le idee di Proudhon, per chi, quantunque in forma riassuntiva, voglia esporle con un certo ordine, si possono raggruppare intorno ai due seguenti capitoli fondamentali:

a) le forze economiche;

b) la Proprietà.

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Non entra nelle vedute della nostra volgarizzazione l'affermare giudizi sulle dottrine. Lasciamo perciò libero chi legge di giudicarne il valore e l'importanza; quanto al Proudhon, ci basta dire che, malgrado i vigorosi attacchi e i sarcasmi atroci del Marx, passa per i più come il Padre dell'Anarchismo moderno. Tale almeno lo proclama P. Kropotkin, delle cui idee avremo ad occuparci più avanti con una certa larghezza.

Secondo un altro anarchico (un intellettuale anche questo), si deve al Proudhon il merito di avere svolto i principi fondamentali della dottrina anarchica: che la schiavitù è l'assassinio, che la proprietà è il furto, che Dio è il male...

A sua volta Carlo Marx osserva che quelle di Proudhon non sono opere di scienza, ma dei pamphlets sensazionali sul tipo del famoso Saggio sulla Popolazione, che diede la celebrità al borghese Malthus. Insomma: come ha degli ammiratori fra i correligionari anarchici, così il Proudhon ha dei detrattori tra gli avversari socialisti e conservatori.

Ma veniamo alla esposizione delle sue idee.

Le forze economiche.

Il credito, la divisione del lavoro, la concorrenza, la proprietà, lo scambio, ecc., sono, dice Proudhon, delle forze economiche.

Si tratta di vedere se il giuoco di queste forze avviene liberamente, se cioè esse, anzichè essere costrette e ostacolate da forze contrarie, sono sottomesse alle leggi che sono loro proprie, le quali non dipendono dall'arbitrio dell'uomo. In una parola, si tratta di vedere se le forze economiche si svolgono armonicamente, se sono tenute in equilibrio, giacchè è soltanto dalla loro armonia o altrimenti dal loro equilibrio che dipendono l'organizzazione del lavoro e il benessere di tutti.

Possiamo fare un passo avanti: possiamo credere che la Filosofia della Miseria formi, nel concetto di Proudhon, una cosa sola con la Filosofia delle Forze Economiche; scoprire le contraddizioni da cui dette forze sono tormentate, equivale, in altre parole, a mettere il dito sulla Causa o sulle Cause della Miseria... Il ragionamento proudhoniano è di una semplicità addirittura schematica. Riassumiamolo in poche linee: Le forze economiche di una società hanno d'uopo di non essere menomamente inceppate, che è quanto dire di svolgersi conformemente le proprie leggi naturali (intendi le leggi insite alla stessa loro natura, all'infuori d'ogni umana ingerenza), per poter assicurare e garantire a tutti i consociati il benessere e la pace... Se dunque esiste la miseria, se una profonda ineguaglianza divide gli uomini in classi nemiche, ciò significa indubbiamente che fra le forze economiche non c'è armonia, bensì contraddizione, disordine.

Proudhon afferma appunto che c'è contraddizione fra le forze economiche della società (il lavoro, la concorrenza, il credito, la proprietà, ecc.) e le sue forze politiche (il Governo, le rappresentanze la gerarchia giudiziaria, le leggi, ecc., ecc.). «Egli vede, a base della attuale «civiltà industriale», uno stato di «Antagonismo», di «guerra» espresso dalla deviazione delle forze economiche, in quanto operano entro lo schema dell'assetto politico e dipendono dalle sue condizioni. Ciò che sarebbe buono in sè (il lavoro, la concorrenza, il credito, la proprietà),devia per ragioni che non gli sono intrinsecamente proprie».

La Proprietà.

La prima questione – la questione, diremo così, pregiudiziale – che, in rapporto alla Proprietà, bisogna affrontare e risolvere, è se la proprietà sia giusta o ingiusta.

Proudhon si propone di dimostrare:

a) che tutti i ragionamenti posti avanti per difendere la Proprietà, concludono sempre necessariamente coll'ineguaglianza, ossia colla negazione della proprietà;

b) che se in linea di fatto, la proprietà può considerarsi una forma accidentale, transitoria, essa è, in linea di principio,

MATEMATICAMENTE IMPOSSIBILE;

c) che la proprietà è un furto.

Ma, aggiunge Proudhon, in luogo di concludere che la proprietà sia divisa fra tutti, domanderò, per misura di sicurezza generale, che essa sia per tutti abolita.

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«Proprietà e Società» sono termini antitetici, irreducibili. Affermare la proprietà è lo stesso che negare la società. Dimostro, dice Proudhon: Per causa della proprietà, gli uomini sono divisi in due classi (i ricchi e i poveri) necessariamente e continuamente in guerra. Dunque è chiaro che la proprietà ha per correlativo necessario la guerra alla proprietà. Ecco una contraddizione insanabile! Occorre, in altre parole, o che la società perisca, o ch'essa annulli la Proprietà.

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Ma, dicono gli apologisti della Proprietà, ciò che giustifica il possesso sono l'occupazione e il lavoro.

Secondo Grozio, la prima origine del possesso dovrebbe ricercarsi nella guerra e nella conquista e, in seguito, nei trattati e nei contratti. Ma, evidentemente, incalza Proudhon, se i trattati e i contratti fecero all'origine le parti uguali, resta a vedere come più tardi all'uguaglianza sia subentrata l'ineguaglianza...

Dovremmo ammettere che i trattati e i contratti siano stati imposti con la forza. E allora sono nulli, e noi viviamo in uno stato permanente di ingiustizia e di frode. La propriété c'est le vol!

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Altri pretendono legittimare il diritto di proprietà con la Legge e col consentimento universale. Ma, evidentemente, nel costituire la proprietà, la legge ha esorbitato dalle sue attribuzioni. Peggio ancora: non ha realizzato che una metafora, una astrazione, una finzione giuridica. Chi possiede ha un diritto senza riserva sul possesso: egli può, cioè, alienare, vendere donare, acquistare o perdere. Ma se aliena, se vende, se dona, se acquista (intendi se aggiunge una nuova proprietà alla propria), l'uguaglianza per cui il suo diritto di possesso è stato garantito dalla legge viene meno. E che valore può mai avere il consentimento universale? Esso è nullo, e non fa bisogno di provarlo.

Ma torniamo al così detto diritto di occupazione, nel quale Proudhon vede propriamente il tallone d'Achille di tutte le teorie apologetiche della proprietà.

Infatti: nessun uomo può fare a meno di occupare un dato spazio. È una necessità fisica. Nè può fare a meno, per vivere, di una materia di sfruttamento e di lavoro. Ma, per le nascite e le morti, il numero degli occupanti varia continuamente; di conseguenza varia continuamente la quota di materia a cui ogni uomo può pretendere. Dunque la occupazione è sempre subordinata alle fluttuazioni della popolazione.

Se ne conclude che il possesso, non potendo mai, in tesi di diritto, rimanere fisso è impossibile, in fatto che esso divenga proprietà. L'occupazione impedisce la proprietà.

Resta da liquidare quell'altro titolo di legittimità sul quale gli economisti ortodossi insistono di più: il lavoro. Impresa non difficile. La proprietà deriva dal lavoro? O, perchè allora chi lavora non possiede nulla? L'affittaiuolo non acquista forse col suo lavoro quella terra per cui corrisponde un canone al proprietario? Non aggiunge egli tutti gli anni qualche cosa al campo o alla vigna che bagna del sudore delle sue braccia?

Ma v'ha di più. Il proprietario, continua Proudhon, «è una macchina che non funziona, o che, funzionando per il proprio piacere, o secondo il proprio capriccio, non produce niente. Ciò che il proprietario consuma, come lavoratore se lo fa rimborsare; egli non dà il suo lavoro in cambio della sua proprietà, perchè cesserebbe per ciò stesso d'essere proprietario. A consumare come lavoratore, il proprietario guadagna, o, almeno, non perde niente, perchè si rifonde; a consumare come proprietario si impoverisce. «Per godere della proprietà bisogna dunque distruggerla: PER ESSERE EFFETTIVAMENTE PROPRIETARIO BISOGNA CESSARE DI ESSERE PROPRIETARIO».

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Qui Proudhon si pone la questione come l'istinto di società, così sicuro tra gli animali, abbia fallito nell'uomo. Secondo lui la radice di tutti i mali che ci affliggono – non esclusa quindi la Proprietà privata – è la nostra facoltà di riflessione o com'egli dice, «l'autocrazia della ragione». L'avvenire dell'umanità non ha nulla da attendersi dalle speculazioni astratte dei filosofi, ma col progressivo senso di Giustizia, la cui intuizione ogni uomo reca impressa nel fondo della propria coscienza. Ma la Giustizia è incompatibile con l'Autorità. Bisogna dunque distruggere l'Autorità, uscire una volta per sempre da tutti gli ordini sociali fondati sulle gerarchie, riorganizzare l'umano consorzio su nuove basi...

«Io sono anarchico, dice il Proudhon: quantunque molto amico dell'ordine, sono, in tutta la forza del termine, anarchico». E altrove si leggono queste parole: «Anarchie, absence de maître, de souverain, telle est la forme du gouvernement dont nous approchons tous les jours, et que l'habitude invètèrerèe da prendre l'homme pour régle, et sa volontè pour loi, nous fai règarder comme le comble du désordre et l'expression du chaos».

Ma che cosa si sostituisce al Governo abbattuto? Proudhon risponde: l'organizzazione industriale.

Partendo dal principio del Contratto formulato nel secolo XVIII dai filosofi della rivoluzione, svolto in forma sistematica da G. G. Rousseau, Proudhon nota che nessuno ha il dovere di sottomettersi alle leggi di una società qualsiasi (dispotica, costituzionale o repubblicana), s'egli non ha deliberatamente e liberatamente consentito a farvi parte. Io, dice in sostanza Proudhon, non ho in alcun modo espresso il mio consenso a quello che lo Stato chiama articoli del Codice. Io non ho mai detto di voler essere iscritto come cittadino francese, inglese o tedesco. Dunque io non mi tengo e non sono obbligato verso nessuna autorità, verso nessuna legge, alla cui elaborazione sono stato del tutto estraneo.

Se del resto voi chiedete al Proudhon cosa egli intenda di sostituire alle leggi, una volta abolite, vi risponderà con tre parole:i liberi contratti.

Niente leggi generali, neppure se votate all'unanimità. Faccia la propria legge ogni cittadino, ogni comune, ogni corporazione. Niente poteri pubblici. Suppliranno, alla loro mancanza le forze economiche. Niente classi di cittadini, in vece delle quali vi moltiplicheranno i gruppi professionali. Niente forza pubblica, che sarà sostituita dalla forza collettiva. Niente eserciti permanenti, che cederanno il posto alle Compagnie industriali. L'Anarchia completa, in una parola, in luogo dell'attuale regime autoritario.

«Vuoi tu far parte della società degli uomini liberi? dice l'anarchico. Essa non subisce e non riconosce altre leggi che le leggi della natura, uniformandosi alle quali i suoi componenti sono buoni e giusti. Chi le infrange diventa ingiusto e cattivo. Ora tu hai campo di riflettere. Se accetti, devi promettere a' tuoi fratelli di contribuire col tuo lavoro al benessere comune, di rispettare il loro onore e la loro libertà. A questo patto essi ti saranno fedeli e ti ricambieranno di pari amicizia, soccorso, servizio. Sei libero, però, di rifiutare. E in questo caso vai dove ti pare, anche tra i selvaggi, se coi selvaggi ti trovi a tuo agio, ma non pretendere nessuna protezione dalla società degli uomini liberi».

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