CAPITOLO VIII Diffusione della vita nello spazio universale

Abbiamo visto or ora come probabile l’ipotesi che dei sistemi solari si sviluppino da nebulose e che delle nebulose si formino per la collisione di soli. Abbiamo anche assunto come probabile che attorno ai soli di nuova formazione circolino dei corpi celesti più piccoli, che si raffreddano più rapidamente del corpo centrale. Dopochè si sono ricoperti d’una crosta solida, parzialmente coperta a sua volta dal mare, questi satelliti possono, in condizioni favorevoli, ospitare la vita organica, come la terra e probabilmente anche Marte e Venere; quindi acquistano per noi un interesse maggiore, che se dovessimo pensarli come formati unicamente di materia inanimata.

Qui sorge naturalmente la questione, se si possa supporre che la vita faccia realmente la sua entrata sopra un corpo celeste, appenachè le circostanze sieno favorevoli per il suo sviluppo e per la sua propagazione; problema che deve occuparci in quest’ultimo capitolo.

Già nei tempi più remoti la considerazione dei fenomeni della vita organica deve aver fatto attenti gli uomini al fatto che ogni essere vivente viene generato e, dopo un periodo maggiore o minore di vita, muore. Un po’ piùtardi, ma pure ancora in un’epoca primitiva, deve esser stata fatta l’esperienza che organismi di una specie possono generare soltanto organismi della stessa specie; o che, come si dice, le specie sono invariabili. E l’uomo imaginò che tutte le specie sieno originariamente venute dalla mano del Creatore, con tutte le loro qualità attuali. Questo modo di vedere corrisponde ancora alla rappresentazione generale, per così dire, ortodossa.

Questa concezione è spesso chiamata dal nome di Linneo, perchè Linneo nella quinta edizione del suo Genera Plantarumsi attiene rigorosamente ad essa: «Species tot sunt, quot diversas formas ab initio pruduxit Infinitum Ens, quae deinde formas secundum generationis inditas leges produxere plures, at sibi semper similes, ut species nunc nobis non sint plures quam fuerunt ab initio», cioè: «ci sono tante specie diverse, quante furono le forme diverse che l’Ente Supremo creò nel principio; queste forme poi ne produssero parecchie altre, secondo le leggi della generazione, ma sempre simili a se stesse; di modo che le specie che abbiamo ora non sono di più di quante non fossero nel principio». Pure il tempo era già maturo per una concezione meno rigida della natura, e più d’accordo con le nostre opinioni odierne. Le prime basi della teoria della evoluzione nelle scienze biologiche furono poste da Lamarck (1794), Treviranus (1809), Goethe ed Oken (1820). Ma sopravvenne una reazione, poichè Cuvier, mediante la sua autorità, riportò l’opinione generale al suo antico punto fisso, e suppose che le specie conosciute da epoche geologiche trapassate ed ora scomparse sieno state distrutte da rivoluzioni naturali, o che nuove specie sieno state create con un nuovo atto creativo.

Tuttavia in questi ultimi decenni si effettuò una verarivoluzione nell’opinione generale, per la grande estensione della teoria dell’evoluzione, specialmente dopochè l’immortale Carlo Darwin la sviluppò nei suoi lavori classici.

Secondo questa teoria, le specie nel corso dei tempi si adattano alle condizioni esterne, e un po’ per volta i cambiamenti possono diventare così grandi, che si può dire che da una specie antica se ne sia formata una di nuova. Questa veduta negli ultimi tempi, pei lavori di De Vries, fu accentuata in modo che ora diciamo che si presentano dei casi in cui, sotto i nostri occhi, si formano delle specie nuove dalle più vecchie, addirittura d’un salto. Questa teoria si chiama teoria di mutazione.

Quindi noi ora supponiamo che gli organismi viventi, che ci vediamo d’attorno, derivino tutti da organismi più antichi, molto differenti, di cui troviamo tracce e resti negli strati geologici, che si sono deposti milioni e milioni d’anni fa. Secondo questa teoria tutti gli organismi ora viventi possono provenire da un unico organismo, estremamente semplice: ma come questo si sia generato, rimane ancora da spiegare.

L’idea più comune, a cui rendevano omaggio anche gli antichi, è che gli organismi inferiori possano svilupparsi senza semi. Si osservò che degli organismi inferiori, larve, ecc., si formano da carne in putrefazione, come Virgilio descrive nelle sue Georgiche . Quest’opinione si conservò generale fino al secolo diciassettesimo ma fu confutata da numerose esperienze, tra gli altri di Swammerdam e Leuwonhoek. La teoria della così detta «generatio spontanea» fiorì a vita nuova, quando si scoprirono gli infusori, piccoli organismi che si formano in decotti ed infusioni, spontaneamente. Pure Spallanzani dimostrò (1777) che, se l’infusione, il vaso ch e la contiene e l’aria sovrapposta si scaldavano ad una temperatura sufficiente per uccidere tutti i germi, le infusioni rimanevano sterili, cioè non si svilu ppava alcun essere vivente. Da questo fatto proviene il metodo comune per preparare conserve. Veramente si sollevarono delle obbiezioni contro questa dimostrazione, e si disse che l’aria pel riscaldamento si modificava in modo da rendere impossibile lo sviluppo dei microorganismi. Ma anche quest’ultima obbiezione fu confutata dai chimici Chevreul e Pasteur, come pure dal fisico Tyndall (1860-1870), i quali mostrarono che non si sviluppano microorganismi neanche in aria, che sia stata liberata dai piccolissimi germi in altra maniera, che con un forte riscaldamento (per esempio mediante filtrazione attraverso cotone). Specialmente i lavori di Pasteur e i metodi di sterilizzazione che si basano su di essi e sono giornalmente adoperati nei laboratori batteriologici, ci costrinsero sempre più a supporre, che il germe è necessario per l’origine della vita.

Eppure eminenti investigatori dànno pur sempre di piglio alla penna, per dimostrare la possibilità della «generatio spontanea». Essi non fanno uso dei sicuri metodi naturali: bensì di speculazioni filosofiche. «Lavita — dicono — deve aver avuto un principio, quindi dobbiamo credere che la generazione spontanea, anche se nelle condizioni attuali non può essere realizzata, una volta deve avere avuto luogo». Si suscitò un grande interesse, quando il grande fisiologo inglese Huxley credette di trovare nel fango portato su dal letto del mare un corpo albuminoide, che egli chiamò «Bathybius Haeckelii», in onore del fervente darwinista tedesco Haeckel. In questo Bathybius (profondo organismo) si credette ptr molto tempo d’aver trovato il plasma primordiale creato dalla materia inorganica, da cui potevano essersi sviluppati tutti gli organismi, e di cui aveva fantasticato Oken (« Ursc hleim»). Ma ricerche più accurate del chimico Buchanan dimostrarono che la sostanza albuminoide in questo plasma consisteva di fiocchi di gesso, che precipitavano con un’aggiunta d’alcool.

Quindi si ricorsea spiegazioni molto fantastiche. Si disse che la vita potrebbe aver avuto origine nella massa infuocata dell’interno della terra. Ad alte temperature potrebbero formarsi dei composti organici (composti di cianogeno e loro derivati), che sarebbero portatori della vita (Pflüger). Ma ci sarebbe poca ragionedi acconsentire a queste speculazioni, prima che esse non abbiano un fondamento sperimentale.

Quasi tutti gli anni nella letteratura biologica appare un rapporto che finalmente venne fatto di vivificare la materia morta. Tra quelle pubblicate in questi tempi destò la massima attenzione una comunicazione del Dr. Burke. Egli affermò di esser riuscito, con l’aiuto della meravigliosa sostanza radio, a produr vita in una sostanza priva di vita, e precisamente in una soluzione gelatinosa. Ma la critica posata relegò questo rapporto, come tutti gli altri analoghi, nel regno delle favole.

Noi dobbiamo quindi attenerci al giudizio pronunciato su questo proposito con le seguenti parole dal grande fisico Lord Kelvin: « Una opinione molto antica, a cui si attengono ancora molti naturalisti, è che, in condizioni meteorologiche molto diverse da quelle che dominano attualmente, della materia morta possa essersi « combinata » o « cristallizz ata » o « ferment ata » in « germi vitali » o « c ellule organiche » o « protoplasma ». Ma la scienza somministra un materiale enorme di argomenti induttivi contro questa generazione spontanea. Materia morta non può trasformarsi in materia vivente, se non per azione di sostanze viventi. Mi pare che questa sia una massima altrettanto sicura che la legge della gravitazione universale».

Quantunque quest’ultima asserzione sembri un po’ esagerata, si vede quanto fortemente alcuni scienziati sentano la necessità di trovare un’altra via di risoluzione del problema. Una ce n’è veramente nella teoria della così detta « panspermia », secondo la quale dei germi vitali vanno vagando negli spazi dell’universo, incontrano i pianeti e riempiono di vita la loro superficie, tostochè le condizioni necessarie per l’esistenza degli organismi sieno realizzate.

Quest’opinione ha probabilmente dei vecchi precursori. Giudizi evidentemente in questo senso si trovano negli scritti del francese Sales-Guyon de Montlivault (1821), che suppose che dei germi provenienti dalla luna abbiano suscitato la prima vita sulla superficie terrestre. Un medico tedesco, il Dr. H. E. Richter, tentò di perfezionare la teoria di Darwin, mediante l’aggiunta dell’idea della panspermia (1865). Un libro di Flammarion sopra la pluralità dei mondi abitati gli suggerì l’idea che dei germi sieno venuti sulla terra da qualche altro mondo abitato. Egli accentua il fatto che si trovò del carbone in meteoriti, che si muovono in orbite simili a quelle delle comete che vanno errando nello spazio, carbone che egli considera come un resto di organismi. Questa ultima supposizione però non è affatto provata; il carbone dei meteoriti non mostrò mai tracce di struttura organica, e si può benissimo pensare che sia di origine inorganica, se lo si trova per esempio sul sole. Ancora più fantastica è la sua idea, che degli organismi librantisi su nell’aria, arrestati dall’attrazione d’un meteorite passante dinanzi a un pianeta, possono essere fatti uscire così nello spazio, e deposti sopra altri corpi celesti. La superficie dei meteoriti di fatto diventa incandescente nel loro volo attraverso l’atmosfera, e quindi dovrebbe estinguere i germi, che si potrebbe imaginare fossero arrestati da essi. E se, ad onta di tutto, un meteorite potesse portare sulla sua superficie dei germi vitali, essi, nel cadere sulla terra o sopra un pianeta simile, si abbrucerebbero nell’atmosfera.

Ma in un punto dobbiamo dar ragione a Richter; vi è logica perfetta nella sua legge: « Lo spazio dell’universo è ripieno di (o più esattamente contiene dei) corpi celesti nascenti, maturi, e spegnentesi, intendendosi per corpi maturi quelli che hanno la capacità di albergare organismi viventi. Noi riguardiamo quindi l’esistenza della vita organica nel mondo come eterna; essa è sempre stata, si è continuamente propagata, sempre sotto forma di organismi viventi, di cellule e di individui composti di cellule » . Come gli uomini un tempo ragionavano sopra l’origine della materia, ma vi rinunciarono dopo che l’esperienza dimostrò che la materia è indistruttibile e che può solo venir trasformata; e come, per ragioni analoghe, noi non poniamo mai la questione dell’origine dell’energia cinetica, così possiamo bene abituarci al pensiero che la vita è eterna, e che quindi è un lavoro inutile investigare sulla sua origine.

Le idee di Richter furono poi accolte in una lettura popolare del famoso botanico Ferdinando Cohn nel 1872. Ma la più nota opinione su questo argomento è quella del grande fisico Sir William Thomson (Lord Kelvin), che, nel suo discorso presidenziale alla British Association di Edimburgh nell’anno 1871 fra l’altro disse: « Se due corpi celesti collidono nello spazio, sicuramente una gran parte di essi si fonde, ma sembra certo che in molti casi una massa di scheggie sono scagliate in tutti i sensi, e tra queste molte non soffrono alcun danno più rilevante, che dei massi rocciosi rovinati in una frana o fatti saltare con polvere pirica. Se la nostra terra nel suo stato attuale, con tutta la sua vegetazione, urtasse contro un corpo celeste pressochè della stessa grandezza, molti frammenti grandi e piccoli, portanti seco germi, piante ed animali viventi, senza dubbio sarebbero sparpagliati nello spazio. Ora, poichè certamente ci sono da epoche infinite dei mondi abitati da esseri viventi, dobbiamo considerare come molto probabile che ci sieno innumerevoli pietre meteoriche apportatrici di germi, che errano nello spazio. Se quindi sulla terra non ci fosse vita, una pietra meteorica simile, se cadesse sopra di essa, potrebbe fare che si popolasse di esseri viventi. Io so benissimo che molte obbiezioni scientifiche possono essere sollevate contro quest’ipotesi; io non voglio stancare qui la vostra pazienza, discutendole: tutto ciò che posso dire è che credo possano venire respinte».

Purtroppo noi non possiamo condividere l’ottimismo di Lord Kelvin su questo punto. In primo luogo è dubbio se degli esseri viventi possano sostenere la scossa violenta della collisione dei due corpi celesti. Poi sappiamo che un meteorite che cada sulla terra, per l’attrito dell’atmosfera, diventa incandescente su tutta la superficie, in modo che qualunque germe sopra di esso deve perdere la sua potenza germinativa. Inoltre i meteoriti sono d’una composizione del tutto diversa, che un frammento della superficie di un pianeta simile alla terra. Le piante si sviluppano quasi esclusivamente negli strati soffici della terra, e una zolla che cadesse nell’atmosfera sarebbe indubbiamente ridotta dalla resistenza dell’aria in tanti pezzetti; ciascuno di questi diverrebbe incandescente alla maniera di una stella cadente, e non raggiungerebbe la superficie terrestre che sotto forma di polvere arsa. Un’altra difficoltà consiste in questo: le collisioni, che, come si crede, corrispondono al risplendere di stelle nuove, sono fenomeni rari, sicchè è poco probabile che dei germi vitali sieno, a questo modo, portati in un dato luogo, come sulla terra.

La questione però è entrata in uno stadio molto più favorevole, dacchè si ha conoscenza della pressione di radiazione.

I corpi che, secondo i calcoli di Schwarzschild, subirebbero l’effetto più intenso della pressione di radiazione del sole, dovrebbero, se fossero sferici, avere un diametro di 0,00016 mm. Ora la prima questione che si presenta è questa: ci sono dei germi vitali di una piccolezza così straordinaria? A ciò rispondono i botanici che le cosidette spore permanenti di molti batteri hanno una grandezza di 0,0003 a 0,0002 mm., e ce n’è senza dubbio di più piccole ancora, che noi microscopicamente non possiamo scoprire. Per esempio la febbre gialla degli uomini, la rabbia del cane, l’afta dei bovini, e la cosidetta malattia mosaica che si presenta spesso nelle piante di tabacco nell’India Inferiore, e talvolta anche da noi, sono senza dubbio malattie parassitarie; ma gli organismi corrispondenti non poterono essere scoperti, probabilmente perchè essi sono troppo piccoli e quindi invisibili sotto il microscopio . È quindi molto probabile che ci sieno organismi viventi tanto piccoli, che la pressione della radiazione solare potrebbe spingerli nello spazio, dove essi potrebbero suscitare la vita su pianeti che offrissero un posto favorevole al loro sviluppo. Ora vogliamo fare in primo luogo un calcolo approssimativo di quello che accadrebbe, se un microorganismo simile si staccasse dalla terra e fosse spinto nello spazio dalla pressione della radiazione solare. Anzitutto attraverserebbe l’orbita di Marte, poi quelle dei planetoidi e dei pianeti esterni, e, dopo aver passata l’ultima stazione del nostro sistema solare, l’orbita di Nettuno, sarebbe spinto ancora nell’infinito, verso altri sistemi solari. Non è difficile calcolare il tempo che impiegano le particelle più veloci a percorrere questo cammino. Se si pone il loro peso specifico eguale a quello dell’acqua, cosa che corrisponde molto da vicino alla realtà, esse varcano l’orbita di Marte già dopo 20 giorni, e quella di Giove dopo 80, e l’orbita di Nettuno dopo 14 mesi. Il sistema solare più prossimo, Alpha Centauri, è raggiunto dopo 9000 anni. (Questi calcoli sono fatti nell’ipotesi che la pressione di radiazione superi quattro volte la forza di gravità del sole, ciò che, secondo i numeri di Schwarzschild, dovrebbe essere pressochè giusto) .

I tempi necessari per raggiungere i diversi pianeti del nostro sisterna solare non sono tanto lunghi, che i germi vitali in questione non possano conservare la loro potenza germinativa. Alquanto più sfavorevoli appaiono le condizioni per la conservazione della facoltà germinativa nel trasporto da un sistema planetario ad un altro, che dura parecchie migliaia d’anni. Però, come vedremo più avanti, il gran freddo (circa –   220°) di queste parti dell’universo porta seco che tutti i processi chimici, e quindi anche l’estinzione della facoltà germinativa, sono quasi completamente sospesi.

Rispetto alla durata della facoltà germinativa a temperatura ordinaria, si affermò spesso che il cosidetto «frumento delle mummie» che fu trovato nelle antiche tombe egiziane, mostra ancora questa facoltà. Ma la critica dimostrò che le indicazioni degli Arabi sul sito di ritrovamento erano molto dubbie. Uno scienziato francese, Baudoin, riferì che furono trovati dei batteri atti alla germinazione in una tomba romana, che certo era rimasta per 1800 anni intatta. Forse anche questa comunicazione deve essere presa con precauzione. Certamente tanto germi di alcune piante superiori, come spore di alcuni batteri (per esempio di anthrax), possono conservare per parecchi anni — circa venti — la loro facoltà germinativa; quindi durante tempi che sono molto più lunghi di quelli calcolati sopra per il trasporto entro ad un sistema planetario.

Sulla strada dal nostro pianeta i germi sarebbero soggetti per un mese circa ad intensa luce solare, e si dimostrò che i raggi più rifrangibili della luce solare uccidono in un tempo relativamente breve i batteri e le loro spore. Però le esperienze con spore di solito furono disposte in modo che le spore avevano opportunità di germogliare sopra un letto umido (esperimenti di Marshall-Ward); e questo non corrisponde affatto alle condizioni delle spore sospese nello spazio interplanetario. Inoltre Roux dimostrò che delle spore di anthrax che sono uccise rapidamente dalla luce solare quando l’aria ha libero accesso, restano in vita quando l’aria è esclusa. Talune spore soffrono poco o nulla per l’insolazione. Secondo le esperienze di Duclaux, succede così per esempio pel Thirotrix scaber, che si presenta nel latte e può sopravvivere un mese intero a luce solare intensa. Tutti i botanici che io consultai su questo punto, sono d’opinione che non si possa con certezza asserire, che le spore durante la loro migrazione attraverso lo spazio sarebbero distrutte dalla radiazione luminosa.

Si può ancora obbiettare che le spore nel loro trasporto attraverso lo spazio, durante la massima parte del tempo, sono soggette ad un freddo straordinario, che forse non possono sopportare. Quando le spore oltrepassano l’orbita di Nettuno, la loro temperatura scende fino a – 220°, e più in là essa discende forse ancora di più. Ultimamente furono fatti nel Jenner Institute a Londra, degli esperimenti con spore di batteri, che si tennero per 20 ore ad una temperatura di – 252° (nell’idrogeno liquido). La loro facoltà germinativa non fu distrutta.

Andò ancora più in là il prof. Macfadyen, il quale dimostrò che dei microrganismi possono essere tenuto per sei mesi a circa – 200° (aria liquida), senza che perdano il potere germinativo. Secondo quanto mi fu riferito nella mia ultima visita a Londra, esperimenti simili furono prolungati ancora di più, con lo stesso risultato.

Non è improbabile che la potenza germinativa si conservi molto più a lungo a temperature più basse, che alle nostre temperature ordinarie. La perdita delle facoltà germinativa dipende indubbiamente da qualche processo chimico, e quasi tutti i processi chimici procedono molto più lentamente a temperature basse, che a temperature alte. Le funzioni vitali sono intensificate nel rapporto 1 : 2,5, se la temperatura cresce di 10°. Quando le spore raggiungono l’orbita di Nettuno, e la loro temperatura si abbassa a – 220°, i processi vitali, secondo questo calcolo, procederebbero con un’intensità più d’un miliardo di volte più piccolo, che a 10°. Quindi la potenza germinativa delle spore non sarebbe indebolita a – 220°, durante tre milioni di anni, più che in un giorno a 10°. Perciò non è affatto improbabile che il freddo intenso dello spazio agisca in alto grado da preservativo, per così dire, sopra i germi; in modo che essi sopportino trasporti di molto maggiore durata, di quello che si dovrebbe arguire dal loro comportamento a temperatura ordinaria.

Succede lo stesso per il disseccamento che agisce dannosamente sulle piante. Nello spazio interplanetario vuoto d’aria domina naturalmente una assoluta siccità. Un’esperienza di B. Schröber dimostrò che l’alga verde Pleuro- coccus vulgaris, che si presenta comunemente sui tronchi d’albero, può essere conservata per venti settimane in una siccità quasi perfetta (sopra dell’acido solforico concentrato, in un essiccatore), senza che la vita ne scapiti. Germi e spore dovrebbero sostenere ancora più a lungo la siccità.

La tensione del vapor d’acqua decresce, a basse temperature, circa nello stesso rapporto della velocità di reazione dei processi chimici. L’evaporazione dell’acqua, cioè l’essiccamento ad una temperatura di – 220° in tre milioni di anni non procede più che in un giorno alla temperatura di 10°. Con queste ipotesi probabili si può supporre che le spore più resistenti contro l’essiccamento, possano benissimo portarsi da un pianeta ad un altro, da un sistema planetario ad un altro, con piena conservazione della loro vita.

L’azione distruttiva della luce sulle spore, come dimostrano le esperienze di Roux, dipende senza dubbio dal fatto che i raggi luminosi provocano una ossidazione, mediante l’aria circostante. Nello spazio interplanetario questa possibilità è esclusa. Inoltre la radiazione solare nell’orbita di Nettuno è 900 volte più debole, che nell’orbita terrestre; e a mezza strada dalla stella fissa più vicina, Alpha Centauri, venti miliardi di volte più debole, che nell’orbita terrestre. Quindi la luce non dovrebbe nuocere molto alle spore, durante il loro trasporto.

Dunque se le spore dei più piccoli organismi della terra potessero liberarsi da questa, esse si spargerebbero in tutti i sensi, e l’universo intero ne sarebbe, per dir così, disseminato. Ma ora si presenta la questione: come possono sfuggire dalla terra, contro l’azione della gravità? Naturalmente corpi tanto piccoli e leggeri sarebbero portati via dalle corrente aeree. Una gocciolina di pioggia del diametro di un cinquantesimo di millimetro, alla pressione ordinaria, cade di 4 cm. al secondo. Da ciò si può facilmente calcolare, che una spora di batteri del diametro di 0,00016 mm. cadrebbe solo 83 m. in un anno. Èchiaro che particelle di una piccolezza simile devono assolutamente seguire le correnti aeree, fino a che non arrivino in aria estremamente rarefatta. Da una corrente della velocità di 2 m. al secondo, esse potrebbero essere sollevate ad un’altezza, ove la pressione fosse di 0,001 mm. soltanto; dunque a circa 100 km. di altezza. Ma dalle correnti aeree esse non potrebbero mai essere portate via dall’atmosfera.

Por elevare le spore ad altezze ancora più grandi noi dobbiamo ricorrere ad altre forze, e sappiamo che le forze elettriche ci possono aiutare in quasi tutte le difficoltà. Ad altezze come 100 km. si presentano i fenomeni raggianti dell’aurora polare. Noi crediamo che le aurore dipendano dalla scarica di una grande quantità di polvere carica di elettricità negativa proveniente dal sole. Se quindi la spora in questione prende della elettricità negativa dalla polvere solare, durante una scarica, essa può essere spinta fuori, dalla carica delle altre particelle, nel mare d’etere.

Ora noi supponiamo che una carica elettrica, come la materia, non possa essere suddivisa all’infinito, ma che alla fine si arrivi ad una carica minima, che fu calcolata a circa 3,5 · 10- 10unità elettrostatiche.

Si può calcolare senza difficoltà quale dev’essere l’intensità del campo elettrico, per spingere in alto una spora così carica e avente il diametro di 0,00016 mm., contro la gravità. Per ciò occorre solo un campo elettrico di 200 Volta per metro. Campi elettrici così intensi sono osservati spesso – quasi normalmente – a cielo sereno, sulla superficie della terra. Ilcampo elettrico nella regione dell’aurora boreale è probabilmente molto più intenso; quindi senza dubbio è spesso sufficiente a trasportare avanti nello spazio, contro l’azione della gravità, le piccole spore cariche elettricamente, sollevate fino a questa regione dalle correnti d’aria.

Èdunque probabile che germi degli organismi più bassi che conosciamo sieno continuamente sparsi nello spazio, dalla terra e dagli altri pianeti da essi abitati. Come i germi in generale, così la massima parte delle spore trasportate fuori vanno incontro alla morte nello spazio infinito freddo; ma un piccolo numero cade sopra altri corpi celesti ed è capace di propagare sopra ad essi la vita, se vi si trovano condizioni esterne favorevoli. In molti casi questo non si verifica, ma talvolta esse cadono sopra terreni buoni. Anche se dovessero passare uno o parecchi milioni di anni tra il momento in cui il pianeta può incominciare a portare esseri viventi, e l’istante in cui il primo germe cade su di esso e germoglia, prendendone possesso per la vita organica — questo significa poco in confronto col tempo, durante il quale poi la vita fiorisce sul pianeta.

I piccoli germi che a questo modo vengono disseminati dai pianeti, che servirono di residenza ai loro predecessori, possono errare liberamente attraverso lo spazio, e, come già accennammo, raggiungere un pianeta esterno o un sistema planetario ruotante attorno ad un altro sole, oppure possono anche incontrare particelle di polvere più grandi, spinte verso il sole. In quella parte della luce zodiacale (Gegenschein; counter-glow) che si osserva di regola ai tropici, e da noi talvolta nella parte del cielo che è esattamente opposta al sole, noi vediamo, secondo l’opinione degli astronomi, delle correnti di polvere sottileche, in conseguenza della gravitazione, vanno verso il sole (cfr pag. 138 [pag 173 dell’edizioneManuzio]). Supponendo che un germe di 0,00016 mm. di diametro incontri un granulo di polvere mille volte più grande, del diametro cioè di 0,0016 mm., e si attacchi alla sua superficie, la spora viene portata dal granulo verso il sole, attraverso le orbite dei pianeti interni, e può cader giù nella loro atmosfera. Questi granelli di polvere non abbisognano di tanto tempo per giungere da un’orbita ad un’altra. Se si pone la loro velocità iniziale eguale a zero nell’orbita di Nettuno — nel qual caso il germe potrebbe provenire da un satellite di Nettuno, poichè Nettuno stesso, come Urano, Saturno e Giove, probabilmente non è ancora raffreddato a sufficienza per portare esseri viventi, — essi raggiungerebbero l’orbita di Urano in 21 e quella di Mercurio in 29 anni. In condizioni uguali (velocità iniziale nulla) queste particelle impiegherebbero dodici anni fra le orbite di Urano e Saturno, 4 anni tra Saturno e Giove, 2 anni tra Giove e Marte, 84 giorni tra l’orbita di Marte e quella della terra, 40 tra la terra e Venere, e 28 tra l’orbita di Venere e quella di Mercurio.

Come si scorge da questi dati di tempo, i germi di cui ci occupiamo, coi granuli di polvere a cui si attaccano, potrebbero cadere verso il sole con una velocità 10-20 volte più piccola, senza che per ciò si dovesse temere la perdita della loro facoltà germinativa, durante il trasporto. In altre parole, se i germi aderiscono a delle particelle, il cui peso è compensato fino al 90 o al 95 % dalla pressione di radiazione, esse possono cadere assai presto nell’atmosfera dei pianeti interni, con velocità moderate che ammontano ad alcuni chilometri al secondo. Èfacile calcolare che, se una di queste particelle nel cader giù fosse arrestata nel suo movimento dopo il primo secondo, per la forte irradiazione non si scalderebbe a più di 100° circa sopra la temperatura ambiente. Le spore dei batteri possono sostenere una temperatura simile, senza essere uccise, anche molto più a lungo di un secondo. Dopochè le particelle insieme coi germi ad esse aderenti furono fermate, esse discenderebbero dolcemente o sarebbero spinte da correnti convettive discendenti sulla superficie del pianeta più vicino.

In questo modo, come vediamo, la vita sarebbe condotta rapidamente da un punto di un sistema planetario, in cui ha prese radici, ad altri luoghi dello stesso sistema, favorevoli allo sviluppo della vita.

I germi che non sono arrestati da queste particelle potrebbero essere condotti parzialmente ad altri sistemi solari e quindi essere arrestati dalla pressione della radiazione di quei soli. Essi non possono avanzare che fino ai luoghi in cui la pressione di radiazione è grande come al loro punto di partenza. Per conseguenza dalla terra, che è cinque volte più vicina al sole che Giove, dei germi possono avvicinarsi ad un altro sole cinque volte di più che da Giove.

In vicinanza ai soli, ove igermi sono arrestati dalla pressione di radiazione per ritornare verso lo spazio, si trova naturalmente un forte accumulamento di germi. I pianeti, che descrivono le loro orbite attorno ai soli, hanno quindi maggior prospettiva di incontrarli, che se non si trovassero in vicinanza d’un sole. I germi hanno perduta anche la grande velocità, con cui migravano da un sistema solare ad un altro, e quindi, cadendo nell’atmosfera dei pianeti che incontrano, non vengono scaldati tanto fortemente.

In vicinanza ai soli i germi che ritornano verso lo spazio cadono sopra particelle, il cui peso è un po’ più grande della forza repulsiva della pressione di radiazione, e che quindi ritornano verso i soli. Come i germi, in vicinanza ai soli, per analoga ragione, sono concentrate anche queste particelle. I piccoli germi hanno quindi una probabilità relativamente grande di essere arrestati nel ritorno verso lo spazio per adesione con queste particelle, e di essere invece portati sopra i pianeti che si trovano vicini al sole.

In questo modo la vita può essere stata portata fin da epoche immemorabili da sistema solare a sistema solare. Macome tra i bilioni di granelli di polline che il vento porta via da un grande albero, p. es. un abete, in media soltanto uno dà origine ad un nuovo albero, così probabilmente soltanto uno fra i bilioni, o forse trilioni, di germi che vengono espulsi da un pianeta per la pressione di radiazione, viene a cadere sopra un pianeta finora privo di esseri viventi, e ad originare su di esso diversi esseri.

Infine noi troviamo che, secondo questa versione della teoria della panspermia, gli esseri organici nell’universo intero sono tutti affini, e constano di cellule che sono formate di composti di carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto. La fantasia di altri mondi abitati da esseri viventi, nella costituzione dei quali il carbonio sarebbe sostituito da silicio o titanio, cade dunque nel dominio delle improbabilità. La vita sopra altri mondi abitati si muove probabilmente in forme, che s’avvicinano molto a quelle esistenti sulla terra.

Cosìne concludiamo ancora che la vita deve ricominciare sempre di nuovo dallo sue forme più basse, allo stesso modo che ogni individuo, per quanto sviluppato possa essere, deve aver attraversati tutti gli stadi evolutori, a partire dalla cellula semplice.

Tutte queste conclusioni stanno nel migliore accordo con le proprietà generali che caratterizzano la vita sulla terra, e non si può quindi negare che la teoria della panspermia in questa forma si segnala per la completa armonia, che forma il più importante criterio per la probabilità di una teoria cosmogonica.

C’è poca probabilità di riuscire a provare direttamente l’esattezza di questa teoria mediante ricerche sui germi cadenti dall’aria. I germi che vengono fino a noi da altri mondi sono probabilmente assai pochi, forse soltanto alcuni pochi all’anno su tutta la superficie della terra. Inoltre probabilmente essi assomigliano molto alle spore semplici d’origine terrestre, che si trovano sospese in gran quantità nell’aria, portate dai venti; sicchè potrebbe essere difficile o impossibile da dimostrare l’origine « celeste» di quei germi, anche se dovessero essere trovati, contro ogni aspettazione degli scienziati.

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