CAPITOLO VII Stato nebulare e stato solare

Vogliamo ora considerare più intimamente le condizioni chimiche e fisiche, che probabilmente caratterizzano le nebulose a differenza dei soli, e che differiscono essenzialmente sotto molti rispetti, da quelle che siamo abituati a trovare nella materia relativamente condensata, che noi studiamo.

Quanto fondamentale deve essere questa differenza, risulta dal fatto che per le nebulose non può sussistere il motto di Clausius, che abbraccia la somma delle nostre cognizioni sulla natura del calore: «L’energia dell’universo è costante; l’entropia dell’universo tende verso un massimo».

Tutti sanno cosa s’intende per energia. Ci sono molte forme di energia; le più importanti sono: di posizione (un grave ha maggiore energia, se si trova ad una certa altezza sopra la superficie terrestre, che se si trova su di essa); energia cinetica (un proiettile sferico d’arma da fuoco ha un’energia che cresce proporzionalmente alla massa della sfera e al quadrato della sua velocità); energia termica che si considera come energia cinetica delle particelle minime d’un corpo; energia elettrica, quale può per esempio essere raccolta in una batteria d’accumulatori e venir trasformata, come tutte le altreforme d’energia, in energia termica; ed energia chimica, quale si presenta per esempio in una miscela di otto grammi d’ossigeno ed uno d’idrogeno, che può essere trasformata in acqua con un forte sviluppo di calore. Dire che l’energia d’un sistema, a cui dall’esterno non venga comunicata energia alcuna, è costante significa puramente che le varie forme di energia delle singole parti di questo sistema possono essere trasformate in altre forme di energia, ma che la somma delle varie energie rimane sempre invariata. Clausius estese il valore di questa legge all’infinito spazio dell’universo.

Per entropia si intende il rapporto tra la quantità di calore d’un corpo e la sua temperatura assoluta. Se quindi una quantità di calore Q passa da un corpo a 100° (temperatura assoluta 373) ad uno a 0° (temperatura assoluta 273), l’entropia totale dì entrambi viene diminuita di Q/373 ed aumentata di Q/273. Poichè quest’ultima quantità è più grande, l’entropia dell’insieme ha guadagnato. Ora sappiamo che il calore, per conduzione o por irraggiamento, passa «da sè» dai corpi a temperatura più alta a quelli a temperatura più bassa. Quindi manifestamente l’entropia aumenta. Quest’è una prova di esattezza della legge di Clausius, che l’entropia tende a crescere.

Il caso più semplice di equilibrio termico si presenta se poniamo un certo numero di corpi di temperature disuguali in uno spazio, che non riceva dall’esterno e che all’esterno non somministri calore. In un modo o l’altro, di solito per conduzione o irraggiamento, il calore passerà dai corpi più caldi ai più freddi, finchè alla fine, quando tutti i corpi hanno temperatura eguale, l’equilibrio è raggiunto. Ad un simile equilibrio tende, secondo Clausius, l’universo. Quando esso fosse raggiunto, finirebbe ogni sorgente di movimento e quindi di vita. La così detta «morte del calore» (W ä rmetod — heatdeath) sarebbe giunta.

Però se Clausius avesse ragione, questa dovrebbe essere già sopravvenuta nel tempo infinitamente lungo della esistenza del mondo. Oppure il mondo non è esistito sempre, ma ebbe un principio; e questo è in contraddizione con la prima parte della legge di Clausius, che l’energia del mondo è cotante, poichè ogni energia sarebbe nata nell’istante della creazione. Questo è inconcepibile e quindi dobbiamo trovare un caso, per cui la legge di Clausius non vale.

Il famoso fisico scozzese Maxwell ha concepito un caso simile. Imaginiamo un recipiente riempito d’un gas di temperatura uniforme, e diviso mediante una parete in due parti. Questa parete abbia un certo numero di fori così piccoli, che per ognuno non possa passare che una molecola di gas alla volta. Maxwell si figura che ad ogni foro sia posto un piccolo essere intelligente (demon), che fa passare da una parte tutte le molecole che si presentano e che posseggono una velocità maggiore della media. Per impedire il cammino attraverso al foro si serve d’un coperchietto che pone sul cammino delle molecole. Così tutte quelle con velocità maggiore si uniscono da una parte del recipiente, e tutte quelle con velocità minore dall’altra. In altri termini, il calore (poichè esso consiste in movimento delle molecole) passa da una parte che va continuamente raffreddandosi all’altra che va continuamente riscaldandosi, e questa quindi deve diventar più calda della prima.

In questo caso il calore va dunque da un corpo più freddo ad uno più caldo, e l’entropia scema.

Ora in natura non ci sono esseri intelligenti simili. Ma nondimeno si presenta un caso analogo nei corpi celesti gassosi. Se le molecole di gas nell’atmosfera di un corpo celeste hanno una velocità sufficiente – che per la terra sarebbe di 11 km. per secondo, – e si muovono verso l’esterno negli strati più esterni, esse escono dalla cerchia d’attrazione del corpo verso lo spazio infinito, proprio come una cometa, che abbia velocità sufficiente in vicinanza al sole, può sfuggire dal sistema solare. Secondo Stoney, fu così che la luna perdette la sua atmosfere originaria. Questa perdita di gas è certamente impercettibile per il sole e per i pianeti grandi come la terra; può invece avere una parte importante nella economia della nebulosa, dove si accumula tutta la radiazione dei corpi celesti caldi, e dove per le enormi distanze la forza di gravità moderatrice è assai debole. Così le nebule perdono nelle loro parti esterne le molecole più veloci e perciò negli strati esterni si raffreddano. Se nell’universo intero ci fossero soltanto nebulose simili, le molecole erranti finirebbero con l’arrivare in un’altra nebulosa, e così ci sarebbe equilibrio termico tra le diverse nebulose, e la «morte del calore» sarebbe realizzata. Ma, come ebbimo già occasione di notare, nelle nebulose si trovano molteplici corpi celesti immigrati che possono condensare i gas dai dintorni o assumere così una temperatura più alta.

Le molecole erranti possono anche capitare nella atmosfera (probabilmente molto estesa) di queste stelle crescenti, ove la condensazione, sotto una continua diminuzione di entropia, sarebbe affrettata. Mediante dei processi simili l’orologio dell’universo può essere mantenuto senza scaricarsi, in marcia continua.

Attorno ai corpi immigrati nella nebulosa e attorno ai resti della «stella nuova», che si trovanoin mezzo ad essa, si ammucchiano dunque i gas, che prima sono stati dispersi attraverso alle parti esterne della nebulosa. Questi gas provengono dalle sostanze esplosive, che si trovavano nell’interno della nuova stella. Probabilmente tra essi tengono il primo posto idrogeno ed elio, poichè sono i più difficili a condensarsi e possono presentarsi in quantità notevoli anche ad una temperatura straordinariamente bassa (quale deve dominare nelle parti esteriori della nebulosa), mentre gas d’altre sostanze dovrebbero essere condensati. Anche se la nebulosa avesse una temperatura assoluta di 50 gradi (–   223°), il vapore del più volatile di tutti i metalli, il mercurio, anche allo stato di saturazione, vi si troverebbe in così debole quantità, che un grammo occuperebbe lo spazio di un cubo, il cui spigolo corrisponderebbe a circa 2000 anni-luce, cioè a 450 volte la distanza della terra dalla stella fissa più vicina. Pel sodio, che è anche un metallo molto volatile, ed ha una parte relativamente grande nella composizione delle stelle fisse, lo spigolo del cubo sarebbe circa un miliardo di volte più grande. Numeri ancora più inconcepibili troviamo pel magnesio e per ferro che si presentano spesso nelle stelle fisse, e sono meno volatili dei metalli nominati sopra. Quindi vediamo quale effetto selettivo abbiano le temperature basse sopra tutte le sostanze, che non sono di condensazione così straordinariamente difficile come l’elio e l’idrogeno. E poichè sappiamo che nelle nebulose si trova ancora una sostanza, chiamata nebulium, che è caratterizzata da due linee spettrali peculiari, che non si ritrovano in alcuna sostanza terrestre, dobbiamo concludere che quest’elemento del resto sconosciuto dev’essere difficilmente condensabile press’a poco come idrogeno ed elio. Il suo punto di ebollizione si trova probabilmente, come quello di entrambi questi gas, sotto i 50 gradi di temperatura assoluta.

Il fatto che idrogeno, elio e nebulium si presenterebbero soli nelle nebulose assai estese, dipende probabilmente dal loro basso punto di ebollizione. L’ipotesi che tutte le altre sostanze ad una estrema rarefazione si scompongono in idrogeno ed elio (conforme una concezione di Lockyer) è assolutamente infondata.

In strati un po’ più profondi della massa nebulare, ove questa corrisponde di più alla forma di disco, dovrebbero trovarsi altre sostanze difficilmente condensabili, come azoto, idrocarburi di semplice composizione e ossido di carbonio; ancora più abbasso cianogeno, acido carbonico, ecc. e presso al centro sodio, magnesio, e anche ferro allo stato gassoso. Questi elementi meno volatili si presentano negli strati esterni sotto forma di polvere, la quale impedisce che il loro spettro sia visibile. Nelle nebulose spiraliformi fortemente sviluppate sembra che gli strati esterni, che coprono il corpo centrale, sieno molto sottili per la loro forma molto schiacciata, sicchè la polvere che vi è sospesa non può nascondere lo spettro dei gas metallici. Lo spettro della nebulosa assomiglia allo spetto di una stella, poichè gli strati più profondi contengono masse di polvere infocate, la cui luce viene vagliata dalle masse gassose circostanti.

Si osservò che le varie linee degli spettri delle nebulose non hanno distribuzione uniforme entro la cerchia della nebulosa. Così per esempio Campbell studiando una piccola nebula planetarica in vicinanza a quella grande di Orione, trovò che il nebulium in questo corpo non aveva la stessa distribuzione dell’idrogeno. Quindi il nebulium, che era concentrato nel centro della nebula, ha probabilmente un punto di ebollizione più alto dell’idrogeno, e si presenta in quantità più notevoli nelle parti interne più calde della nebula. Ricerche sistematiche di questo genere possono portarci ad una conoscenza più profonda delle relazioni di temperatura in questi meravigliosi oggetti celesti.

Ritter e Lane eseguirono dei calcoli interessanti sopra le condizioni d’equilibrio in un corpo celeste gassoso, di densità così piccola,che vi si possano applicare le leggi dei gas. Questo è permesso solo per gas o miscugli gassosi la cui densità non superi un decimo di quella dell’acqua o un quattordicesimo della densità attuale del sole.Naturalmente nelle parti centrali di una simile massa gassosa la pressione dev’essere maggiore che nelle parti esterne, per la stessa ragione per cui la densità dell’atmosfera terrestre cresce dall’alto in basso. Ora se nell’atmosfera nostra una massa d’aria viene trasportata in su 1000 m., il suo volume aumenta, e la temperatura discende di 9°,8. Se nelle masse d’aria avessero luogo dei movimenti verticali estremamente violenti, la loro temperatura varierebbe a questo modo con l’altezza; ma la radiazione termica tende ad eguagliare queste differenze di temperatura. Il seguente calcolo di Schuster, sopra le condizioni di una massa di gas della grandezza del sole, è basato sulla ricerca di Ritter; è fatto sotto l’ipotesi che le condizioni termiche della massa di gas sieno determinate soltanto dai movimenti che vi succedono, e non dalla radiazione. Ilcalcolo vale per una stella che ha massa eguale a quella del sole (1.9 × 1033grammi, oppure 324000 volte quella della terra), ed un raggio circa 10 volte quello del sole (10 × 690000 km.); la cui densità, media è cioè 1000 volte più piccola di quella del sole (cioè 0,0014 volte la densità dell’acqua a 4°). Nella tabella seguente la prima colonna contiene le distanze dal centro della stella, in frazioni del suo raggio. La densità (seconda colonna) è espressa, come di solito, prendendo come unità quella dell’acqua. Le pressioni sono date in migliaia di atmosfere, le temperature in migliaia di gradi Celsius; la temperatura varia proporzionalmente al peso molecolare del gas, di cui la stella consta; le temperature riportate nella quarta colonna valgono per un gas di peso molecolare 1, cioè per idrogeno dissociato in atomi, come lo è senza dubbio sul sole e sulle stelle. Supposto che la stella consistesse di ferro, si dovrebbero moltiplicare i numeri della quarta colonna per 56, peso molecolare del ferro. I numeri corrispondenti stanno nella quinta colonna.

Distanza dal centro Densità Pressione in 102 atmosf. Temperatura in 103 C
Idrogeno Ferro
0 0,00844 852 2460 137500
0,1 0,00817 807 2406 134600
0,2 0,00739 683 2251 126100
0,3 0,00623 513 2007 112400
0,4 0,00488 342 1707 95600
0,5 0,00354 200 1377 77100
0,6 0,00233 100 1043 58400
0,7 0,00136 40 728 48800
0,8 0,00065 12 445 24900
0,9 0,00020 1,7 202 11300
1,0 0,0000 0 0 0

Il calcolo di Schuster è fatto propriamente pel sole, cioè per un corpo celeste, il cui diametro è dieci volte più piccolo, e il cui peso specifico quindi è 1000 volte più grande dei valori dati sopra. Seguendo le leggi della gravitazione e dei gas la pressione qui dev’essere 10000 volte, e la temperatura 10 volte maggiore che nella nostra tabella. Quindi la densità nelle parti interne è troppo alta, perchè le leggi dei gas possano trovar applicazione. Perciò io ho modificato il calcolo in modo che esso vale per un corpo celeste, il cui raggio è 10 volte più grande di quello del sole, o 1080 volte quello della terra, e quindi viene eguale alla ventiduesima parte della distanza del centro del sole dall’orbita terrestre; corpo che, nondimeno, a paragone delle nebulose possiede un’estensione assai piccola.

È sorprendente la pressione straordinariamente alta nelle parti interne del corpo celeste, che dipende dalla grande massa e dalle piccole distanze. Nel centro del sole la pressione ammonterebbe a 8520 milioni di atmosfere, poichè la pressione è inversamente proporzionale alla quarta potenza del raggio. Di fatto la pressione nel centro del sole è pressochè di quest’ordine di grandezza. Se il sole si estendesse in una nebulosa sferica (planetarica) di 1000 volte le sue dimensioni lineari attuali (cioè se riempisse lo spazio dell’orbita di Giove), il peso specifico nel suo centro discenderebbe ad un milionesimo del valore detto sopra; vale a dire, anche dove la materia in questa nebulosa sarebbe concentrata di più, essa non avrebbe una densità maggiore di quella dei tubi a vuoto più spinto, che noi possiamo preparare a temperatura ordinaria. Anche la pressione verrebbe diminuita notevolmente, cioè a circa 6 mm. soltanto nel centro della massa gassosa. La temperatura invece nel centro sarebbe assai alta, cioè di 24600°, se la nebulosa fosse di idrogeno atomico, e 56 volte più alta se fosse di ferro allo stato gassoso. Una nebulosa simile tratterrebbe dei gas con una forza solo metà di quella della terra; delle molecole di gas che si movessero all’infuori con una velocità di circa 5 km. al secondo, scomparirebbero per sempre dalla sua atmosfera.

Il calcolo della temperatura in queste masse di gas è indubbiamente un po’ incerto. Si suppone che radiazione e conduzione termica non possano esercitare alcuna azione considerevole. Questo potrebbe esser giusto per la conduzione; ma la radiazione forse non dovrebbe venir trascurata. Quindi le temperature nell’interno della nebulosa saranno più basse di quelle calcolate. Però è difficile valutare l’effetto di questo fattore.

Se la massa del corpo celeste è diversa da quella che si è supposta sopra, per esempio grande il doppio, basta cambiare la pressione e la densità di ogni strato nello stesso rapporto, per esempio raddoppiare quelle sopra indicate. La temperatura rimane invariata. Abbiamo quindi la possibilità di farci un’idea della condizione d’una nebulosa, qualunque estensione e qualunque massa essa abbia.

Come Lane dimostrò e i calcoli suesposti indicarono, la temperatura di una nebulosa cresce, se essa si contrae in seguito ad una perdita di calore. Se invece vien aggiunto del calore dall’esterno, essa si dilata con un raffreddamento. Probabilmente una nebulosa di questo genere perde calore, e aumenta un po’ per volta la sua temperatura, finchè si trasforma in una stella, che da principio ha una grande atmosfera d’elio e d’idrogeno, come quella della stelle più giovani (con luce bianca). Poco a poco si f ormano per l’aumento della temperatura i composti chimici straordinariamente energici, che caratterizzano l’interno del sole, poichè elio ed idrogeno – liberati nella riformazione della nebulosa e sfuggiti nello spazio –si diffondono nnovamente nell’interno della stella, dove si fissano nella formazione dei composti suddetti. La grande atmosfera di idrogeno ed elio sparisce (prima l’elio), la stella si contrae sempre più, la pressione cresce enormemente, e così pure crescono le correnti di convezione nelle masse gassose. Nell’atmosfera della stella si formano delle grandi nubi, ed essa acquista un po’ per volta le proprietà che caratterizzano il sole nostro. Questo si comporta in modo del tutto diverso dalle nebulose gassose, per cui valgono i calcoli di Lane, Ritter e Schuster. Fino ad un certo limite di contrazione in un gas la pressione cresce nel rapporto da 1 a 16, mentre il volume decresce nel rapporto da 8 a 1, dato che non abbia luogo alcun cambiamento di temperatura. Se il gas ha raggiunto questo punto e viene compresso ancora, la temperatura rimane in equilibrio stabile. Per una pressione ancora più alta invece la teinperatura deve calare, perchè l’equilibrio possa essere conservato. Secondo Amagat questo succede a 17° (290 assoluti) per gas che a questa temperatura si trovano molto al di sopra della loro temperatura critica, come idrogeno e azoto, e ad una pressione di 300 a 250 atmosfere. Per una temperatura doppia (307 assoluti) è necessaria una pressione pressochè doppia e così via.

Possiamo ora calcolare quando la nostra nebulosa attraverserà questo stadio critico, al quale deve seguire una diminuzione della temperatura. Impiegando i numeri suesposti, troviamo che metà della massa della nebulosa riempirebbe una sfera di raggio eguale a 0,53 di quello della nebulosa; ma se la massa fosse dappertutto di egual densità, metà di essa occuperebbe una sfera avente per raggio 0,84 di questo. Quando varcherà la massa interna codesto stadio limite, rimanendo la parte esteriore ancora sotto di esso? Questo succederà peoss’a poco, quando la nebulosa attraverserà nella sua totalità il suo massimo di temperatura. Ora calcoliamo con le temperature che valgono per il ferro allo stato gassoso, poichè nell’interno della nebulosa il peso molecolare medio dovrebbe essere almeno 56 (peso molecolare del ferro gassoso), e troviamo che la pressione alla distanza 0,53 ammonta a circa 177000 atmosfere, e la temperatura a circa 71 milioni di gradi, cioè 245000 volte di più della temperatura assoluta delle esperienze di Amagat. Il detto stadio sarebbe raggiunto se la pressione fosse circa 245000 volte 250, cioè 61 milioni di atmosfere. E poichè la pressione è di 177000 atmosfere soltanto, la nebulosa considerata è ancora molto lontana dallo stadio, in cui incomincia il raffreddamento. È facile a calcolare che questo si presenta, quando la nebulosa si sia contratta ad un volume eguale a circa il triplo di quello del sole. L’affermazione sovente espressa, che il sole in avvenire possa conseguire temperature più elevate, è insostenibile; questo corpo celeste ha passato già da lungo tempo l’apice della sua evoluzione termica, ed ora sta raffreddandosi. Poichè le temperature calcolate da Schuster sono senza dubbio troppo alte, il raffreddamento dev’essere giunto ad uno stadio più avanzato. M a stelle come Sirio, la cui densità probabilmente non ammonta a più di circa l’uno per cento di quella del sole si trovano ancora probabilmente in aumento di temperatura; la loro condizione press’a poco corrisponde a quella della massa gassosa del nostro esempio.

Le nebulose planetariche sono infinitamente più voluminose. Quale grandezza enorme posseggano taluni di questi corpi celesti, risulta dal fatto che la più grande, il n. 5 del catalogo di Herschel, vicina alla stella B dell’Orsa Maggiore, ha un diametro di 2,67 secondi d’arco. Anche se essa si trovasse così vicina a noi come la stella più vicina, il suo diametro ammonterebbe al triplo di quello dell’orbita di Nettuno. Senza dubbio essa è molte centinaia di volte più grande. Da ciò noi abbiamo un’idea della enorme attenuazione in una formazione simile. Anche dove essa è più densa, la sua densità probabilmente non sale a più di un bilionesimo circa di quella dell’aria. Nelle parti esterne di questa nebulosa anche la temperatura dev’essere assai bassa; altrimenti le particelle non potrebbero restare insieme; quindi non vi si possono trovare allo stato gassoso che idrogeno ed elio.

Eppure noi dobbiamo riguardare la densità e la temperatura di questi corpi celesti come gigantesche a confronto di quelle dei gas nelle spirali delle nebulose. In queste non c’è mai equilibrio, e soltanto perchè le forze in azione sono così straordinariamente piccole, queste formazioni possono conservare a lungo, relativamente senza notevoli variazioni, la loro forma. Sono segnatamente queste le parti, in cui le masse di polvere cosmica vengono trattenute nel loro movimento; dal loro accumulamento si formano poi un po’ per volta meteoriti e comete. Indi questi corpi immigrano nelle parti più centrali della nebula, ove, in causa della loro massa maggiore, penetrano molto profondamente, a formare i germi per l’origine di pianeti e satelliti. Un po’ per volta per le collisioni con le masse di gas che incontrano, essi assumono un movimento circolare intorno all’asse di rotazione della nebula; condensano una parte di queste masse gassose alla loro superficie, e quindi raggiungono una temperatura elevata – che però perdono di nuovo, in un tempo relativamente breve, per irradiazione.

Per quanto si sa le nebule spiraliformi sono caratterizzate da spettri continui. Lo splendore delle stelle che vi si trovano eclissa completamente la debole luce della massa nebulare. Senza dubbio queste stelle, prodotto di condensazione, si trovano in uno stadio primitivo di sviluppo, e corrispondono quindi a stelle bianche, come la stella nuova in Perseo e la stella centrale nella nebula anulare della Lira. Tuttavia si trovò che lo spettro della nebula Andromeda ha pressochè la stessa estensione di quello delle stelle gialle. Questo potrebbe forse dipenderedal fatto che la luce della stella in questa nebula, che noi vediamo quasi soltanto di fianco, è parzialmente estinta da particelle di polvere nelle sue parti esterne, come fu per la luce della stella nuova in Perseo, nel periodo della sua variabilità.

Le nostre considerazioni ci conducono a concludere che attorno al corpo centrale di una nebulosa si stende un’enorme massa di gas (che abitualmente ruota attorno al suo asse), e che all’infuori di questa si muovono gli altri centri di condensazione, con le masse di gas attorno ad essi accumulate. Per l’attrito tra queste masse immigranti e la massa gassosa originaria, circolante nel piano equatoriale del corpo centrale, quelle si sono avvicinate sempre più a quest’ultimo, che per ciò devia poco dalla eclittica. Così otteniamo un vero sistema planetario, in cui i pianeti sono circondati da colossali sfere gassose, come le stelle nelle Pleiadi (fig. 52 [pag. 192]). Ora se, come nel sistema solare, i pianeti hanno una massa molto piccola a confronto del corpo centrale, si raffreddano infinitamente più presto di esso. Le loro masse gassose si contraggono rapidamente, e quindi scema il loro periodo di rotazione, che, almeno per i pianeti posti in prossimità del centro, originariamente differiva poco da quello del corpo centrale, in causa dell’effetto di marea nella massa gassosa. Per l’estensione grandissima del corpo centrale i pianeti esercitano su di esso dei fortissimi effetti di marea. La sua velocità di rotazione decresce e quindi il periodo dei pianeti tende adaumentare. Per questo l’equilibrio vien turbato; ma è ristabilito, perchè il pianeta è, per così dire, sollevato via dal sole, come G. H. Darein mostrò tanto ingegnosamente riguardo alla luna e alla terra. Relazioni simili valgono nei dintorni dei pianeti , ch e in tal modo acquistano i propri satelliti. C osì si spiega il fatto meraviglioso che i pianeti si muovono quasi sullo stesso piano, la così detta eclittica, in orbite che sono pressochè circolari; che essi si muovono tutti nella stessa direzione, e, insieme coi propri satelliti, hanno la stessa direzione di rivoluzione del corpo centrale, il sole. Soltanto i pianeti più esterni, che furono soggetti ad una azione più debole di marea, come Urano o Nettuno, fanno eccezione.

A spiegazione di questi fenomeni fu posta da diversi filosofi ed astronomi un’ipotesi, che è chiamata ipotesi di Kant-Laplace dal nome dei suoi più eminenti interpreti. Tentativi in questo senso si trovano in Swedenborg (1734). Egli suppose che il nostro sistema planetario si sia sviluppato con formazione di vortici da una specie di — «chaos solare» —, che, sotto l’azione di forze interne, paragonabili alle forze magnetiche, entrò in un movimento circolare sempre più violento attorno al sole. Infine all’equatore si staccò un anello, e si separò in frammenti, da cui si formarono i pianeti.

Buffon introdusse la gravitazione come principio conservazionale. Nel suo geniale trattato Formation des planètes (1745) suppone che i pianeti si sieno formati da una «corrente»di materia, la quale fu eruttata dal sole in causa di una cometa che cadde su di esso.

Kant suppose un caos originario di polvere stazionaria, la quale si dispose sotto l’azione della gravità, in un corpo centrale con anelli di polvere aggirantisi tutt’attorno; questi più tardi si conglobarono in pianeti. Ma la meccanica insegna che una rotazione simile non può crearsi in una massa da principio stazionaria, sotto l’azione di una forza centrale come la gravità. Laplace quindi suppose, come Swedenborg, che la nebula originaria, da cui si sviluppò il nostro sistema solare, ruotasse attorno ad un asse centrale. Secondo Laplace nella contrazione del sistema si staccarono degli anelli, analoghi a quelli di Saturno, e da questi poi si formarono i pianeti e i loro satelliti (ed anelli). In tale maniera però, come ora si suppone generalmente, possono essersi formati attorno al sole soltanto dei mete or i e dei piccoli pianeti ma in nessun modo i pianeti grandi. Vediamo di fatto gli anelli di polvere che ruotano attorno a Saturno, gli interni più rapidamente, gli esterni più lentamente, proprio come un aggregato di piccole lune.

Altre obbiezioni furono fatte contro l’ipotesi di Laplace da Babinet, e specialmente più tardi da Moulton e Chamberlin. Certamente sembra che questa ipotesi nella sua forma originaria non sia sostenibile. Io l’ho quindi sostituita mediante l’ipotesi abbozzata sopra dell’evoluzione. È sorprendente che i satelliti dei pianeti più esterni, Nettuno e Urano, non si muovono in piani prossimi all’eclittica; i loro satelliti hanno un movimento così detto «retrogrado», cioè essi si muovono nella direzione opposta a quella conforme all’ipotesi di Laplace. Pare sia lo stesso caso per un satellite, scoperto nel 1898 da Pickering, attorno a Saturno. Tutti questi fatti erano sconosciuti a Laplace (1776); se li avesse conosciuti, difficilmente avrebbe avanzata la sua ipotesi, per lo meno nella forma che egli le diede. La spiegazione di questi fatti non porta difficoltà alcuna. Si può supporre che la materia nelle parti esterne della nebula originaria fosse così fortemente assottigliata, che il pianeta immigrante non raggiungesse un volume sufficiente, per essere posto, dall’azione di marea, nella grande rotazione comune nel piano equatoriale del sole. Il pianeta ed il suo satellite, entro la cerchia ristretta in cui ruotavano, restarono al contrario vincitori, per la debole quantità di materia che incontrarono sul loro cammino. Solo il lento movimento nell’orbita attorno al sole fu influenzato, in modo che assunse la direzione comune e la forma circolare. Non è inconcepibile che ci sieno nel sistema solare, più lontano fuori nello spazio, dei pianeti a noi sconosciuti, che si muovono in orbite completamente irregolari come le comete. Queste ultime, come suppone Laplace, probabilmente immigrarono più tardi nel sistema solare, quando la condensazione era tanto progredita, che la massa principale della materia nebulare era scomparsa dallo spazio interplanetario.

Chamberlin e Moulton tentarono di provare che si possono evitare le difficoltà che sono inerenti alla ipotesi di Laplace, se si suppone che il sistema solare si sia formato da una nebula spiraliforme, in cui immigrarono dei corpi estranei, che condensarono attorno a se stessi la materia nebulare. Si vede anche spesso come la nebula sparisca in prossimità alle stelle (corrispondenti a pianeti crescenti) che si trovano nelle nebulose.

Come conclusione di questa considerazione possiamo fare un confronto tra le vedute che valsero ancora fino a poco tempo fa, e quelle che si dischiudono al nostro sguardo seguendo le scoperte più recenti.

Per la gravitazione Newtoniana, che, fino al principio di questo secolo, sembrò governasse i movimenti e l’evoluzione del mondo materiale, i corpi celesti dovrebbero tendere a conglobarsi in masse sempre più grandi. Nel corso infinito dei tempi l’evoluzione dovrebbe aver tanto progredito, che non esisterebbero più che dei grandi soli, luminosi o spenti. Ogni forma di vita in tali condizioni sarebbe impossibile.

Eppure vediamo in vicinanza del sole tutta una quantità di corpi oscuri, i pianeti, e dobbiamo ragionevolmente supporre, che ci sieno dei corpi celesti oscuri anche vicini ad altre stelle, poichè in altra maniera non possiamo spiegarci i particolari movimenti di va e vieni di queste stelle. Così pure noi osserviamo che cadono sulla terra tutta una quantità di piccoli corpi celesti sotto forma di meteoriti o stelle cadenti, corpi che ci vengono dalle parti più remote dell’universo.

La spiegazione per queste deviazioni da quello che potremmo aspettarci come conseguenza dell’azione esclusiva della gravitazione, si trova in due circostanze: nell’azione della pressione di radiazione e in quella delle collisioni fra corpi celesti. Per queste ultime si formano dei grandi vortici gassosi attorno a formazioni nebulari allo stato gassoso. Per la pressione di radiazione, la polvere cosmica, che talvolta può essere conglobata in meteoriti e comete, viene portata entro i vortici gassosi, e quindi, insieme con prodotti di condensazione delle masse gassose circostanti, forma i pianeti coi loro satelliti.

L’effetto espansivo della pressione di radiazione fa dunque equilibrio alla tendenza della gravitazione, di ammucchiare sempre più la materia. I vortici gassosi negli involucri nebulari servono a fissare la posizione della polvere respinta dai soli per la pressione di radiazione.

Le masse gassose nelle nebulose formano i centri di condensazione più importanti per la polvere, respinta dai soli. Se il mondo, come un tempo si supponeva, fosse limitato, cioè se le stelle si trovassero tutte affollate in un grande mucchio, e se all’infuori di esso ci fosse soltanto lo spazio sterminato vuoto, le masse di polvere respinte dai soli per effetto della pressione di radiazione durante tempi infiniti sarebbero state perdute nello spazio, allo stesso modo come si suppone di consueto por l’energia irradiata dal sole.

Lo sviluppo dell’universo dovrebbe già da lungo tempoesser giunto ad una fine, ad una specie di annientamento di ogni materia ed energia. Che questo modo di vedere non sia assolutamente soddisfacente, lo dimostrò fra gli altri Herbert Spencer, che fece spiccare come deve aver luogo nell’evoluzione del mondo una circolazione. Questo è manifestamente indispensabile, se un sistema deve rimaner duraturo. Nelle parti più tenui, gassose e fredde, delle nebulose noi abbiamo la parte del meccanismo del mondo, che fa equilibrio alla dissipazione dei soli in materia, e ancora più in energia. Le particelle di polvere immigranti assorbono la radiazione solare, e cedono il loro calore alle singole molecole di gas, che urtano contro di esse. L’intera massa gassosa si dilata per questo assorbimento di calore e si raffredda. Le molecole più ricche d’energia vanno innanzi e sono sostituite da nuove provenienti dalle parti interne più dense della nebulosa, le quali si raffreddano anche loro per espansione. Così ogni raggio termico emesso da un sole viene assorbito e la sua energia attraverso alla parte gassosa della nebula viene trasportata ai soli in formazione, che si trovano in vicinanza della nebula o nelle sue parti interne, e si concentra attorno a centri d’attrazione immigrati o attorno ai resti dei corpi celesti che originariamente si urtarono a vicenda. La materia, per il forte freddo che domina nella nebula, può accumularsi di nuovo, mentre la pressione di radiazione, come dimostrò Poynting, basta a tener lontani dei corpi di 15° di temperatura e del diametro di 3,4 cm., se il loro peso specifico è grande come quello della terra (5,5). Nell’orbita di Nettuno, dove domina una temperatura di circa 50 gradi assoluti, cioè pressochè quella delle nebule, questa grandezza discende ad 1 mm. circa. Come accennammo sopra, probabilmente nel primo accumulamento delle particelle hanno la parte principale delle forze di capillarità, che si fanno valere per la cooperazione dei gas condensati sopra i nuclei di polvere, e non la forza di gravi tà. Allo stess o modo può accumularsi qui l’energia, contro la legge del continuo aumento della entropia.

Durante questa attività conservativa gli strati gassosi vengono rapidamente assottigliati, ma sostituiti mediante nuove masse provenienti dall’interno della nebulosa, finchè questo è vuotato e la nebulosa è trasformata in un cumulo o in un sistema planetario, che circola attorno ad uno o a più soli. Dalla collisione di questi ultimi si formano nuove nebulose.

Una parte principale nello sviluppo dallo stato di nebulosa a quello di stella, e nelle formazione nuova di nebulose per la collisione di due corpi oscuri o splendenti, è sostenuta dalle sostanze esplosive che probabilmente contengono idrogeno ed elio (e forse anche nebulium) in unione con carbonio e con metalli. Le leggi fondamentali della termodinamica conducono alla ipotesi che questesostanze esplosive sieno formate nella evoluzione dei soli, nella collisione dei quali vengono distrutte. La quantità straordinaria di energia che si trova accumulata in questi corpi, corrisponde a dei potenti bilancieri del meccanismo universale, che ne regolano il movimento e fanno sì, che il movimento pendolare di va o vieni dallo stadio di nebulosa a quello di sole e viceversa avvenga con un ritmo regolare, durante le epoche immense, che possiamo prendere come caratteristiche per l’evoluzione del mondo.

Mediante questa cooperazione compensatrice della forza di gravità e della pressione di radiazione, come pure del pareggiamento di temperatura e della concentrazione di calore, diviene possibile che l’evoluzione dell’universo continui in un ciclo eterno, a cui non possiamo trovare nè principio nè fine, e in cui la vita ha possibilità di sussistere continua ed indiminuita.

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