MEDITAZIONE III. Della donna onesta.

La Meditazione precedente ha dimostrato che noi possediamo in Francia una massa fluttuante d’un milione di donne, sfruttanti il privilegio d’inspirar le passioni che un galantuomo confessa senza vergogna o nasconde con piacere. È dunque sopra questo milione di donne che bisogna far passare la nostra diogenica lanterna, per trovar le donne oneste del paese. – Questa ricerca ci trascina ad alcune digressioni.

Due giovanotti eleganti, il cui corpo svelto e le braccia arrotondate somigliano alla mazzaranga d’uno stradino, ed i cui stivali sono fatti alla perfezione s’incontrano un mattino sul baluardo all’uscita del passaggio dei Panorama. — Oh! sei tu?

— Sì, mio caro, mi somiglio, non è vero? E si pongono a ridere più o meno spiritosamente, secondo la natura delle freddure che apre la conversazione.

Quando si sono esaminati con la curiosità maliziosa di un gendarme che cerca di riconoscere un indizio, quando si sono ben convinti della freschezza rispettiva dei loro guanti, del loro panciotti e della grazia con la quale sono annodate le loro cravatte; quando sono presso a poco certi che niun d’essi è caduto nella disgrazia, si prendono a braccetto, e, se partono dal teatro delle Varietà, non arriveranno all’altezza di Frascati, senza essersi rivolta una dimanda un po’ ardua, della quale, ecco la libera traduzione: Chi sposiamo pel momento?

Regola generale è sempre una donna avvenente.

Qual è il fantaccino di Parigi, nel cui orecchio non sono cadute, come le palle in un giorno di battaglia, migliaia di parole pronunziate dai passanti, e che non abbia afferrato una di quelle innumerevoli parole, gelate per aria di cui parla Rabelais? Ma la maggior parte degli uomini passeggiano per Parigi, al modo stesso che mangiano e vivono, senza pensarci. Esistono pochi abili musicisti, ed esperti fisionomisti che sappiano riconoscere a qual chiave appartengono quelle note sparse, e da qual passione esse procedono. Oh! errar per Parigi! Adorabile e deliziosa esistenza! Curiosare è una scienza; è la gastronomia dell’occhio. Passeggiare, è vegetare; curiosare, è vivere. La donna giovane e avvenente, lungamente contemplata da due occhi ardenti, potrebbe pretendere un compenso, con maggior ragione del rosticciere che dimanda venti soldi al Limosino, il cui naso spalancato smisuratamente, aspirava nutrienti profumi. Investigare, è godere, è raccoglier getti di spirito, è ammirar sublimi quadri di sventura, d’amore, di gioja, e ritratti graziosi o grotteschi: è immergere gli sguardi in fondo a mille esistenze: giovane è tutto desiderare, tutto possedere; vecchio, è vivere della vita dei giovani, è sposare le loro passioni. Ora, quante risposte un artista indagatore non ha egli udito fare all’interrogazione categorica sulla quale siamo rimasti?

— Ella ha trentacinque anni, ma non gliene daresti venti – dice un bollente zerbinotto dagli occhi sfavillanti, e che, uscito appena dal collegio, vorrebbe come Cherubino, tutto abbracciare. – Ma come! Noi abbiamo degli accappatoi di batista e degli anelli da notte in diamanti – dice un giovane di notaro. – Ella ha carrozza e palco al teatro francese! dice un militare. Io, sclama un altro un po’ più anziano, dandosi l’aria di rispondere ad un attacco – non ci spendo un soldo. Quando si è fatti come me... Saresti forse a questo punto, mio rispettabile amico? E il passeggiatore dà un colpettino col palmo della mano sul ventre del suo camerata. – Oh! ella mi ama! dice un altro – non si può farsene un’idea; ma ella ha il marito più stupido che sia al mondo! Ah! Buffon ha superiormente descritto gli animali; ma il bipede nominato marito... (Com’è piacevole a udire, quando si è ammogliati) – Oh! amico mio, come un angelo! È la risposta a una dimanda discretamente fatta all’orecchio, – Puoi dirmi il suo nome o mostrarmela? – Oh! no; è una donna onesta.

Quando uno studente è amato da un acquacedrataja, egli la nomina con orgoglio, e conduce i suoi amici a far colezione da lei. Se un giovane ama una donna, il cui marito si dedica ad un commercio comprendente oggetti di prima necessità, risponderà arrossendo: È una venditrice di biancheria, è la moglie d’un cartolajo, d’un berrettajo, di un mercante di panni, di un commesso, etc.

Ma questa confessione d’un amor subalterno, schiusa e ingrandendo in mezzo alle balle, ai pani di zucchero, o alle camicie di flanella, è sempre accompagnato da un pomposo elogio della ricchezza signora. Il marito si occupa del commercio; è ricco, ha dei beni mobili; d’altronde la prediletta viene in casa del suo amante; ella ha uno scialle di cascemir, una casa di campagna, ecc.

Breve, un giovinotto non manca mai di eccellenti ragioni per provare che la sua amante sta per diventare fra poco una donna onesta, se non lo è già. Questa distinzione prodotta dall’eleganza de’ nostri costumi, è divenuta tanto indefinibile, quanto la linea dalla quale comincia il buon tono. Che è dunque allora una donna onesta?

Questa materia tocca troppo davvicino la vanità delle donne e quella dei lor amanti, ed anco quella d’un marito, perchè noi non istabiliamo qui delle regole generali resultate da una lunga osservazione.

Il nostro milione di teste privilegiate, rappresentano una massa di eleggibili al titolo glorioso di donna onesta, ma tutte non sono elette. I principii di questa elezione si trovano nei seguenti assiomi:

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