Aforismi.

I.

Una donna onesta è essenzialmente maritata.

II.

Una donna onesta ha meno di quarant’anni,

III.

Una donna maritata, i cui favori sono pagabili, non è una donna onesta.

IV.

Una donna maritata, che ha una carrozza di suo, è una donna onesta.

V.

Una donna che fa da cucina in casa sua, non è una donna onesta.

VI.

Quando un uomo ha guadagnato ventimila lire di rendita, sua moglie è una donna onesta, qualunque sia il genere di commercio cui deve la sua fortuna.

VII.

Una donna che dice un sacco di spropositi, stroppiando grottescamente le parole che vuole adoperare, non può esser mai una donna onesta, qualunque sia la di lei fortuna.

VIII.

Una donna onesta deve avere una esistenza pecuniaria che permetta al di lei amante di pensare che ella non gli sarà mai a carico in modo alcuno.

IX.

Una donna alloggiata al terzo piano (le vie di Rivoli e Castiglione eccettuate) non è una donna onesta.

X.

La moglie di un banchiere è sempre una donna onesta, ma una donna seduta ad un banco non può esserlo, se non allorchè suo marito fa un commercio estesissimo e che ella non alloggia nessuno sopra la sua bottega.

XI.

La nepote non maritata d’un vescovo, e mentre ella dimora con lui, può passare per una donna onesta, perchè, se ha un rigiro, è obbligata ad ingannar suo zio.

XII.

Una donna onesta è quella che si teme di compromettere.

XIII.

La moglie d’un artista è sempre una donna onesta.

————

Applicando questi principii, un uomo del dipartimento dell’Ardèche, può risolvere tutte le difficoltà che si presenteranno in questa materia.

Perchè una donna non faccia da sè stessa la cucina, abbia ricevuto una brillante educazione, abbia il sentimento della civetteria, abbia il diritto di passar ore intiere in uno spogliatojo, stesa sopra un divano, e viva della vita dell’anima, le occorre almeno una rendita di seimila franchi in provincia e di ventimila a Parigi. Questi due termini di fortuna stanno ad indicarci il numero presunto di mogli oneste, che si trovano nel milione, prodotto lordo della nostra statistica.

Ora, trecentomila benestanti con millecinquecento franchi di rendita, rappresentano la somma totale delle pensioni, degli interessi vitalizi e perpetui, pagati dal Tesoro, e quelle delle rendite ipotecarie;

Trecentomila proprietari godenti di tremilacinquecento franchi di rendita fondiaria, rappresentano tutta la fortuna territoriale;

Duecentomila parti, prendenti a ragione di millecinquecento franchi, rappresentano la divisione del bilancio dello Stato, e quello dei bilanci municipali dipartimentali; sottrazione fatta del debito dei fondi del clero, della somma degli eroi a cinque soldi per giorno, e delle somme destinate alla loro biancheria, all’armamento, ai viveri, al vestiario, ecc.

Duecentomila fortune commerciali a ragione di ventimila franchi di capitale, rappresentano tutti gli stabilimenti industriali di Francia;

Ed ecco un milione di mariti.

Ma quanti benestanti conteremo noi, a dieci, a cinquanta, cento, due, tre, quattro, cinque e seicento franchi soltanto di rendita, inscritti sul Gran Libro, e altrove?

Quanti ve ne sono dei proprietarii, che non pagano più di cento soldi, venti franchi, cento, duecento e duecento ottanta franchi d’imposta?

Quanti ne supporremo noi, fra gli inscritti nel bilancio, di poveri scribacchini che non hanno che seicento franchi di stipendio?

Quanti ne ammetteremo di commercianti che non hanno se non dei capitali fittizii; che ricchi di credito, non hanno un soldo del proprio e somigliano a vagli pei quali passa il Pattolo?

E quanti negozianti che non hanno che un capitale reale di mille, duemila, quattromila, cinquemila franchi?

O Industria... salute!

Facciamo forse più felici di quel che non ve n’è, e dividiamo questo milione in due parti: cinquecentomila famiglie avranno da cento franchi a tremila di rendita, e cinquecentomila franchi riempiranno le condizioni volute per essere oneste.

Secondo le osservazioni che terminano la nostra Meditazione di statistica, siamo autorizzati a prelevare da questo numero centomila unità; in conseguenza, si può considerare come proporzione matematicamente provata che non esistono in Francia che quattrocentomila mogli il cui possesso sia in grado di procurare agli uomini delicati i godimenti squisiti e distinti che ricercano nell’amore.

Infatti, è qui il luogo di fare osservare agli adepti pei quali scriviamo, che l’amore non si compone di alcune conversazioni sollecitanti, di alcune notti di voluttà, di una carezza più o meno intelligente e di una scintilla d’amor proprio battezzata col nome di gelosia. La nostre quattrocentomila mogli non sono di quelle di cui si possa dire:

«La più bella fanciulla del mondo non dà che ciò che ha.»

No: esse sono riccamente dotate dei tesori che prendono a prestito dalle nostre ardenti immaginazioni, esse sanno vender caro ciò che hanno, per compensar la volgarità di quello che danno.

È forse baciando il guanto d’una sgualdrinella, che sentirete maggior piacere di quello che provereste esaurendo quella voluttà di cinque minuti che vi offrono tutte le donne?

È forse la conversazione d’una merciaja che vi farà sperare godimenti infiniti?

Fra voi ed una donna al disotto di voi, le delizie dell’amor proprio sono per lei. Voi non siete nel segreto delle felicità che date.

Fra voi ed una donna al disotto di voi, per fortuna o per posizione sociale, i solletichi di vanità sono immensi e sono divisi. Un uomo non ha mai potuto elevare la sua amante fino a lui: ma una donna pone sempre il suo amante tanto in alto quanto lei. «Posso far dei principi, e voi non farete mai che dei bastardi!» è una risposta scintillante di verità.

Se l’amore è la prima delle passioni, egli è perchè le lusinga tutte assieme. Si ama in ragione delle più o meno corde che le dita della nostra bella amante legano al nostro cuore.

Bireno, figlio di un orefice, salendo nel letto della duchessa di Curlandia ed ajutandola a firmare la promessa di essere proclamato sovrano del paese, come egli era quello della giovine e bella sovrana, è il tipo della felicità che debbono dare le nostre quattrocentomila donne ai loro amanti.

Per avere il diritto di farsi sgabello di tutte le teste che si accalcano in una sala, bisogna esser l’amante di una di quelle donne scelte. Ora, noi amiamo tutti più o meno, di salire in trono.

Quindi è su questa brillante parte della nazione che sono diretti tutti gli attacchi degli uomini, ai quali l’educazione, il talento o lo spirito, hanno dato il diritto di esser contati per qualche cosa in questa fortuna umana di cui si inorgogliscono i popoli; ed è in questa classe di donne soltanto che si trova quella il cui cuore sarà difeso a oltranza dal nostro marito.

Che le considerazioni cui dà luogo la nostra aristocrazia femminina si applichino o no alle altre classi sociali, che importa? Ciò che sarà vero di queste donne tanto ricercate nelle loro maniere, nel loro linguaggio, nei loro pensieri; nelle quali una educazione privilegiata, ha sviluppato il gusto per le arti, la facoltà di sentire, di comparare, di riflettere; che hanno un sentimento sì elevato delle convenienze e della cortesia, e che comandano ai costumi in Francia, deve essere applicato alle donne di tutte le nazioni e di tutte le specie. L’uomo superiore a cui questo libro è dedicato. possiede necessariamente una certa ottica di pensiero, che gli permette di seguire le degradazioni della luce in ogni classe, e di afferrare il punto di incivilimento, sotto il quale tale osservazione è ancor vera.

Non è egli dunque d’un alto interesse per la morale, il ricercare oggi il numero delle donne virtuose che può trovarsi fra queste adorabili creature? Non vi è forse in ciò una questione marito-nazionale?

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