Fedeli alla nostra promessa, questa prima parte ha dedotto le cause generali che fanno giungere tutti i matrimoni alle crisi che abbiamo descritto; e, pur tracciando questi i prolegomeni conjugali, abbiamo indicato la maniera di sfuggire alla disgrazia, mostrando da quali errori è cagionata.
Ma queste prime considerazioni non sarebbero incomplete, se, dopo aver procurato di gettar un po’ di luce sulla incoerenza delle nostre idee, dei nostri costumi e delle nostre leggi, relativamente ad una questione che abbraccia la vita di quasi tutti gli esseri, non cercassimo di stabilire per mezzo di una breve perorazione le cause politiche di questa infermità sociale? Dopo avere enunciato i vizi segreti della istituzione, non è forse un esame filosofico, il cercare perchè e come i nostri costumi l’hanno resa viziosa?
Il sistema di leggi e di costumi che regge oggi le donne e il matrimonio in Francia, è frutto d’antiche credenze e di tradizioni che non sono più in rapporto coi principi eterni della ragione e della giustizia, sviluppati dalla grande rivoluzione del 1789.
Tre grandi commozioni hanno agitato la Francia; la conquista dei Romani, il cristianesimo, e la invasione dei Franchi. Ogni avvenimento ha lasciato profonde orme sul secolo, nelle leggi, nei costumi e nello spirito della nazione.
La Grecia, avendo un piede in Europa e l’altro in Asia, fu influenzata dal suo clima appassionato nella scelta delle sue istituzioni conjugali; ella le riceve dall’Oriente, dove i suoi filosofi, i suoi legislatori e i suoi poeti andarono a studiar le antichità velate dell’Egitto e della Caldea.
La reclusione assoluta delle donne, comandata dall’azione del cocente sole dell’Asia, domina nelle leggi della Grecia e dell’Jonio. La donna vi rimane affidata ai marmi dei ginecei. La patria si riduceva ad una città, ad un territorio poco vasto, e quindi le cortigiane, che tenevano alle arti e alla religione per tanti vincoli, poterono bastare alle prime passioni d’una gioventù poco numerosa le cui forze erano d’altronde assorbite dai violenti esercizi d’una ginnastica, voluta dall’arte militare di quei tempi eroici.
Al principio della sua reale carriera, Roma, essendo andata a chiedere alla Grecia i fondamenti d’una legislazione che poteva ancora convenire al cielo d’Italia, impresse sulla fronte della donna maritata il marchio di una completa servitù.
Il Senato comprese l’importanza della virtù in una repubblica, e ottenne la severità nei costumi con uno sviluppo eccessivo della potenza maritale e paterna. La dipendenza della donna si trova scritta ovunque. La reclusione dell’Oriente divenne un dovere, un obbligo morale, una virtù. Da ciò, i templi innalzati al pudore, e quelli consacrati alla santità del matrimonio; da ciò, i censori, la istituzione dotale, le leggi suntuarie, il rispetto per le matrone, e tutte le disposizioni del Diritto romano. Per ciò tre stupri tentati o compiuti, furono tre rivoluzioni; per ciò era un grande avvenimento solennizzato con decreti, l’apparizione delle donne sulla scena politica!
Quelle illustri romane, condannate a non esser che spose e madri, passarono la vita nel ritiro, occupate ad allevare dei padroni pel mondo. Roma non ebbe cortigiane, perchè la gioventù vi era occupata in guerre eterne. Se più tardi la dissoluzione venne, ciò fu a causa del dispotismo degli imperatori; ed anzi, i pregiudizi fondati dagli antichi costumi, erano tanto vivaci, che Roma non vide mai donne sopra un teatro. Questi fatti, non saranno perduti per la nostra rapida storia del matrimonio in Francia.
Conquistati i Galli, i Romani imposero le loro leggi ai vinti; ma esse furono impotenti a distruggere e il profondo rispetto dei nostri antichi per le donne, e quelle antiche superstizioni che ne facevano gli organi immediati della divinità. Le leggi romane finirono nondimeno per regnare esclusivamente su tutte le altre in quel paese chiamato un tempo di diritto scritto che rappresentava la Gallia togata, e i loro principi conjugali, penetrarono più o meno nel paese de’ costumi.
Ma durante questo conflitto di leggi contro i costumi, i Franchi invasero le Gallie, alle quali dettero il dolce nome di Francia. Quei guerrieri usciti dal nord, vi importavano il sistema di galanteria, innato nelle loro regioni occidentali, ove il miscuglio dei sessi non esige, sotto climi gelati, la pluralità delle mogli e le gelose precauzioni dell’Oriente. Lungi da ciò, fra loro, quelle creature quasi divinizzate riscaldavano la vita privata con l’eloquenza dei loro sentimenti. I sensi addormentati sollecitavano quella varietà di mezzi energici e delicati, quella diversità d’azione, quella irritazione del pensiero e quelle barriere chimeriche create dalla civetteria, sistema di cui alcuni principii sono stati sviluppati in questa prima parte, e che conviene ammirabilmente al cielo temperato della Francia.
All’Oriente dunque, la passione e il suo delirio, i lunghi capelli bruni e gli harem, le divinità amorose, la pompa, la poesia e i monumenti. All’Occidente, la libertà delle donne, la sovranità delle loro bionde capigliature, la galanteria, le fate, le maghe, le profonde estasi dell’anima, le dolci emozioni della melanconia e i lunghi amori.
Questi due sistemi, partiti da due punti opposti del globo, vennero a lottare in Francia; in Francia, dove una parte del paese, la lingua d’oc, poteva compiacersi nelle credenze orientali, mentre l’altra, la lingua d’oil, era la patria di quelle tradizioni che attribuiscono una magica potenza alla donna. Nella lingua d’oil l’amore chiede il mistero; nella lingua d’oc, vedere è amare.
Nel colmo di questo conflitto, il cristianesimo venne a trionfare in Francia, e venne predicato dalle donne, e venne consacrando la divinità d’una donna, la quale, nelle foreste della Bretagna, della Vandea e delle Ardenne, prese, sotto il nome di Nostra Signora, il posto di più d’un idolo nel vuoto tronco delle vecchie quercie druidiche.
Se la religione di Cristo, che, prima di tutto è un codice di morale e di politica, dava un’anima a tutti gli esseri, proclamava la uguaglianza di essi in faccia a Dio e fortificava co’ suoi principi le dottrine cavalleresche del nord, questo vantaggio era ben bilanciato dalla residenza del sovrano pontefice a Roma, della quale egli s’instituiva erede, per l’universalità della lingua latina, che divenne quella dell’Europa nel medio evo e per il potente interesse che i monaci, gli scribi e le genti di legge ebbero nel far trionfare i codici trovati da un soldato nel saccheggio di Amalfi.
I due principii di servitù e di sovranità delle donne, rimasero dunque in presenza, arricchiti l’uno e l’altro di nuove armi.
La legge salica, errore legale, fece trionfar la servitù civile e politica, senza abbattere il potere che i costumi davano alle donne, perchè l’entusiasmo da cui fu presa l’Europa per la cavalleria, sostenne le parti dei costumi contro le leggi.
Così si formò lo strano fenomeno presentato dopo d’allora dal nostro carattere nazionale e dalla nostra legislazione; perchè dopo quelle epoche che pajono essere la vigilia della rivoluzione, quando uno spirito filosofico s’eleva e considera l’istoria, vede che la Francia è stata preda di infinite convulsioni; la Feudalità, le Crociate, la Riforma, la lotta della monarchia e dell’aristocrazia, il dispotismo e il sacerdozio l’hanno così fortemente stretta nelle loro spire, che la donna vi è restata in preda alle contraddizioni bizzarre, nate dal conflitto dei tre avvenimenti principali che abbiamo schizzato. Si poteva occuparci della donna, della sua educazione politica e del matrimonio, quando la Feudalità poneva il trono in questione, quando la Riforma li minacciava l’uno e l’altro, e quando il popolo era dimenticato fra il sacerdozio e l’impero? Secondo una espressione della signora Necker, le donne furono attraverso questi grandi avvenimenti, come quei ripieni introdotti nelle casse di porcellana; valutate nulla, tutto si romperebbe senz’esse.
La donna maritata offrì allora in Francia lo spettacolo d’una regina ridotta in ischiavitù, e d’una schiava al tempo stesso libera e prigioniera. Le contraddizioni prodotte dalla lotta dei due principii scoppiarono allora nell’ordine sociale, e vi disegnarono bizzarrie a migliaja. Allora la donna era fisicamente poco conosciuta; ciò che in lei fu malattia, si trovò prodigio, una stregoneria o il colmo della malignità. Allora quelle creature, trattate dalle leggi come figliuoli prodighi e poste sotto tutela, erano deificate dai costumi. Simili ai liberati dagli imperatori, elleno disponevano di corone, di battaglie, di fortune, di colpi di Stato, di delitti, di virtù, col solo scintillar dei loro occhi, e non possedevano nulla, nemmeno sè stesse.
Nondimeno furono ugualmente felici. Armate della loro debolezza e forti del loro istinto, si slanciarono fuori dalla sfera in cui le leggi dovevano porle, mostrandosi onnipotenti pel male, impotenti pel bene, senza merito nelle loro virtù comandate, senza scuse nei loro vizi; accusate d’ignoranza e prive di educazione; nè completamente madri, nè del tutto spose.
Avendo tutto il tempo di covar le passioni e di svilupparle, esse obbedivano alla civetteria dei Franchi, mentre dovevano come le Romane restar nella cinta dei castelli ad allevar guerrieri. Nessun sistema non essendo fortemente sviluppato nella legislazione, gli spiriti seguirono le loro inclinazioni, e si videro tante Marion Delorme quante Cornelie, tante virtù quanti vizi. Erano creature incomplete quanto le leggi che le governavano; considerate dagli uni come un essere intermediario fra l’uomo e gli animali, come una bestia malvagia che le leggi non potrebbero avvincere con sufficienti legami, e che la natura aveva destinate con tante altre al buon piacere degli uomini; considerate da altri come un angelo esiliato, sorgente di felicità e di amore, come la sola creatura che rispondesse ai sentimenti dell’uomo, e di cui si dovevano vendicar le miserie per mezzo di una idolatria, in qual modo l’unità che mancava alle istituzioni politiche poteva ella esistere nei costumi?
La donna fu dunque ciò che le circostanze e gli uomini la fecero, invece d’esser quello che il clima e le istituzioni la dovevano fare; venduta, maritata contro sua volontà dalla potestà patria dei Romani, al tempo stesso in cui cadeva sotto il dispotismo maritale che desiderava la di lei reclusione, ella si vedeva spinta alle sole rappresaglie che le fossero permesse.
E divenne dissoluta quando gli uomini cessarono di esser potentemente occupati dalle guerre intestine, per la medesima ragione che fu virtuosa in mezzo alle commozioni civili. Ogni uomo istruito può ombreggiare questo quadro; noi domandiamo agli avvenimenti la loro lezione e non la loro poesia.
La rivoluzione era troppo occupata in abbattere e riedificare, aveva troppi avversari, o fu forse ancor troppo vicina ai tempi deplorabili della Reggenza e di Luigi XV, per potere esaminare il posto che la donna deve tenere nell’ordine sociale.
Gli uomini notevoli che elevarono il monumento immortale dei nostri codici, erano quasi tutti antichi legislatori, colpiti dall’importanza delle leggi romane: e d’altronde, essi non fondavan istituzioni politiche. Figli della rivoluzione, crederono con essa che la legge del divorzio saggiamente ristretta, che la facoltà delle sottomissioni rispettose, fossero miglioramenti sufficienti. Dinanzi alle memorie dell’antico ordine di cose, queste nuove istituzioni parvero immense.
Oggi la questione del trionfo dei due principii, molto indeboliti da tanti avvenimenti e dal progresso dei lumi, rimane tutta intiera a trattarsi per i saggi legislatori. – Il tempo passato contiene insegnamenti che debbono portare i loro frutti nell’avvenire. L’eloquenza dei fatti sarebbe forse perduta per noi?
Lo sviluppo dei principii dell’Oriente ha imposto eunuchi e serragli, i costumi bastardi della Francia, hanno prodotto la piaga delle cortigiane e la piaga più profonda dei nostri matrimoni, quindi, per servirci della frase bell’e fatta da un contemporaneo, l’Oriente sagrifica alla paternità gli uomini e la giustizia; la Francia, le donne e il pudore. Nè l’Oriente, nè la Francia hanno raggiunto lo scopo che queste istituzioni dovevano proporsi: la felicità.
L’uomo non è amato dalle donne di un harem, più di quel che il marito non è sicuro, in Francia, d’essere il padre de’ suoi figli; e il matrimonio non vale tutto ciò che costa. È tempo di non sagrificar nulla a questa istituzione e di porre nello stato sociale i fondi di una più gran somma di felicità adattando i nostri costumi e le nostre istituzioni al nostro clima.
Il governo costituzionale, felice miscuglio di due sistemi politici estremi, il dispotismo e la democrazia, pare indichi la necessità di confondere così i due principii conjugali che in Francia si sono sin qui urtati. – La libertà che abbiamo arditamente reclamata per le giovani, rimedia a quella caterva di mali la cui sorgente è indicata, esponendo il controsenso prodotto dalla schiavitù delle fanciulle. Rendiamo alla gioventù le passioni, le seduzioni, l’amore e i suoi terrori, l’amore e le sue dolcezze, e l’affascinante corteggio dei Franchi. A quella stagione primaverile della vita, nessun errore è irreparabile; l’imene uscirà dal seno delle prove armato di confidenza disarmato d’odio, e l’amore sarà giustificato da utili paragoni.
In questo cambiamento dei nostri costumi, perirà da sè stessa la vergognosa piaga delle donne pubbliche. È sopratutto al momento in cui l’uomo possiede il candore e la timidità dell’adolescenza, che è necessario per la sua felicità d’incontrare grandi e vere passioni da combattere. L’anima è felice de’ suoi sforzi, qualunque essi sieno; purchè agisca, si muova, poco le importa d’esercitare il suo potere contro sè stessa. Esiste in questa osservazione, che tutto il mondo ha potuto fare, un segreto di legislazione, di tranquillità e di felicità. Poi, in oggi gli studi hanno preso un tale sviluppo, che il più focoso dei Mirabeau futuri può seppellir la sua energia in una passione e nelle scienze. Quanti giovani non sono stati salvati dalla crapula per mezzo dei lavori ostinati uniti ai rinascenti ostacoli d’un primo, d’un puro amore? Infatti, qual’è la giovinetta che non desidera prolungar la deliziosa infanzia dei sentimenti, che non si trovi orgogliosa d’esser conosciuta, e che non abbia da opporre i timori inebbrianti della sua timidità, il pudore delle sue segrete transazioni con sè stessa, ai giovani desiderii di un amante inesperto come lei? La galanteria dei Franchi e i suoi piaceri saranno dunque il cieco appannaggio della gioventù, e allora si stabiliranno naturalmente quei rapporti d’anima, di spirito, di carattere, d’abitudini, di temperamento, e di fortuna che producono il fortunato equilibrio voluto dalla felicità di due sposi. Questo sistema sarebbe basato sopra fondamenti ben più larghi e ben più sicuri, se le fanciulle fossero sottomesse ad una diseredazione saggiamente calcolata; o, se, per costringer gli uomini a non determinarsi nella loro scelta, se non in favore di quelle che offrissero loro pegni di felicità, con le loro virtù, il loro carattere, o i loro talenti, fossero maritate senza dote come agli Stati Uniti.
Allora il sistema adottato dai Romani potrà senza inconvenienti applicarsi alle donne maritate, le quali, giovinette, avranno usato della loro libertà. Esclusivamente incaricate della educazione primitiva dei fanciulli, la più importante di tutte le obbligazioni di una madre, occupate nel far nascere e nel mantenere quella felicità di tutti gli istanti, sì ammirabilmente dipinti nel quarto libro di Giulia, esse saranno nella loro casa, come le antiche Romane, una vivente imagine della Provvidenza, che si rivela dappertutto e non si lascia vedere in alcun luogo. Allora le leggi sull’infedeltà della donna maritata dovranno essere eccessivamente severe. Esse dovranno prodigare più infamia che pene afflittive o coercitive. La Francia ha veduto donne condotte al passeggio, montate sugli asini, per pretesi delitti di magia, e più d’una innocente è morta di vergogna. Lì sta il segreto della futura legislazione del matrimonio. Le fanciulle di Mileto si guarivano dal matrimonio con la morte: il Senato condanna le suicide ad esser trascinate nude sopra una treggia, e le vergini si condannano alla vita.
Le donne e il matrimonio non saranno dunque rispettati in Francia, se non col cangiamento radicale che imploriamo pei nostri costumi. Questo pensiero profondo è quello che anima le due produzioni più belle di un genio immortale. L’Emilio e la Nuova Eloisa, non sono che due eloquenti orazioni in favore di questo sistema. Questa voce echeggerà nei secoli, perchè ha indovinato i veri moventi delle leggi e dei costumi dei secoli futuri. Attaccando i fanciulli al seno delle loro madri, Gian Giacomo rendeva già un immenso servigio alla virtù: ma il suo secolo era troppo profondamente cancrenato per comprendere le alte lezioni che racchiudevano quei due poemi; giova però aggiungere che il filosofo fu vinto dal poeta e che lasciando nel cuore di Giulia maritata, tracce del suo primo amore, egli è stato sedotto da una situazione poetica, più commovente della verità che voleva sviluppare, ma meno utile.
Nondimeno, se il matrimonio in Francia è un immenso contratto col quale gli uomini si intendono tutti tacitamente per dar più sapore alle passioni, più curiosità, più misteri all’amore, più piccante alle donne; se la donna è piuttosto un ornamento da salone, un fantoccio da modista, un attaccapanni, che un essere le cui funzioni nell’ordine politico possono coordinarsi con la prosperità d’un paese, con la gloria d’una patria, che una creatura le cui cure possono lottare d’utilità con quelle degli uomini... confesso che tutta questa teoria, che queste lunghe considerazioni spariranno dinanzi a tali importanti destini!
Ma è un aver troppo pigiato il fondaccio degli avvenimenti compiuti per trarne una goccia di filosofia, è un aver sagrificato abbastanza alla passione dominante dell’epoca attuale per lo storico. Riportiamo dunque i nostri sguardi sui costumi presenti. Riprendiamo il berretto coi sonagli e quella verga del pazzo, della quale Rabelais fece un tempo uno scettro e continuiamo il corso di questa analisi, senza dare ad uno scherzo maggior gravità che non può avere, e senza porre nelle cose gravi, maggior ridicolo che non comportano.