Un uomo solitario, e che si credeva avere il dono della seconda vista, avendo detto al popolo d’Israele di seguirlo per una montagna per udirvi la rivelazione di qualche mistero, si vide accompagnato da una schiera che occupava troppo spazio sulla via, perchè il suo amor proprio non ne fosse solleticato, quantunque profeta.
Ma siccome la sua montagna si trovava a non so quale distanza, accadde che alla prima fermata un artigiano si ricordò com’egli dovesse consegnare un pajo di babbuccie a un duca e pari, che una donna pensò che la pappa de’ suoi ragazzi era sul fuoco, e che un pubblicano riflettè che aveva delle azioni metalliche da negoziare; e tutti tre se ne andarono.
Un po’ più lungi, alcuni amanti rimasero sotto gli olivi, dimenticando i discorsi del profeta; perchè pensavano che la terra promessa era là dov’essi si fermavano, e la parola divina, là dov’essi parlavano assieme.
Alcuni obesi, carichi di ventri alla Sancio, e che da un quarto d’ora s’asciugavano la fronte co’ loro fazzoletti, cominciarono ad aver sete, e rimasero presso una chiara fontana.
Diversi vecchi soldati si lagnarono dei calli che irritavano i loro nervi, e parlarono d’Austerlitz a proposito degli stivali stretti.
Alla seconda fermata, varie persone di mondo si dissero all’orecchio: — Ma è un pazzo questo profeta! — E perchè lo avete ascoltato? — Io? sono venuto per curiosità. — Ed io perchè ho veduto che lo seguivano. — È un ciarlatano,
Il profeta camminava sempre. Ma quando fu arrivato sull’altopiano d’onde si scopriva un immenso orizzonte, si volse e non si vide vicino che un povero israelita al quale avrebbe potuto dire come il principe di Ligne al tamburino dalle gambe storte, che trovò sulla piazza dove si credeva aspettato dalla guarnigione:
— Ebbene, signori lettori, pare che non siate che... uno?
Uomo di Dio che mi hai seguito fin qui! Spero che una piccola recapitolazione non ti spaventerà; ed io ho viaggiato nella convinzione, che tu dicessi come me: Dove diavolo andiamo?
— Ebbene! È qui il luogo di dimandarvi, mio rispettabile lettore, qual è la vostra opinione relativamente al rinnovamento del monopolio del tabacco, e cos’è che pensate delle esorbitanti imposte messe sui vini, sul porto d’arme, sui giuochi, sulla lotteria, sulle carte da giuoco, l’acquavite, i saponi, i cotoni, e le seterie?
— Penso che tutte queste imposte, entrando per un terzo nella rendita del bilancio, saremmo fortemente imbarazzati se...
— Di maniera, mio eccellente marito modello, che se nessuno si ubbriacasse, giuocasse, prendesse tabacco, cacciasse, infine se non avessimo in Francia nè vizi, nè passioni, nè malattie, lo Stato sarebbe a due dita dal fallimento; perchè pare che le nostre rendite siano ipotetiche quanto alla corruzione pubblica, e che il nostro commercio non viva che sul lusso. Se si vuol guardare un po’ più davvicino la cosa, tutte le imposte sono basate sopra una malattia morale. Infatti, i più grossi incassi del demanio non provengono dai contratti di assicurazione che ognuno si affretta di costituirsi contro le mutazioni della sua buona fede, al modo stesso che la fortuna dei magistrati prende la sua origine dai processi che si intentano a questa fede giurata! E per continuare il nostro esame filosofico, io vedrei i gendarmi senza cavalli e senza pantaloni di pelle, se tutti stessero tranquilli, e se non vi fossero nè imbecilli, nè pigri. Imponete dunque la virtù? Ebbene, io ritengo che vi sono maggiori rapporti di quel che non si crede, fra le mie donne oneste e il bilancio; e m’incarico di dimostrarvelo, se volete lasciarmi finire il mio libro, come è cominciato, con un piccolo saggio di statistica. Mi accorderete che un amante deve metter più spesso camicie bianche, che non ne metta, sia un marito, sia un celibe disoccupato? Questo mi pare fuor di dubbio. La differenza che esiste fra un marito ed un amante, si vede dallo spirito solo della loro toletta. L’uno è senza artifizio; la sua barba rimane spesso lunga, e l’altro non si mostra mai che sotto le armi. Sterne ha detto molto burlescamente, che il libro della sua lavandaja era la memoria più storica che egli conoscesse sul suo Tristram Shandy; e che, dal numero delle sue camicie, si potevano indovinare i punti del suo libro che gli erano costati maggior fatica a scrivere. Ebbene, presso gli amanti, il registro del lavandajo è lo storico il più fedele e il più imparziale che essi abbiano dei loro amori. Infatti, una passione consuma una quantità prodigiosa di pellegrine, di cravatte, di vesti necessarie per la civetteria; perchè vi è un immenso prestigio annesso alla bianchezza delle calze, allo splendore d’un colletto, alle pieghe artisticamente fatte d’una camicia da uomo, alla grazia della sua cravatta e del suo solino. Questo spiega il punto in cui ho detto (Meditazione II): Ella passa la vita nel far insaldare le sue vesti. – Ho preso informazioni da una signora onde sapere a qual somma si poteva valutare questa contribuzione imposta dall’amore, e mi sovvengo che dopo averla fissata a cento franchi all’anno per una donna, ella mi disse con una specie di bonomia : — Ma, è secondo il carattere degli uomini, perchè ve ne hanno di quelli che sono più trascurati assai degli altri. Nondimeno, dopo una discussione molto approfondita, nella quale io stipulavo pei celibi e la signora pel suo sesso, fu convenuto che, l’uno compensando l’altro, due amanti, appartenenti alle sfere sociali di cui si è occupato questo lavoro, debbono spendere per questo articolo, in loro due, centocinquanta franchi per anno di più che in tempo di pace.
Fu per mezzo di un simile trattato amichevole e lungamente discusso che decretammo così una differenza collettiva di quattrocento franchi fra il piede di guerra e quello di pace, relativamente a tutte le parti del costume. Quest’articolo fu anche trovato assai meschino fra tutte le potenze virili e femminine che noi consultammo. I lumi che ci furono recati da alcune persone per rischiararci su queste materie delicate ci dettero l’idea di riunire ad un pranzo varie teste sapienti, onde essere guidati da saggie opinioni in queste importanti ricerche. L’assemblea ebbe luogo. Fu col bicchiere alla mano, e dopo brillanti improvvisazioni, che i capitali seguenti del bilancio dell’amore, riceverono una specie di sanzione legislativa. La somma di cento franchi fu assegnata pei commissionari e per le carrozze. Quella di cinquanta scudi parve ragionevolissima pei pasticcini che si mangiano passeggiando, pei mazzetti di violette e gli spettacoli. Una somma di duecento franchi fu riconosciuta necessaria al supplemento straordinario reclamato dalla bocca e dai pranzi presso i trattori.
Dal momento in cui la spesa era ammessa, bisognava bene coprirla con un introito. Perciò in questa discussione un giovane cavalleggero (perchè il re non aveva ancora soppresso la sua casa rossa all’epoca in cui questa transazione fu meditata) reso quasi ebriolus dal vino di Sciampagna, venne richiamato all’ordine per aver osato paragonare gli amanti agli apparecchi distillatori. Ma un capitolo che diè luogo alle più violenti discussioni, che fu anco aggiornato per diverse settimane, e che rese necessario un rapporto, fu quello dei regali. Nella prima seduta, la delicata signora D.... opinò la prima; e, con un discorso pieno di grazia, che provava la nobiltà dei suoi sentimenti, ella tentò di dimostrare che la maggior parte delle volte i doni dell’amore non avevano alcun valore intrinseco. L’autore rispose che non vi erano amanti che non facessero fare i loro ritratti. Una signora osservò che il ritratto non era che un primo capitale e che si aveva sempre cura di richiederlo per dargli un nuovo corso. Ma ad un tratto un gentiluomo provenzale, s’alzò per pronunziare una filippica contro le donne. Egli parlò dell’incredibile fame che divora la maggior parte degli amanti, per le pelliccie, le pezze di raso, le stoffe, i giojelli e i mobili, ma una signora lo interruppe, dimandandogli se la signora d’O....y, sua intima amica, non gli aveva per ben due volte pagato i suoi debiti. — V’ingannate, signora – rispose il provenzale – è stato suo marito. — L’oratore è richiamato all’ordine! sclamò il presidente, e condannato a festeggiar tutta l’assemblea, per essersi servito della parola marito.
Il provenzale fu completamente confutato da una dama, che procurò di provare che le donne avevano molta maggior abnegazione in amore che gli uomini; che gli amanti costano carissimi, e che una donna onesta si troverebbe felicissima di trarsene con duemila franchi soltanto all’anno. La discussione stava per degenerare in personalità, quando fu dimandato lo scrutinio. Le conclusioni recavano in sostanza che la somma dei regali annuali sarebbe valutata, fra amanti, a cinquecento franchi, ma che in questa cifra sarebbero ugualmente compresi:1.° il denaro delle partite di campagna; 2.° le spese farmaceutiche causate dalle infreddature che si guadagnano la sera passeggiando nei viali troppo umidi dei parchi, o uscendo dallo spettacolo, e che costituiscono veri regali; 3.° il porto delle lettere e le spese di cancelleria; 4.° i viaggi e tutte le spese generali di qualsiasi specie, che possono essere fatte dai dissipatori, attesochè, secondo le ricerche della commissione, era dimostrato che la maggior parte delle profusioni profittarono alle figuranti dell’Opéra, e non alle mogli legittime.
Il risultato di questa statistica pecuniaria dell’amore, fu che, l’una per l’altra, una passione costava quasi cinquecento franchi all’anno, necessarii ad una spesa sostenuta dagli amanti, in maniera spesso ineguale, ma che non succederebbe senza il loro attaccamento. Vi fu anco una sorta di unanimità nell’assemblea, per constatare che questa cifra era il minimum del costo annuale d’una passione. Ora, mio caro signore, come noi abbiamo, mediante i calcoli della nostra statistica conjugale (Vedete la Meditazione I, II e III) provato, in maniera irrevocabile, che esiste in Francia una quantità fluttuante di almeno un milione e cinquecentomila passioni illegittime, ne deriva:
Che le criminose conversazioni del terzo della popolazione francese, contribuiscono per una somma di quasi tre miliardi al vasto movimento circolatorio del denaro vero rango sociale, il cui cuore è il bilancio;
Che la donna onesta, non dà soltanto la vita ai figli della patria, ma benanco ai suoi capitali;
Che le nostre manifatture non debbono la loro prosperità, che a questo movimento sistolare;
Che la donna onesta, è un essere essenzialmente costoso e consumatore;
Che il minimo ribasso nell’amor pubblico trascinerebbe seco incalcolabili sciagure pel Fisco e per i possidenti; che un marito ha almeno il terzo della sua rendita, ipotecato sulla incostanza di sua moglie, ecc.
So bene che aprite già la bocca per parlarmi di costumi, di politica, di bene e di male..., ma, mio caro minotaurizzato, la felicità non è forse il fine che debbono proporsi tutte le società? Non è forse questo che fa sì che i poveri re si affannano tanto pei loro popoli? Ebbene! La donna onesta non ha come essi, è vero, troni, gendarmi, e tribunali; ella non ha che un letto da offrirgli, ma se le nostre quattrocentomila donne rendono felici, con questa ingegnosa macchina, un milione di celibi, e per sopramercato i loro quattrocentomila mariti, non raggiungono esse, misteriosamente e senza fasto, lo scopo che un governo ha in vista, vale a dire quello di dar la più gran somma possibile di felicità alle masse?
— Si, ma i dispiaceri, i figli, le disgrazie...
— Ah! permettetemi di porre in luce la parola consolatrice mediante la quale uno dei nostri più spiritosi caricaturisti termina una delle sue caricature: L’uomo non è perfetto! — Basta dunque che le nostre istituzioni non abbiano più inconvenienti che vantaggi, perchè siano eccellenti: dal momento che il genere umano non è situato, socialmente parlando, fra il bene e il male, ma fra il male e il peggio. Ora, se il lavoro che abbiamo attualmente compiuto ha avuto per iscopo di diminuire il peggio delle istituzioni matrimoniali, svelando gli errori e i nostri pregiudizii, sarà certo uno dei più bei titoli che un uomo possa presentare per esser classificato fra i benefattori dell’umanità. L’autore non ha egli cercato, armando i mariti, di dar maggior ritegno alle donne, e per conseguenza maggior violenza alle passioni, maggior denaro al Fisco, maggior vita al commercio e all’agricoltura? Grazie a quest’ultima Meditazione, egli può lusingarsi di aver completamente obbedito al voto di eclettismo che ha formulato intraprendendo questo lavoro, e spera aver prodotto, come un avvocato generale, tutti i documenti del processo, senza però dar le sue conclusioni. Infatti, che importa di trovar qui un assioma? Volete che questo libro sia lo sviluppo dell’ultima opinione che abbia avuto Tronchet, il quale sulla fine de’ suoi giorni, pensava che il legislatore aveva considerato nel matrimonio molto meno gli sposi che i figli? Anch’io lo voglio. Anguratevi piuttosto che questo libro serva di prova alla perorazione di quel cappuccino, che, predicando davanti ad Anna d’Austria, e vedendo la regina e le sue dame molto corrucciate, a causa de’ suoi argomenti troppo vittoriosi sulla loro fragilità, disse loro scendendo dalla cattedra di verità: — «Ma voi siete tutte donne oneste, e siamo noi altri, che disgraziatamente abbiamo per madri delle Samaritane.» Sia pure. Padronissimi di cavarne quella conseguenza che vi piacerà; perchè io penso, che è difficilissimo di non porre insieme due idee sopra questo argomento, che non siano un po’ giuste. Ma il libro non è stato fatto in pro o contro al matrimonio, ed egli non ve ne doveva che la più esatta descrizione.
Se l’esame della macchina, può condurci a perfezionare un ingranaggio, se nettandone un pezzo rugginoso abbiamo dato maggiore slancio a questo meccanismo, accordate un salario all’operajo. Se l’autore ha avuto l’impertinenza di dire verità troppo dure, se ha troppo spesso generalizzato fatti particolari, e se ha troppo trascurato i luoghi comuni di cui si suol servirci per incensar le donne da tempo immemorabile, ah! che egli sia crocifisso! ma non gli attribuite intenzioni ostili contro l’istituzione in sè stessa; egli non l’ha che con le donne e con gli uomini. Egli sa che, dal momento che il matrimonio non ha rovesciato il matrimonio, è inattaccabile; e, dopo tutto, se esistono tanti reclami, ciò è forse perchè l’uomo non ha memoria se non per i suoi mali, e perchè accusa sua moglie, come accusa la vita, perchè il matrimonio è una vita nella vita.
Nondimeno le persone che hanno l’abitudine di formarsi una opinione leggendo un giornale, direbbero forse male di un libro, che spingesse troppo lungi la mania dell’eclettismo; allora, se occorre ad essi, assolutamente, qualche cosa che abbia l’aria d’una perorazione, non è impossibile di darne loro una.
E poichè alcune parole di Napoleone, servirono di esordio a questo libro, perchè non finirebbe com’ha incominciato? In pieno Consiglio di Stato, dunque, il primo console pronunziò questa frase fulminante, che fa, tutto in un tempo l’elogio e la satira del matrimonio, e il riassunto di questo libro: Se l’uomo non invecchiasse, non gli darei moglie!
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