MEDITAZIONE XXII. Delle peripezie.

La parola peripezia è un termine di letteratura che significa colpo di teatro.

Far nascere una peripezia in un dramma, nel dramma che recitate, è un mezzo di difesa tanto facile ad intraprendersi, che il successo ne è certo. Mentre ve ne consigliamo l’impiego, non ve ne dissimuleremo punto i pericoli.

La peripezia conjugale può paragonarsi a quelle belle febbri che uccidono un individuo ben costituito o ne restaurano per sempre la vita. Perciò, quando una peripezia riesce, getta per degli anni una donna nelle saggie regioni della virtù.

Tutto al più questo mezzo è l’ultimo di tutti quelli che la scienza ha permesso di scoprire fino ad oggi.

Il San Bartolomeo, i Vespri Siciliani, la morte di Lucrezia, i due sbarchi di Napoleone a Fréjus, sono peripezie politiche. Non v’è permesso di farne nascer delle sì vaste; ma, conservate tutte le proporzioni, i vostri colpi di teatro conjugali non saranno per ciò meno potenti di quelli.

Ma siccome l’arte di crear le situazioni e di cangiare per mezzo di avvenimenti naturali, la faccia delle scene, costituisce il genio, che il ritorno di una donna alla virtù, d’una donna il cui piede lascia già qualche impronta sulla sabbia leggera e dorata dei sentieri del vizio, è la più difficile di tutte le peripezie, e che il genio non s’insegna e non si dimostra, il laureato in diritto conjugale, si trova costretto di confessare la sua impotenza a ridurre in principii fissi una scienza, tanto cangiante quanto le circostanze, tanto fuggitiva quanto l’occasione, tanto indefinibile quanto l’istinto.

Per servirci d’una espressione che Diderot, D’Alembert e Voltaire non hanno potuto naturalizzare, malgrado la sua energia, una peripezia conjugale si subodora.

Perciò la nostra sola risorsa sarà quella di schizzare imperfettamente qualche situazione conjugale, imitando quel filosofo degli antichi giorni, il quale, cercando invano di spiegarsi il moto, camminava dinanzi a sè per tentare d’afferrarne le leggi inafferrabili.

Un marito avrà, secondo i principii registrati nella Meditazione sulla polizia, espressamente proibito a sua moglie di ricever le visite del celibe che egli sospetta dover essere il di lei amante; ella ha promesso di non vederlo più mai.

Sono queste scenette d’interno che noi abbandoniamo alle immaginazioni matrimoniali. Un marito le disegnerà, assai meglio di noi, riportandosi col pensiero a quei giorni nei quali dei deliziosi desiderii hanno provocato sincere confidenze, o in cui i moventi della sua politica hanno fatto muover qualche macchina destramente preparata.

Supponiamo, per metter maggior interesse in questa scena normale, che siate voi, voi marito che mi leggete, la cui polizia, accuratamente organizzata, scopre che vostra moglie, profittando delle ore consacrate ad un pranzo ministeriale, al quale essa vi ha forse fatto invitare, debba ricevere il signor A. Z.

Vi sono tutte le condizioni volute per procurare una delle più belle peripezie possibili.

Voi tornate proprio a tempo, perchè il vostro arrivo. coincida con quello del signor A. Z., perchè non vi consilieremmo un intermezzo troppo lungo. Ma come rientrate in casa? Non più secondo i principii della Meditazione precedente. Da uomo infuriato, dunque? Nemmeno. Voi arrivate con aria di semplicione, di stordito che ha dimenticato la sua borsa o la sua memoria pel ministro, il suo fazzoletto o la sua tabacchiera.

Allora, o sorprenderete i due amanti assieme, o vostra moglie, avvertita dalla cameriera, avrà nascosto il celibe.

Impadroniamoci di queste due situazioni uniche.

Qui noi faremo osservare che tutti i mariti debbono essere in misura da produrre il terrore nel loro domicilio e preparare lungo tempo innanzi qualche due settembre matrimoniale.

Perciò un marito, dal momento in cui sua moglie ha lasciato scorgere qualche primo sintomo, non mancherà mai di dare, di quando in quando, la sua opinione personale sulla condotta da tenere per uno sposo nelle grandi crisi conjugali.

— Io – direte voi – non esiterei ad uccidere un uomo che sorprendessi alle ginocchia di mia moglie.

A proposito d’una discussione che avrete suscitata, sarete costretto a pretendere che la legge avrebbe dovuto dare ad un marito, come agli antichi Romani, diritto di vita e di morte sui suoi fanciulli, onde potesse uccidere gli adulterini.

Queste feroci opinioni, che non v’impegnano a nulla, imprimeranno un salutare terrore a vostra moglie; voi le enuncerete anzi ridendo, dicendole: Oh! mio Dio, sì, mio caro amore! ucciderei con molto garbo! Ti piacerebbe essere uccisa da me?

Una moglie non può mai esimersi dal temere che questa celia non divenga un giorno cosa seria, perchè vi è ancora dell’amore in quei delitti involontarii; poi le donne sapendo meglio di chiunque dir la verità ridendo, sospettano qualche volta i loro mariti di adoperare questa astuzia femminina.

Allora, quando uno sposo sorprende sua moglie con un amante, anco in mezzo ad un’innocente conversazione, la sua testa vergine ancora, deve produrre l’effetto mitologico della celebre Gorgona.

Per ottenere una peripezia favorevole in questa circostanza, occorre, secondo il carattere di vostra moglie, o recitare una scena patetica alla Diderot, o far dell’ironia, come Cicerone, o saltar sulle pistole cariche a polvere ed esploderle anco, se giudicate indispensabile un grande scandalo.

Un marito scaltro s’è trovato assai contento di una scena di sensibilità moderata.

Egli entra, vede l’amante e lo scaccia con uno sguardo. Il celibe è appena partito, che egli cade alle ginocchia di sua moglie, declama una tirata, ove fra le altre frasi, vi era questa: Come! Mia cara Carolina, io non ho dunque saputo amarti?

E piange; piange anch’essa, e questa lagrimevole peripezia non ebbe nulla d’incompleto.

Noi spiegheremo, parlando della seconda maniera con cui può presentarsi la peripezia, i motivi che obbligano un marito a modular questa scena, sul grado più o meno elevato della forza femminina.

Continuiamo!

Se la vostra felicità vuol che l’amante sia nascosto, la peripezia sarà assai più bella.

Per poco che l’appartamento sia stato disposto secondo i principii consacrati nella Meditazione XIV, riconoscerete facilmente il punto dove si è celato il giovinotto, anche se si fosse, come don Giovanni di lord Byron, appiattato sotto il cuscino di un divano.

Se per caso il vostro appartamento è in disordine, voi dovete averne una conoscenza assai perfetta, per sapere che non vi sono davvero due punti, nei quali un uomo possa mettersi.

Finalmente, se per qualche diabolica inspirazione, egli si fosse fatto tanto piccolo, da essersi ficcato in un ritiro inimmaginabile (perchè si può aspettarci tutto da un celibe), ebbene, o vostra moglie non potrà esimersi dal considerare questo punto misterioso, o fingerà di gettar gli occhi sopra un punto affatto opposto, e allora nulla è più facile ad un marito che tendere una piccola trappola a sua moglie.

Scoperto il nascondiglio, correte dritto sull’amante. E lo incontrerete...

In quel momento procurate di esser bello. Tenete sempre la testa in fiera attitudine alzandola con aria di superiorità. Questa attitudine, aggiungerà molto all’effetto che dovete produrre.

Il più essenziale dei vostri obblighi consiste, in questo momento, nello schiacciare il celibe con una frase rimarchevolissima, che avrete avuto tempo d’improvvisare, e dopo averlo atterrato, gli indicherete freddamente che può uscire.

Sarete gentilissimo, ma tagliente quanto la scure del boja, e più impassibile della legge. Questo glaciale disprezzo, produrrà probabilmente una peripezia nello spirito di vostra moglie. Nessun grido, nessun gesto, nessuna sfuriata.

«Gli uomini delle alte sfere sociali, ha detto un giovine autore inglese, non somigliano a quella gente da nulla, che non potrebbe perdere una forchetta, senza suonar l’allarme in tutto il quartiere.»

Partito il celibe, vi trovate solo con vostra moglie; e in questa situazione, dovete riconquistarla per sempre.

Infatti, vi ponete dinanzi a lei, prendendo una di quelle arie, la cui calma affettata tradisce le emozioni più profonde; poi sceglierete nelle idee seguenti che noi vi presentiamo in forma d’amplificazione rettorica, quelle che potranno convenire ai vostri principii: Signora, non vi parlerò, nè dei vostri giuramenti, nè del mio amore; perchè avete troppo spirito, ed io troppa fierezza per opprimervi con le solite querimonie che tutti i mariti sono in diritto di fare in questo caso; allora il loro minimo difetto è quello di aver troppa ragione. Non avrò nemmeno, se posso, nè collera, nè risentimento. Non sono io l’oltraggiato; perchè ho troppo cuore per essere spaventato da questa opinione comune, che copre quasi sempre giustissimamente di ridicolo e di riprovazione un marito, la cui moglie si porta male. Io mi esamino, e non vedo il perchè ho potuto meritare come la maggior parte di essi, d’esser tradito. Io vi amo ancora. Io non ho mai mancato, non ai miei doveri, perchè non ho trovato nulla di penoso nell’adorarvi; ma ai dolci obblighi che ci impone un verace sentimento. Voi avete tutta la mia confidenza, e gerite il mio patrimonio. Non vi ho nulla ricusato. Ed ecco, la prima volta che vi mostro un volto, non dirò severo, ma esprimente rimprovero. Nondimeno, lasciamo andar ciò, perchè io non debbo far la mia apologia in un momento in cui voi mi provate così energicamente, che mi deve mancar qualche cosa, ch’io non sono destinato dalla natura a compier l’opera difficile della vostra fortuna. Vi dimanderò dunque, parlando come amico, come avete potuto esporre la vita di tre esseri in un tempo... Quella della madre dei miei figli, che mi sarà sempre sacra; quella del capo della famiglia, e infine quella di colui che... amate. (Ella si getterà forse ai vostri piedi. Però non bisognerà permettere che vi rimanga; ella ne è indegna.) Perchè... voi non mi amate più, Elisa. Ebbene, mia povera creatura (non la chiamerete una povera creatura, che nel caso in cui il delitto non fosse stato commesso), perchè ingannarsi? Perchè non me lo dicevate? Se l’amore si estingue fra due sposi, non resta forse l’amicizia e la confidenza? Non siamo forse due compagni, uniti per compiere la stessa strada? Forse che, lungo la via, l’uno non dovrà mai stender la mano all’altro, per rialzarlo o per impedirgli di cadere? Ma io dico forse troppo, e ferisco la vostra fierezza... Elisa!... Elisa!

Che diavolo volete che risponda una donna? Vi è necessariamente peripezia.

Sopra cento donne, esiste almeno una mezza dozzina di creature deboli, le quali, in questa grande scossa tornano forse per sempre ai loro mariti, come gatte che, scottate dall’acqua bollente, temono poi anco la fredda. Nondimeno questa scena è un vero alessifarmaco, le cui dosi debbono esser temprate da mano prudente.

Per certe donne, dalle fibre molli, le cui anime sono dolci e timide, basterà, mostrando il nascondiglio, ove sta l’amante, dire: Il signor A. Z. è lì (Si alzano le spalle.) Come potete arrischiare un giuoco da far ammazzar due brave persone? Me ne vado; fatelo uscire; e che ciò non succeda più.

Ma esistono donne il cui cuore, troppo fortemente dilatato, si aneurizza in queste terribili peripezie; altre nelle quali il sangue si guasta, e che fanno perciò gravi malattie. Alcune sono capaci di diventar pazze... E non è senza esempio, d’averne vedute di quelle che si avvelenavano o che morivano di morte subitanea; ma noi non crediamo che vogliate la morte del peccatore.

Nondimeno, la più graziosa, la più bella e la più galante di tutte le regine, la sfortunata Maria Stuarda, dopo aver veduto uccider Rizzio quasi nelle sue braccia, non amò meno il conte di Bothwell; ma era una regina, e le regine hanno una natura a parte.

Supporremo dunque, che la moglie, il cui ritratto ha ornato la nostra prima Meditazione, sia una piccola Maria Stuarda; e non tarderemo a rialzare il sipario, pel quinto atto di questo gran dramma chiamato Matrimonio.

La peripezia conjugale può scoppiar dappertutto e mille accidenti indefinibili la faranno nascere. Ora sarà un fazzoletto da naso, come nel Moro di Venezia, o un pajo di pantofole, come nel Don Giovanni: ora sarà l’errore di vostra moglie che esclamerà: «Caro Alfonso!» invece di: «Caro Adolfo!» Insomma, spesso un marito, scorgendo che sua moglie è piena di debiti, andrà a trovare il più forte dei di lei creditori, e lo condurrà in casa sua una mattina, per prepararvi una peripezia.

— Signor Josse, voi siete orefice, e la passione che avete di vendere i giojelli non è uguagliata che da quella di esserne pagato. La signora contessa vi deve trentamila franchi. Se volete averli domani (bisogna sempre andare a trovar l’industriale alla fine del mese) venite da lei domani a mezzogiorno. Suo marito sarà nella sua camera; non ascoltate nessuna parola; non obbedite ad alcun segno che potrà farvi per impegnarvi a non parlare. Dite tutto arditamente, ed io pagherò.

Insomma, la peripezia è nelle scene del matrimonio ciò che le cifre sono nell’aritmetica.

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Tutti i principii di alta filosofia conjugale, che animano i mezzi di difesa indicati da questa seconda parte del nostro libro, sono presi nella natura dei sentimenti umani; noi li abbiamo trovati sparsi nel gran libro del mondo. Infatti al modo istesso che le persone di spirito applicano indistintamente le leggi del gusto, quantunque sarebbero spesso fortemente imbarazzate nel doverne dedurre i principii: così abbiamo veduta buon numero di genti appassionate impiegar con rara fortuna gli insegnamenti che abbiamo sviluppati, e in nessuno di essi vi era un piano prestabilito. Il sentimento della propria situazione non rivelava loro che dei frammenti incompleti d’un vasto sistema; simili in ciò a quei sapienti del sedicesimo secolo, i cui microscopi non erano tanto perfezionati da permetter loro di scorgere tutti gli esseri l’esistenza dei quali avevano potuto dimostrare col loro genio paziente.

Noi speriamo che le osservazioni già presentate in questo libro e quelle che debbon loro succedere, saranno di natura tale da distrugger l’opinione che fa considerare dagli uomini frivoli, il matrimonio come una sinecura.

Secondo noi, un marito che si annoja, è un eretico; anzi è un uomo necessariamente al di fuori della vita conjugale, e che non la concepisce nemmeno. Sotto questo rapporto, forse, queste Meditazioni denunzieranno a parecchi ignoranti, i misteri di un mondo davanti al quale rimanevano con gli occhi spalancati senza vederlo.

Speriamo inoltre, che questi principii, saggiamente applicati potranno operar non poche conversioni, e che fogli quasi bianchi che separano questa Seconda Parte della Guerra Civile, vi saranno molte lagrime e molti pentimenti.

Sì, sulle quattrocentomila donne oneste che abbiamo tanto accuratamente elette in mezzo a tutte le nazioni europee, noi vogliamo credere che non ve ne saranno che un certo numero, trecentomila, per esempio, le quali saranno tanto perverse, tanto seducenti, tanto adorabili e tanto bellicose, da inalzar lo stendardo della Guerra Civile.

— Alle armi! dunque. Alle armi!

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