MEDITAZIONE XXI. L’arte di rientrare in casa.

Incapace di dominare i bollenti trasporti della propria inquietudine, più d’un marito commette l’errore di recarsi al di lei appartamento e di entrare presso sua moglie per trionfare della sua debolezza, come quei tori di Spagna che, eccitati dal banderillo rosso, sventrano colle loro corna furiose, i cavalli e i matadores, picadores, toreadores e compagnia bella.

Oh! rientrare con aspetto timido e dolce, come Mascarillo che aspettandosi le bastonate, diventa lieto come un fringuello, trovando il suo padrone di buon umore!... ecco una cosa da uomo sapiente!...

— Sì, mia cara amica, so che nella mia assenza voi aveste tutto il diritto di fare del male! Nel vostro caso un’altra donna avrebbe forse gettato la casa dalle finestre e voi non avete infranto che un vetro! Dio vi benedica per la vostra clemenza.

Diportatevi sempre così, e potrete far calcolo sulla mia riconoscenza.

Tali sono le idee che debbono manifestare i vostri modi e la vostra fisionomia; ma in voi stessi dite: «Egli è forse venuto!»

Assumete sempre un aspetto affabile in quell’appartamento. È una delle leggi conjugali che non soffrono eccezione.

Ma l’astuzia sta nel non uscire di casa che per rientrarvi quando la polizia ci ha svelato una cospirazione, e nel sapervi rientrare a tempo! Questi sono insegnamenti impossibili a formulare.

Qui è tutta scaltrezza e tatto. Gli avvenimenti della vita sono sempre più fecondi dell’immaginazione. Così noi ci accontenteremo di fornire il meglio possibile questo libro di una storia degna d’essere registrata negli archivi dell’abbazia di Thélème. Essa avrà il grande merito di svelarvi un nuovo mezzo di difesa leggermente indicato da un aforisma del professore, e di mettere in pratica la morale dell’accennata Meditazione, unico modo per istruirvi:

Il signor di B..., ufficiale d’ordinanza, e pel momento comandato in qualità di segretario presso Luigi Bonaparte re d’Olanda, si trovava al castello di Saint-Leu, vicino a Parigi, dove la regina Ortensia teneva la sua corte, e dove tutte le dame di compagnia l’avevano seguita. Il giovane ufficiale era molto simpatico e biondo; egli aveva l’aria affettata, pareva un po’ troppo contento di sè stesso e molto infatuato dell’ascendente militare, benchè discretamente spiritoso e complimentosissimo.

Ma perchè le sue galanterie erano diventate intollerabili a tutte le dame della regina?

La storia non lo dice. Aveva forse commesso lo sbaglio di fare a tutte l’egual complimento? Precisamente. Ciò per lui era astuzia.

Egli adorava in quel momento una di esse, la signora contessa di ***. La contessa non ardiva difendere il suo amante, perchè avrebbe così palesato il suo segreto, e per una bizzarria molto spiegabile, gli epigrammi più atroci uscivano dalle sue graziose labbra, mentre nel suo cuore albergava l’immagine elegante del grazioso militare.

C’è una specie di donne presso le quali fanno fortuna gli uomini un po’ vanitosi, il cui abbigliamento è elegante ed il cui piede è ben calzato. Sono le donne che posano delicate e compassate. La contessa era, esclusa l’affettazione che in lei aveva un carattere particolare d’innocenza e di verità, una di quelle persone. Essa apparteneva alla famiglia di N..., nella quale i bei modi sono conservati tradizionalmente.

Suo marito, il conte di ..., era figlio della vecchia duchessa di L..., e aveva curvato il capo davanti all’idolo del giorno: Napoleone, avendolo recentemente nominato conte, egli si lusingava d’ottenere un’ambasciata; ma aspettando, s’accontentava d’una chiave da ciambellano; e se lasciava sua moglie presso la regina Ortensia, era senza dubbio per calcolo d’ambizione.

— Figlio mio, gli disse una mattina sua madre, vostra moglie si smalizia... Essa ama il signor di B***.

— Voi scherzate, madre mia. Il signor di B*** m’ha prestato jeri cento napoleoni.

— Se voi non calcolate vostra moglie più del vostro denaro, non parliamone più! concluse bruscamente la vecchia signora.

Il futuro ambasciatore spiò i due amanti, e fu giocando al bigliardo con la regina, l’ufficiale e sua moglie, ch’egli ebbe una di quelle prove leggiere in apparenza, che sono irrecusabili agli occhi d’un diplomatico.

— Sono più avanti di quel che non credono essi stessi! disse il conte di *** a sua madre. E versò nell’animo tanto sapiente quanto scaltro della duchessa, il dolore profondo da cui era oppresso per quella disgustosa scoperta. Egli amava la contessa, e sua moglie, senza aver precisamente ciò che si chiamano principii, era maritata da poco tempo per non essere ancora attaccata ai suoi doveri. La duchessa s’incaricò di scandagliare il cuore della sua nuora. Essa giudicò che v’era ancora una risorsa in quest’anima giovine e delicata, e promise a suo figlio di perdere per sempre il signor di B***.

Una sera, in un momento in cui le partite erano finite, mentre tutte le signore cominciavano una di quelle discussioni famigliari nelle quali avviene lo scambio delle maldicenze, e mentre la contessa faceva il suo servizio presso la regina, la signora di L... colse questa occasione per informare l’assemblea femminina del gran segreto d’amore del signor di B*** per sua nuora.

Fu un gridarle la croce addosso generale.

La duchessa aveva raccolto i voti, e fu decisa ad unanimità che quella che riuscirebbe a scacciare dal castello l’ufficiale, renderebbe un servigio insigne alla regina Ortensia, che ne era nauseata, e a tutte le signore che lo odiavano con ragione. La vecchia signora chiese l’ajuto delle belle cospiratrici, e ciascuna promise la sua cooperazione a tutto quanto potrebbe esser tentato. In quarantott’ore, l’astuta suocera diventò la confidente e di sua nuora e dell’amante.

Tre giorni dopo essa aveva lasciato sperare al giovane ufficiale il favore d’un abboccamento a quattr’occhi dopo la colazione. Fu combinato che il signor di B*** partirebbe il mattino di buon’ora per Parigi e ritornerebbe segretamente. La regina aveva annunciato il disegno di andare con tutto il suo seguito, in quel giorno, ad una caccia al cinghiale, e la contessa doveva fingere un’indisposizione. Il conte, essendo stato inviato a Parigi dal re Luigi, dava poca inquietudine. Per concepire tutte le perfidie del piano della duchessa, bisogna spiegare brevemente la disposizione dell’appartamento esiguo che occupava la contessa al castello.

Era situato al primo piano sopra i piccoli appartamenti della regina, e al principio d’un lungo corridojo. Si entrava immediatamente in una camera da letto a destra e a sinistra della quale erano due gabinetti. Quello di destra era un gabinetto di toeletta e quello a sinistra era stato recentemente trasformato in uno spogliatojo per la contessa.

Si conosce cos’è un gabinetto di campagna; quello non aveva che i quattro muri. Era decorato d’una tappezzeria grigia, e non vi era ancora che un divano e un tappeto; poichè il mobilio doveva essere compito fra pochi giorni. La duchessa non aveva concepito la sua perfidia che dopo queste circostanze, le quali, benchè leggiere in apparenza, la servirono ammirabilmente. Verso le undici ore una colazione è allestita nella camera.

L’ufficiale, ritornando da Parigi, lacerava con gli sproni i fianchi del suo cavallo. Giunge finalmente; consegna il nobile animale al suo palafreniere, dà la scalata ai muri del parco, corre al castello e arriva alla camera senza essere veduto da alcuno, nemmeno dal giardiniere!

Gli ufficiali d’ordinanza portavano allora, se vi ricordate, dei pantaloni aderenti, molto stretti, e un piccolo casco stretto e lungo, costume tanto favorevole per farsi ammirare nel giorno d’una rivista, quanto seccante in un convegno amoroso. La colazione fu d’una gajezza pazza. Nè la contessa, nè sua madre non bevevano vino; ma l’ufficiale, che conosceva il proverbio, tracannò placidamente tanto vino di Sciampagna quanto ne abbisognava per aguzzare il suo amore e il suo spirito. A colazione finita, l’ufficiale guardò la suocera che continuando la sua parte di complice, disse: Sento una carrozza, credo!... Ed uscì a precipizio. Tornò però dopo tre minuti. — È il conte! esclamò spingendo i due amanti nello spogliatojo. State tranquilli! disse loro. Prendete il vostro casco, replicò essa accompagnando con un gesto il giovinotto. Poi trasse la tavola nel gabinetto di toletta, e per sua cura il disordine della camera fu completamente riparato al momento in cui suo figlio apparve. — Mia moglie è malata?... domandò il conte. — No, amico mio, risponde la madre. Il suo male s’è dissipato prontamente; essa è alla caccia, almeno credo...

Poi gli fece un segno col capo, come per dirgli: Essi sono là... — Ma siete voi pazza, risponde il conte a voce bassa, di rinchiuderli così?.. — Voi non avete nulla a temere, riprese la duchessa, ho messo nel suo vino... — Che cosa? — Il più efficace di tutti i purganti. — In quel momento entrò il re d’Olanda. Veniva per chiedere al conte il risultato della missione di cui l’aveva incaricato. La duchessa cercò, con qualcuna di quelle frasi misteriose che sanno adoperare le donne, d’obbligare Sua Maestà a condur seco il conte. Appena i due amanti si trovarono nello spogliatojo, la contessa stupita, riconoscendo la voce di suo marito, disse sottovoce al seducente ufficiale: — Ah! signore, vedete a cosa mi sono esposta per voi... — Oh! mia cara Maria! il mio amore vi ricompenserà di tutti i sacrifizii, e ti sarò fedele fino alla morte. (A parte, fra sè: Oh! oh! qual dolore!) — Ah! esclamò la giovine che si torceva le mani sentendo camminare suo marito presso la porta dello spogliatojo — non c’è amore che possa pagare questi errori! Signore, non avvicinatevi... — O mia diletta, mio tesoro, disse egli inginocchiandosi con rispetto, io sarò per te quello che tu vorrai ch’io sia. Ordina... mi allontanerò. Richiamami... tornerò. Sarò il più sottomesso, come voglio essere... (Fra sè: Ho la colica!) il più costante degli amanti... O mia bella Maria!... (Ah! sono perduto... C’è da morirne!) — A questo punto l’ufficiale s’avviò verso la finestra per aprirla e gettarsi a capofitto nel giardino; ma vi scorse la regina Ortensia con le sue dame di compagnia. Allora si voltò verso la contessa portando la mano alla parte più decisiva della sua uniforme; e nella sua disperazione esclamò con voce fioca: — Scusate, signora, ma è impossibile di potermi trattener più a lungo. — Signore, siete pazzo? disse la giovane scorgendo che non era solamente l’amore che agitava quella faccia smarrita. — L’ufficiale, piangendo di collera, si curvò repentinamente sul casco che aveva gettato in un canto.

— Ebbene! contessa..., diceva la regina Ortensia entrando nella camera da letto d’onde il conte e il re erano appena usciti; come state? Ma dove è dunque? — Signora, gridò la giovane slanciandosi all’uscio del vestibolo, non entrate! In nome di Dio, non entrate! — La contessa tacque, poichè vide tutte le sue compagne nella camera. Essa guardò la regina. — Ortensia, che aveva tanta indulgenza quanta curiosità, fece un cenno e tutto il suo seguito si ritirò. Il giorno stesso, l’ufficiale partì per l’armata, giunse agli avamposti, cercò la morte e la trovò. Era un eroe, ma non era un filosofo.

Si crede che uno dei nostri pittori più illustri, avendo concepito per la moglie d’un suo amico un amore che fu condiviso, ebbe a soffrire tutti gli orrori di un consimile convegno, che il marito aveva preparato per vendetta; ma se si crede alla cronaca, vi fu una doppia vergogna; e più ragionevoli del signor di B***, gli amanti, sorpresi dalla stessa malattia, non si uccisero, nè l’uno, nè l’altra.

Il modo di condurci rientrando nella propria abitazione dipende da molte circostanze. — Esempio:

Lord Catesby era di una forza prodigiosa. Avviene che un giorno, ritornando da una caccia alla volpe alla quale aveva promesso di recarsi, senza dubbio per finzione, egli si dirige verso una siepe del suo parco dove diceva di vedere un magnifico cavallo.

Siccome aveva la passione dei cavalli, s’avanza per ammirarlo più davvicino. Egli scorge lady Catesby, in soccorso della quale era omai tempo d’accorrere per poco ch’egli fosse geloso del suo onore.

Si precipita sopra un gentiluomo e ne interrompe la criminosa conversazione afferrandolo per la cintura: poscia lo slancia al disopra della siepe nel mezzo di una strada.

— Riflettete, signore, che è a me che bisognerà d’ora innanzi rivolgersi per chiedere qualche cosa qui! gli disse senza collera.

— Ebbene! milord, rispose l’altro, avreste voi la compiacenza di gettarmi anche il cavallo?

Ma il lord flemmatico aveva già stretto il braccio di sua moglie, e le diceva gravemente:

— Vi biasimo molto, mia cara creatura, di non avermi prevenuto che dovevo amarvi per due. D’ora innanzi tutti i giorni pari, vi amerò per il gentiluomo, e gli altri giorni per me stesso.

Questa avventura è tenuta in Inghilterra per una delle più belle ritirate conosciute. È vero che era unire con rara fortuna, l’eloquenza del gesto a quella della parola.

Ma l’arte di rientrare in casa, i cui principii non sono che deduzioni nuove del sistema di cortesia e di dissimulazione raccomandati dalle nostre Meditazioni anteriori, non è che la preparazione costante delle Peripezie conjugali di cui stiamo per occuparci.

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