VI.

Scoperta così la serie dei fatti fondamentali, al di là dei quali non si può con la psicologia procedere per analisi e sintesi, rimane di mostrare in che modo quelli si complichino nei diversi ordini dei molteplici fenomeni psichici, diventando emozioni, desiderj, intelligenza, volontà selettiva ecc. Giustamente il Wundt dice, che il compito della psicologia ai nostri giorni, è di fare una storia dello sviluppo psichico; ma come si potrebbe perfettamente riuscirvi senza cominciare dallo stabilire la serie dei fatti elementari?

Potrebbe esimersi da questa ricerca, solamente chi, come alcuni fanno, ammetta un sostrato psichico, una specie di sostanza psichica, donde emanerebbero tutti gli altri fatti. A questa sostanza egli riserberebbe il nome di coscienza, trattando tutti i fenomeni come fatti variabili che scorrono su quello immutabile. A questa concezione si ribella oggi la scienza: perchè, o questo sostrato non è qualcosa di primitivo, di dato a priori, e allora il problema rimane quello di prima, perchè bisogna trovarne la genesi e lo scioglimento, cioè ridurlo ai fatti fondamentali e poi dimostrare come questi, complicandosi ed evolvendosi nell'individuo e nella specie, hanno potuto formare quel sostrato; o si crede che questo sia una realtà inconoscibile, data già come un in sè, e in tal caso bisogna rinunciare alla psicologia come scienza, e relegarla nella metafisica. Il concetto di un sostrato psichico immutabile deriva dalla coscienza del proprio me, coscienza di secondo grado che facilmente si spiega con le leggi dell'associazionismo.

Che cosa manca, perchè dai fatti elementari si possano derivare tutti gli altri, per quanto complessi? Manca l’associazione. Cioè manca il ricordo. Cioè manca la rappresentazione mentale. Il fatto rappresentativo, dal quale avevamo sempre fatto astrazione per trovare il fenomeno elementare, è quello che lo complica secondo tutte le leggi dell'associazionismo inglese e wundtiano.

Adunque l'unica difficoltà che ancora ci resta da superare, è la ricerca del processo rappresentativo: vale a dire la ricerca del modo con cui uno di quei fatti elementari diventi una rappresentazione, cioè un nuovo fatto di ordine rappresentativo, cioè più complesso. La quale difficoltà è anche la maggiore di ogni altra, e non mi sembra che sia stata affrontata di proposito nè dagli inglesi nè dal Wundt. A questo e a quelli del resto non si è presentata direttamente, perchè partono sempre da fatti già in tutto o in parte rappresentativi, come diverse volte ho spiegato; così che la rappresentazione era già un dato per essi, non avendo mai tentato di ridurla, cioè di varcarla per giungere ai fatti veramente primi elementari. Dire con gli inglesi che ogni percezione attuale richiama quelle che le sono legate per somiglianza o per contiguità, è fare della descrizione, ma non è ancora trovare il rapporto fra la percezione attuale e la rappresentazione che si rievoca: il problema sta nell'indagare come questa rappresentazione si produce, fondendosi in un fatto nuovo; il che evidentemente è qualcosa di più. Gli inglesi partono già dalla rappresentazione, anzi dalla immagine; e in ciò sta la ragione per cui son tratti a considerare tutti i fatti come d’ordine intellettivo.

Il Wundt, come s'è detto nel § I., trova associazioni più elementari di quelle descritte dal Bain, ma non giunge dove noi vorremmo. Dire che è per un'associazione simultanea, che noi udiamo completamente una parola di cui in realtà non abbiamo intese tutte le sillabe, non è ancora spiegare la legge psichica; resta ancora di sapere perchè alla mancanza di quelle sillabe suppliamo immediatamente con la loro rappresentazione, di cui però si ha coscienza come di fatto esterno. Come si vede, qui rasentiamo la questione senza sviscerarla. È vero che il Wundt trova il movente dell'associazione nella potenza sintetica e analitica della volontà che si esplica nel modo più semplice come attenzione e appercezione. Ciò potrebbe fornire una vera esplicazione dell’associazionismo, se non sapessimo (§ IV.) che la volontà intesa in questo senso, qualora dal fatto appercettivo si tolga ogni rappresentazione, rimane identificata nell'attività o nell'eccitabilità del sistema nervoso, o, sia pure, del cervello in particolare.

È questo il momento di notare una cosa importantissima. Quando gli autori in genere e specialmente il Wundt parlano di rappresentazione, spesso adoperano questo termine con doppio senso. La rappresentazione necessaria a esplicare tutti i fatti associativi, consiste in una immagine, per lo più visiva, di un fatto anteriore richiamata e associata con un fatto attuale in modo più o meno complesso. Ed è appunto questa rappresentazione di cui bisogna stabilire il processo; così che dicevamo che sotto l'associazionismo sta il problema della formazione delle rappresentazioni. Ma gli autori considerano il fatto percettivo attuale anch'esso già come una rappresentazione; ed ecco la ragione per cui non potevano pervenire ai fenomeni elementari. Di fatti il Wundt definisce la rappresentazione come = l'immagine che un oggetto genera nella nostra coscienza. Il mondo – in quanto lo conosciamo – si compone unicamente delle nostre rappresentazioni. Queste rappresentazioni sono identiche agli oggetti ai quali le riferiamo =. In altre parole, se io mi pungo, il dolore della mia puntura non diventa per me cosciente, cioè non costituisce il primo fatto psichico, che sotto forma d'immagine. Vale a dire che ogni fatto psichico consiste in una oggettivazione, dove ci sarà un soggetto, formato sempre da qualcosa più che una semplice attività volontaria, perchè deve riconoscere, che riceve l'immagine. Allora in che differisce l'attualismo wundtiano dall'intellettualismo herbartiano, dove tutto è rappresentazione, e dalla teoria del sostrato psichico, dove appunto si ammette qualcosa di immutabile che accoglie e riconosce le immagini attuali?

Come facilmente si scorge, vige ancora la teoria di un'anima che fa da centro ricevitore di impressioni che le siano inviate dagli organi di senso e che le appariscano come rappresentazioni delle risultanti psichiche delle trasformazioni che in quegli organi han luogo. Ma noi abbiamo dimostrato che un dolore deve prima e immediatamente essere percepito come dolore nel luogo stesso ove avviene (§ III). D'altra parte dire che vi è una rappresentazione senza una percezione diretta che la preceda, è come dire che vi è il ricordo di qualcosa di cui non si è mai avuto coscienza. Inoltre, al contrario di ciò che giustamente vorrebbe poi il Wundt, tutti i fatti secondo quel modo di vedere, si ridurrebbero a fenomeni puramente intellettivi: in fatti nella rappresentazione del dolore di una puntura si può trovare il dolore solamente in quanto questo dolore è stato prima qualcosa di reale, direttamente percepito. Non solo: ma lo stesso deve accadere anche nel fatto conoscitivo, che deve prima essere attuale e diretto, per diventare poi rappresentativo. La vista di questa penna con cui scrivo è un fatto immediato, perchè io ho coscienza diretta della modificazione che i raggi luminosi producono nella retina. La rappresentazione vien dopo, quando, rimossa la penna, io la veggo ancora nel pensiero. O può anche il fatto attuale complicarsi con altri fatti rappresentativi, in quanto io riconosco una penna, cioè complico la percezione attuale con le rappresentazioni di tutte le penne che ho vedute e con le nozioni rappresentative che a questo riguardo si sono formate nella mia psiche. Anche la parola immagine aiuta a mantenere il deplorevole equivoco. Essa viene usata come equivalente di rappresentazione, perchè la maggior parte delle rappresentazioni di percezioni passate, nell’uomo, e in certi individui specialmente, assume quasi sempre la forma di rappresentazioni visive, dette appunto immagini mentali. E al tempo stesso immagine è anche il fatto della percezione visiva reale e diretta; perciò ha doppio senso. Ma non vi ha dubbio che il fatto rappresentativo è posteriore a quello reale direttamente percepito.

Rimane così sgombra la via per risolvere il problema che ci eravamo proposto. Abbiamo da prima i fatti emotivi, conoscitivi e volontarj reali; e abbiamo in seguito le rappresentazioni di questi fatti, cioè i loro ricordi: tutto l’associazionismo si basa sopra le unioni dei fatti reali coi fatti rappresentativi. Così che, per ispiegare l’associazionismo non basta descrivere le associazioni simultanee e successive, esterne ed interne, di relazione e di evoluzione; bisogna altresì trovare quei rapporti tra i fatti fondamentali irreducibili da noi stabiliti, e poi il rapporto fra questi e le loro rappresentazioni, cioè il modo con cui un fatto reale diventa la sua rappresentazione.

Qui davvero ci può rendere preziosi servigi la legge di relazione degli inglesi, ben più che il volontarismo wundtiano; benchè per le ragioni dette sopra, gli inglesi non si servirono della legge di relazione, che a spiegare i rapporti tra fatti già tutti di ordine intellettivo. Ciò che dimostra ancora una volta che le leggi formulate sull’osservazione dei fatti sono sempre suscettibili di maggiore integrazione, rimanendo sempre esatte.

Secondo questa legge, ogni modo di coscienza consiste in ultima analisi nella percezione di una differenza, cioè di un mutamento. Si abbia dunque una percezione reale e immediata, che chiameremo P, nella quale si può effettuare la serie dei fatti fondamentali da noi stabilita, per esempio il dolore di una puntura, la nozione della forma, cioè di un luogo dove avviene, la coscienza dello sforzo reattivo a quel dolore. A questa percezione ne segue certamente un'altra, se l'individuo non perde in quel momento le condizioni fisiologiche che gli permettono l'uso dei sensi. Questa seconda percezione, che chiameremo P', per semplificazione si può pensare come il modo di coscienza che segue immediatamente P; in altre parole essendo P un fatto reale, esso deve dopo un certo tempo cessare come tale, onde il modo di coscienza si cambia in un altro diverso, non fosse che per la mancanza della percezione P. Allora tra P e P' si verifica la legge di relazione: e P’ nel modo più semplice, è percepito in quanto differisce da P. Or bene, come può nascere una rappresentazione di P? cioè come diventa possibile che P, quando non è più una percezione reale, rimanga come rappresentazione e immagine di quella? Appunto perchè, psicologicamente parlando, salvo le complicazioni, P' è una percezione in quanto differisce da P; e, fisiologicamente parlando, perchè la eccitazione nervosa di P’ subisce l’influenza di quella di P. Io percepisco il mio stato normale (P’ nel caso più semplice) dopo una puntura (P), in quanto, per esempio, ho coscienza in questo stato di un fatto emotivo piacevole, diverso dal fatto emotivo precedente doloroso. Adunque in quella seconda percezione io trovo questa prima come rappresentazione di un dolore. Onde, e in ciò l'attualismo ha ragione, la rappresentazione del dolore passato P non è un fatto che stia immagazzinato nello spirito e riapparisca chiamato da P’, ma è un fatto attuale immanente in P’, che non può sussistere indipendentemente da questo.

Abbiamo dunque due fatti P e P’, dei quali il secondo è percepito, sempre nel caso più semplice, come modificazione, cioè mutamento dal primo, per cui in esso P' scorgiamo qualcosa di P che non è più il P reale, ma la sua rappresentazione. Se a queste percezioni ne succedono altre, P, P'' ecc., verrà un momento in cui in una di queste percezioni, per. es. Pm, non vi sarà più alcuna traccia di P, perchè le nuove percezioni interposte annullano la relazione P–Pm. In questo medesimo istante sparisce ogni coscienza di P; cioè non vi è più rappresentazione di quella prima percezione, una puntura. Vale a dire che il ricordo dura quanto dura l’influenza di una percezione sulle susseguenti. Se dopo la prima puntura nulla più di simile si fosse verificato nel nostro campo psichico, presto ogni nozione di puntura si cancellerebbe nel nostro spirito. Ma se nella serie delle percezioni, una nuova percezione Pn si verifica identica o simile alla prima P, il rapporto P–Pn si ristabilisce appunto perchè P e Pn si trovano in relazione, cioè in rapporto di differenza, consimile rispetto alle percezioni frapposte.

A questo punto bisogna osservare, che una rappresentazione di un fatto non sarebbe nulla rispetto ad esso se non ne conservasse i caratteri. Perciò la rappresentazione del dolore della puntura di P serba in P' la sua energia emozionale, capace cioè, come sappiamo, di servire di stimolo a una reazione. In Pn, che è un’altra percezione del dolore di un'altra puntura, l’energia emotiva della rappresentazione di P si somma a quella del fatto emotivo reale. Basti questo, per non complicare troppo le cose, a dimostrare che Pn, anche supponendo che abbia una sensazione reale d'intensità non maggiore di quella di P, ha però maggiore energia psichica di P, sommando nella propria quella della rappresentazione di P. Perciò Pn avrà in proporzione una maggiore influenza sulle percezioni successive; cioè il suo ricordo sarà più tenace.

Ammettendo in fine che le percezioni P... e Pn... abbiano luogo in un essere umano, questi, per ragione di rapporti sociali, può servirsi del linguaggio e significare la percezione Pn con una parola, puntura. Questa parola aiuta il ricordo in un modo incommensurabile, perchè costituisce una immagine uditiva e visiva, che, alla sua volta, richiama le rappresentazioni d'ogni genere che le sono simili, formando un concetto.

Da quanto si è detto risulta, che, quando si dice rappresentazione di P, si fa un'astrazione perchè nel fatto non esiste, in sè, la rappresentazione di P; il che val quanto dire che questa rappresentazione non appare mai da sè alla coscienza, ma è sempre un fatto attuale complicato per associazione con una percezione reale. E su questo non importa indugiare, perchè giustamente ciò fu propugnato dall'attualismo del Wundt.

Per dimostrare come, avendo così spiegato il modo di formazione delle rappresentazioni, resta da vero spiegato l'associazionismo, che assurge al valore di legge psichica universale, basterà concretare in un caso le nostre astrazioni.

Per rimanere nel nostro solito esempio, una puntura, prendiamo un soggetto in cui una sì lieve causa di dolore produca effetti a bastanza esagerati, che si possano bene scorgere. E sia una donna isterica: se noi ci avanziamo verso di lei con uno spillo, minacciando in atto di volerla pungere, potremo osservare che questa donna o rimane indifferente, e non mostra percepire nemmeno la puntura, quando noi mettiamo in esecuzione la minaccia; o che, e questo è il caso che vogliamo studiare, al solo scorgere lo spillo, si dimostra in preda alla paura, con gli atti esterni che la caratterizzano, grido, pallore, pupilla larga, movimenti di fuga o a dirittura incoordinati. In questa donna si è verificato un fatto emotivo complesso, che si suole chiamare da molti autori, emozione. Il fatto primo, la vista di uno spillo, sarebbe in sè un fatto puramente conoscitivo. Ma quando l’isterica vede lo spillo trova in questa percezione complicata, per le ragioni dette sopra, le rappresentazioni di molti spilli, cioè il loro concetto in cui si trovano altresì associate le rappresentazioni del dolore provocato dall’oggetto.

Il Lange, e con lui Sergi, James Ribot, trovano che lo stato affettivo di una emozione simile dipende dai disturbi organici, e che l’idea comune, secondo cui il patema d'animo è quello che produce i movimenti straordinarj del corpo, dev'essere completamente rovesciata. Così, nel nostro caso, il sentimento che diciamo paura, sarebbe dovuto a una diminuzione dell’innervazione volontaria con costrizione vascolare e con gli spasmi dei muscoli organici. In vece una emozione di collera sarebbe dovuta un aumento dell'innervazione volontaria con dilatazione vascolare ed incoordinazione. Dunque sarebbero questi fatti organici che determinerebbero le emozioni. Ciò è vero, in quanto il carattere peculiare che specifica la paura, per es., dalla collera, è dato dalla natura di quei movimenti organici. Ma che cosa, alla sua volta, provoca da principio questi moti? Quegli autori rispondono che i disturbi organici sono provocati da un fatto intellettivo. Ora se per fatto intellettivo s'intende, come di solito, un fatto di conoscimento, non si capisce come questo fatto abbia forza di muovere l'organismo in un modo più tosto che in un altro. Bisogna invece credere che, in un fatto di associazione, come la vista di uno spillo complicata con le rappresentazioni precedenti, le rappresentazioni di piacere e dolore serbano più o meno il loro carattere, in modo che si riproduce più o meno il giuoco dei motivi.

Spieghiamoci ancora meglio. Perchè la nostra isterica, al vedere lo spillo, fa dei moti di paura, fra i quali i più caratteristici sono quelli di fuga? Questo non potrebbe accadere se le rappresentazioni del dolore passato, complicate con la percezione reale, non serbassero il loro valore emotivo (e non sarebbe assurdo dire rappresentazione emotiva, se non si attuasse in essa ciò che specifica il fatto emotivo?). Perchè allora questo fatto emotivo rappresentativo riproduce la serie dei fatti che si è avverata in quello reale; e, tra le altre cose, serve di condizione e di stimolo al medesimo atto volontario, che è quello di ritrarsi.

Qui si vede che la serie da noi stabilita tra i fatti fondamentali ha valore di legge, e spiega tutti i fatti d'associazione più complessi. I rapporti tra i fatti attuali sono il risultato della complicazione del nuovo con tutti i rapporti che includono le rappresentazioni che in questo fatto sono associate. Dove il piacere e dolore giuocano sempre allo stesso modo, come condizioni degli altri, e come stimoli ad essi; cioè legandoli di un rapporto condizionale e di un rapporto di mezzo a fine (§ V).

Si può adunque concludere che tutto lo sviluppo psichico è dato dalle associazioni di percezioni reali con rappresentazioni di percezioni passate, nel modo che abbiamo esplicato; e che le rappresentazioni sono tali in quanto conservano i caratteri delle percezioni a cui si riferiscono.

Bisogna però avvertire che, in queste complicazioni rappresentative, nulla di più facile che le rappresentazioni emotive perdano, per effetto di energie contrarie, la massima parte del loro tòno. Inoltre, tra i fatti della serie, come fra tutti i fatti stretti da rapporti d'ogni genere, avvengono delle continue reazioni di quelli meno fondamentali sopra i più fondamentali. Così che un fatto di ordine conoscitivo può reagire sopra quello emotivo al punto di togliergli ogni forza di stimolo. A questo molto coopera l'uso del linguaggio, che obbiettiva tanto le rappresentazioni d'ogni genere, da ridurle a puri schemi senza tòno. Ma questo capitolo dovrebbe diventare un volume, se io volessi provarmi ad esporre solamente lo schema di tutti i fatti psichici rappresentativi.

Faccio un'ultima osservazione. Trovare le leggi generali di un ordine di fenomeni, è il compito della scienza. La quale però non potrà mai perfettamente spiegare i fatti più complessi di quell’ordine, per l’impossibilità di vincere le difficoltà provenienti dallo stesso grado complesso di quei fenomeni. Mi spiego. Un oggetto di vetro cade in terra: se a un fisico si domanda, perchè si è rotto in quei frantumi conformati a quel modo, e non piuttosto secondo disegni diversi, egli risponderà con leggi più generali, dicendo che dipendeva dall'urto maggiore o minore, dalla maggiore o minore resistenza delle particelle, ecc. Ma se fosse invitato a dare precisa ragione del perchè il tale frantume si è staccato secondo la forma, mettiamo, di un triangolo, più tosto che di un quadrato, egli dovrebbe impiegare tutta la vita a valutare tutte le cause che in quel fatto si sono accumulate, e forse non riuscirebbe allo scopo. Così allo psicologo non si potrà mai, e tanto meno in questo momento, chiedere perchè, supponiamo, un presentimento vago di tristezza mi occupa a un certo punto, senza causa apparente. Troppi fatti fisiologici e psicologi ci bisognerebbe analizzare per dar conto approssimato di quello complesso. Per lo psicologo fin ora è già còmpito arduo quello di stabilire le leggi più generali che governano la psiche. A questo scopo, come si è visto, è diretto il presente studio.

Share on Twitter Share on Facebook