V.

Scoperti e analizzati i fatti psichici veramente elementari, non ci resta che farne la loro sintesi ponendoli in serie integrata: vale a dire fissando una serie in cui ogni fatto sia legato al precedente da un rapporto di dipendenza. Si avranno riuniti tutti i rapporti, cioè le leggi che regolano quei fatti.

Cerchiamo avanti tutto se una simile serie si possa stabilire basandosi esclusivamente sugli autori; benchè già sappiamo che i fatti di cui essi discorrono son quasi sempre fatti complessi, cioè fatti rappresentativi, e non elementari. Per il Bain, il fatto volitivo trova il suo antecedente n quello emotivo. D'altra parte, ogni volta che vi ha cambiamento di modo di coscienza vi ha discernimento, ne facciamo o no caso. Ma, come già ricordammo, i modi di coscienza dolorosi e piacevoli sospendono l’esercizio del discernimento, ed è invece la eccitazione neutra (!) che serve di transizione alla coscienza intellettiva, la quale si basa sulla differenza e somiglianza, che è un modo di differenza. Allora non potremmo stabilire altra serie che questa: sentimento — volizione: dove il discernimento non trova posto, perchè non è condizionato che da una eccitazione neutra, che, se non significa sentimento, non significa che il discernimento stesso. Di fatti il Bain dice che la distinzione, su cui il discernimento si basa, è proprietà primitiva dello spirito. Al contrario, la volizione è condizionata dal sentimento come stimolo.

Se non che il Bain, come sappiamo, trova la base prima della volizione, cioè il fatto volitivo più semplice, in un'attività spontanea indipendente dai sensi, dovuta alla tensione o tonicità dei muscoli, onde la tendenza ad agire. Allora la volizione, che abbiamo posta nella serie, ci si presenta come un fatto complesso risultante dell'addizione di un sentimento di piacere o dolore con questa attività corporale. In tal caso l'attività volitiva più semplice, nella serie, deve esser posta prima del sentimento; e la serie dei fatti semplici si ridurrebbe a: attività volontaria — sentimento, da una parte, e discernimento dall'altra. Ma il Bain osserva che noi avvertiamo quell'attività spontanea, cioè la tensione e l'azione muscolare, come sentimenti e come percezioni basate sulla distinzione dei movimenti muscolari. Quindi per il Bain tutti i fenomeni psichici devono ridursi ai fenomeni più semplici emotivi e intellettivi, i quali sono indipendenti, o, tutto al più, quello emotivo condiziona negativamente l’intellettivo, essendo a questo necessaria una eccitazione neutra: non possono dunque, sempre seguendo il Bain, porsi in serie integrata. In fine questo autore chiama i due fenomeni, le due faccie di un medesimo: la teoria della conoscenza, secondo lui, va intesa nel senso che ogni modo di coscienza ha un lato emozionale e uno intellettuale; però l’uno può prevalere sull’altro fino al punto di quasi annullarlo.

Quanto allo Spencer, sarebbe difficile, basandosi sui suoi principj, stabilire una serie qualunque dei fatti psichici; di fatti quelli più semplici rimangono nell’incoscienza, essendo automatici, e ci è quindi impossibile cercarne i rapporti. A misura poi che i cambiamenti psichici divengon troppo complicati per rimanere perfettamente automatici, cominciano a divenire sensitivi. Memoria, ragione e sensazione nascono al tempo stesso. L'unica cosa di cui ci si potrebbe valere per il nostro scopo, sarebbe riferirsi al luogo ove lo Spencer afferma esser l’impressione di resistenza l’elemento primordiale, universale, il substratum della coscienza. Ma sarebbe poi disagevole in questa così detta impressione di resistenza distinguere se sia più fondamentale la percezione dell'oggetto a cui resistiamo o quella della nostra reazione (volontà).

Per il Wundt, il primo elemento psichico è la sensazione pura che possiede il suo tono di sentimento. Il sentimento e la volontà vi si trovano come elementi psichici fondamentali: i quali due fatti non sono separabili che per astrazione: l'elemento volontario non si rivela che nel sentimento, il quale è legato con la sensazione. In fatti un movimento istintivo primitivo si genera come compagno della sensazione: esso produce la sintesi delle sensazioni, onde poi le rappresentazioni corrispondenti si ordinano nel tempo e nello spazio. Con la rappresentazione interviene l’appercezione, manifestazione volitiva, per cui il soggetto scorge immediatamente le sue proprie azioni interne; una realtà differente dal soggetto si riflette nel contenuto delle rappresentazioni della coscienza, e le relazioni che si producono fra esse si manifestano come sentimenti e movimenti dell'animo. La volontà dunque, interna ed esterna, è il fatto fondamentale; per cui la serie sarebbe: (sensazione) volontà-sentimento ecc.

Il Ribot fa precedere a ogni altro fatto psichico il desiderio, che, nella sua forma più semplice, si presenta come appetito, cioè impulso: a questo tien dietro il sentimento, piacere e dolore. Consimile indirizzo seguono il Fouillée e l'Horwicz.

Abbandoniamo ora gli autori , e riprendiamo quei femomeni, che nei paragrafi III e IV abbiamo scoperti come più elementari nei tre noti ordini di fatti psichici. Considerando il fatto emotivo elementare, costituito da un dolore o piacere immediatamente avvertito, cioè dalla coscienza del dolore o del piacere non ancora divenuto rappresentazione , già ci accorgemmo che nulla prima di ciò può percepire la nostra psiche. Dicemmo in fatti che il dolore e il piacere elementari non sono condizionati che dalla eccitabilità nervosa; cioè che, dato il sistema nervoso, parlando degli organismi che ne sono provvisti, e data la sua eccitabilità, si può avere senz'altro il fatto emotivo elementare. Deduttivamente, il sapere che la sostanza nervosa ha la proprietà di essere eccitabile, ci permette d'inferire che questa eccitazione, provocata dalla modificazione degli elementi nervosi, basta a offrire la base organica del dolore e piacere. Induttivamente, non abbiamo coscienza di altro che stia prima del fatto emotivo elementare. Perciò questo è il primo fatto psichico, non essendo condizionato che da fatti fisiologici e fisici. Quindi dovremo porlo per primo nella serie dei fenomeni psichici elementari. Confrontandolo con gli altri, ci accorgeremo che è anche il più fondamentale, perchè li condiziona.

Osserviamo ora il fatto discernitivo più semplice. Nel caso da noi analizzato, una puntura dicemmo che non potevamo considerare come semplice il discernimento di un me che subisco la puntura. E tanto meno l'associazione con i dati di altri sensi, come sarebbe l'immagine dell’oggetto pungente ecc. Aggiungo ora, perchè potrebbe sorgerne il dubbio, che nemmeno il fatto doloroso, fino a questo momento, può essere oggetto del discernimento: perchè se io distinguessi il dolore, avrei coscienza non del dolore primitivo ma della sua oggettivazione, cioè di una rappresentazione, fatto evidentemente posteriore. Adunque, vicino al dolore come fenomeno semplice emotivo non possiamo porre come discernitivo che la sua localizzazione, intendendo questo termine nel modo spiegato al paragrafo III. Il quale discernimento dicevamo che può essere composto (non complesso) e dare la coscienza di una forma, perchè la coscienza di una serie per esempio lineare di spazj, dove avvenga contemporaneamente la serie corrispondente di trafitte è coscienza di una linea spaziale.

Ora, se confrontiamo questo fenomeno conoscitivo elementare con quello emotivo, ci accorgiamo subito che non può mettersi prima di questo; non solo, ma che ne è condizionato. È chiaro che io non posso discernere lo spazio dove ha luogo la percezione dolorosa prima che questa percezione si verifichi; e che è il dolore appunto quello che condiziona la comparsa dell’atto conoscitivo. Questo primo rapporto condizionale basta a subordinare nella serie l’un fenomeno all'altro. Questa condizione, essendo unica del fatto discernitivo, assume un vero valore di causa. È vero che, se ogni causa è condizione dell'effetto, non ogni condizione è causa del condizionato; ma quando un fenomeno è condizionato da un altro e unico fenomeno del medesimo ordine di fatti, questo può chiamarsi propriamente la causa di quello, pur di non confondere il rapporto causale, che significa determinazione, col rapporto genetico, che significa derivazione.

Un altro rapporto presto si rivela tra i due fatti. Io percepisco il dolore (puntura) in un luogo (mano). La funzione del dolore è protettiva, onde il dolore giova ad avvertirci della presenza di alcunchè nocivo all'organismo. Perciò interviene, come ora vedremo, la volontà, per cui ritraggo la mano. Adunque il fatto emotivo si serve del fatto conoscitivo; perchè se avessi il sentimento doloroso senza discernere un luogo ove si verifica, non ritrarrei la mano. Adunque un rapporto di mezzo a fine si aggiunge a quello condizionale e causale, subordinando vieppiù il fatto conoscitivo a quello emotivo. Questi e i seguenti rapporti si ritroveranno, come accenneremo nel paragrafo seguente, nei fatti psichici corrispondenti di qualunque complessità.

Ci siamo già accorti, osservando il precedente rapporto di mezzo a fine, che ciò che integra i precedenti fenomeni è il fatto volontario. Sappiamo dal paragrafo IV che il più elementare dei fatti volontarj è costituito dalla coscienza immediata (non rappresentativa, come nei movimenti a coordinazione libera dove è intercalata la rappresentazione del movimento) del movimento di reazione, e non dalla semplice eccitazione. Dunque il fatto volontario segue ed è condizionato anch'esso dal fatto emotivo, perchè si reagisce appunto all'eccitazione dolorosa o piacevole. Fatto emotivo che, come dicemmo, costituisce lo stimolo al movimento. Ora, da questo rapporto causale, scaturisce direttamente il rapporto di mezzo a fine; dire che il fenomeno emotivo è lo stimolo di quello volontario, è come dire che il primo sottopone ai suoi scopi il secondo: ciò non ci riesce nuovo, perchè già sappiamo che l'atteggiamento teleologico (movimento verso un fine) è peculiare di ogni atto volontario. Adunque nella serie l'atto volitivo va posto dopo quello emotivo, e ne dipende condizionalmente e teleologicamente.

Resta ancora di confrontare questa volontà elementare col fenomeno discernitivo dello stesso ordine. Da quanto si è detto a proposito del rapporto di mezzo a fine intercedente fra il discernimento e il sentimento elementari, risulta chiaramente che l'atto volitivo ha bisogno di quello discernitivo per effettuarsi con tutte le sue qualità, compreso il suo atteggiamento teleologico. Così che non possiamo porre la volontà elementare prima del discernimento, dal momento che questo le segna il cammino. Per restare nei limiti strettamente scientifici, a questo riguardo dobbiamo dire che, ogni volta che vi ha discernimento, il sentimento agisce a traverso di esso sulla volontà.

Per tutto ciò che precede, la serie dei fenomeni psichici elementari resta fissata in questo modo: fatto emotivo – fatto conoscitivo – fatto volitivo, stretti l'uno all'altro dai rapporti or ora descritti; rapporti che hanno il valore di leggi generali, per essere quei fatti i primi e più fondamentali della psiche. E che sian veramente i primi ne fa fede la cura con la quale, a differenza di come fanno quasi sempre gli psicologi, abbiamo sceverato da essi ogni elemento rappresentativo. Se a questi fatti aggiungiamo le rappresentazioni, essi si complicano in associazioni innumerevoli, di cui le leggi restano però sottoposte a quei primi rapporti, dove alle azioni si sovrappongono le reazioni vicendevoli di quei fatti.

Si potrebbe a questo punto osservare che, in tutte le precedenti ricerche, ci siamo basati sopra un'esperienza fatta sul senso del tatto, che è il più semplice di tutti. Questa non è una obbiezione, in quanto: 1° è proprio del procedimento scientifico scegliere il caso più semplice per avere meno probabilità di errori o deviazioni; 2° il che per noi era ancor più indicato dalla ricerca medesima, ch'era di fatti elementari e semplici; 3° e in quanto il senso del tatto è fondamentale rispetto agli altri, come dimostra l'anatomia e comparata. Se, in luogo di considerare i fatti più semplici inducendo dal tatto, si considerano nel più differenziato fra gli organi di senso, quello visivo, sorgeranno difficoltà maggiori per l'osservazione diretta e indiretta, date dal fatto che qui i fenomeni rappresentativi hanno soverchiato e si sovrappongono completamente a quelli semplici fondamentali: ma nè questi nè i loro rapporti cambiano menomamente. E già che ho citato l'organo visivo, mi piace di osservare che è errata l'opinione di coloro, i quali credono che il piacere e il dolore dell’organo della vista si verifichino raramente, e in casi come quello chi riceve un colpo sull'occhio. In questo caso si tratta di nuovo di un dolore o piacere tattile. La sostanza nervosa per sè è indifferente a ricevere percezioni tattili, gustative, olfattive, ecc. La diversità della percezione dipende dal modo con cui la sostanza nervosa si pone in relazione con l'ambiente. Perciò, se bene siasi in alcuni punti specificata in papille tattili più perfettamente adattate a tal genere di percezione, può però meno perfettamente essere suscettibile di una percezione tattile dovunque si verifichi la possibilità di un urto sulla sostanza medesima. Ora, un colpo nell'occhio è certamente un dolore tattile, e non visivo. Un dolore visivo è in vece la percezione di più colori disarmonici, o di una luce intensa.

Ritornando alla nostra serie dei fatti elementari emotivo-discernitivo-volontario, a chi, come lo Spencer e il Wundt, li considera come i tre jati di un medesimo fenomeno, possiamo rispondere che ciò non è punto giustificato dalle induzioni psicologiche. In fatti noi troviamo questi fenomeni nella nostra coscienza come distinti; inoltre li troviamo come consecutivi; infine li troviamo come dipendenti l'uno dagli altri mediante molteplici rapporti. Questi rapporti non esisterebbero, cioè non potrebbero agire, se si trattasse di un unico fatto inconcepibilmente trino ed uno: e la psiche dovrebbe sempre rimanere stagnante in quell'unico fatto primo. Ma se mi si dice che l'un fatto muove l'altro, s'include che questi sieno due fenomeni distinti e agenti in vicendevoli azioni e reazioni.

L'opinione che vi sia un solo fatto fondamentale, che si può considerare sotto i tre diversi aspetti, è dovuta all'esigenza speculativa di unificare in qualche modo questi tre fatti, che altrimenti resterebbero mancanti di quella riduzione ultima, che è il desideratum di ogni scienziato. Cercherò di dimostrare che questa riduzione non può farsi nel campo della psicologia.

A questo punto, come si vede, ci si presenta alla mente un'ultima domanda. Ci troviamo noi da vero di fronte ai fenomeni più semplici possibili? o se ne possono trovare sotto a questi, altri ancora più semplici? In altri termini, è permesso ridurre ancora quei fenomeni in una unica unità fondamentale che li comprenda, come ci conduce a credere, a priori, la nostra esigenza monistica?

Certamente questa ricerca si può fare. Ma si noti, che alla psicologia non può offrire che una utilità filosofica. I fenomeni che abbiamo trovati bastano già, così come sono, a spiegare tutti gli altri fatti psichici. Ossia danno il contenuto psichico di tutti i multiformi e innumerevoli rapporti che l'associazione stabilisce servendosi della rappresentazione e della riproduzione, come vedremo in un ultimo paragrafo. Non solo, ma questi fatti elementari di sentimento, discernimento e volontà, sono veramente, oltre che i fondamentali, anche i più semplici fatti psichici: sappiamo che fatto psichico significa fatto di coscienza, e per la nostra coscienza quei dati sono gli ultimi a cui si può pervenire. Tanto vero questo, che essi ci si presentano come irreducibili fra loro, cioè come tre distinti al di là dei quali non si può andare. Adunque in psicologia bisogna fermarsi a questo punto. La filosofia può varcarlo, ma oltre quelli non troverà più dei fatti psichici, ma solo dei fatti appartenenti a quell’unità filosofica, che si può chiamare fisico-psichica. Vale a dire che la filosofia può ancora ridurre i fenomeni elementari psichici servendosi non più dei soli dati psicologici, ma insieme di quelli biologici e fisici. Onde non si perverrà a una unità psicologica, e la psicologia potrebbe farne a meno, perchè il nuovo dato non può menomamente modificare i rapporti stabiliti.

Tuttavia tentiamo la ricerca, e a posteriori troveremo convalidato ciò che già a priori abbiamo presagito. Ripetiamoci la domanda: i fatti elementari da noi stabiliti, sono essi suscettibili di una ulteriore riduzione? Che ciò sia possibile, ce ne fa garanzia una osservazione semplicissima. Tra i rapporti intercedenti fra loro, se ben si guarda, non abbiamo potuto fissare il più immediato e il più stretto dei rapporti che leghino l’un l'altro due fenomeni, cioè il rapporto genetico, per cui l'uno derivi dall'altro, cioè sia costituito da una trasformazione dell'altro. Se io fisso un fatto psicologico complesso qualsiasi, per esempio un sentimento di mestizia, o una idea costruttiva come una scoperta scientifica, io posso sempre trovare uno o più fenomeni con i quali il fatto in questione si trova legato da un rapporto genetico, cioè ne deriva, cioè è costituito dalla trasformazione dei loro elementi. Lo stesso non può dirsi dei fenomeni elementari della serie, dove non appare tale legame genetico: di fatti, se io dico, per esempio, che l’atto discernitivo semplicissimo di una serie di punti dolorosi è condizionato dalla percezione del dolore, non posso però affermare che l’un fatto derivi, sia costituito dall'altro. E a punto per la mancanza di questo rapporto genetico, noi siamo costretti a chiamare elementari tutti e tre questi fatti, trovandoli nella nostra coscienza irreducibili; perchè, se di essi uno derivasse da un altro, il primo non sarebbe più elementare, perchè potrebbe ridursi all'altro. Dunque noi abbiamo accettato quei tre fatti come primitivi, fondamentali, semplici, perchè non possono ridursi fra loro, cioè per la mancanza di un rapporto genetico.

Ma d'altra parte questa mancanza medesima ci offre garanzia, che non sia infruttuosa la ricerca propostaci, di una ulteriore riduzione ad un unico fatto, sia pure d'ordine diverso da quello psicologico. Di fatti, se quei fenomeni psichici elementari non derivano geneticamente l'uno dall'altro, bisogna supporre che ognuno abbia sotto di sè un sostrato da cui emani.

Qui abbiamo dimostrato che non ci aiuta più l'osservazione introspettiva: ricorriamo alla psicofisiologia. Allora, a base del fatto emotivo troviamo la modificazione degli elementi nervosi, cioè la loro eccitazione. Di fatti in questa eccitazione sta la causa diretta della nostra percezione piacevole o dolorosa. E a base del fatto discernitivo troviamo lo stesso elemento nervoso che si avverte, per esempio, come un punto dello spazio, e si avverte in quanto viene eccitato. Anche qui dunque la eccitazione nervosa sta sotto al fatto psichico, che, filosoficamente parlando, ne è la conseguenza. E finalmente, l'attività volontaria non è che la reazione nervosa. Ora, questa reazione non è che una eccitazione nervosa più o meno generale che risponde alla eccitazione locale iniziale. Ecco dunque raggiunta quell’unità di cui andavamo in traccia; unità che aduna al loro inizio tutti i fatti psichici nella eccitabilità. La quale non è dunque il sostrato del solo fatto volontario, come credono coloro che identificano il fatto volontario più semplice con l'attività, cioè la eccitabilità nervosa, ma è altresì il sostrato degli altri fenomeni, e, prima di tutto, del fatto emotivo che li condiziona tutti.

In fine, che cosa è l'eccitabilità se non la funzione del tessuto nerveo? Eravamo dunque nel vero quando si diceva che questa unità prima, in cui potrebbero ridursi i fenomeni della serie, non è una unità psicologica e la unificazione non ha valore psicologico. La psicologia non può trovar nulla prima di tre fatti elementari studiati.

Un'ultima osservazione. Sempre per una ricerca di valore puramente filosofico, si potrebbe sotto altro punto di vista domandarsi se i fenomeni in questione siano veramente semplici. La filosofia naturale ci dice che il concetto di semplice è relativo, e che in natura non si può trovare un fenomeno assolutamente semplice, perchè esso è sempre suscettibile di una ulteriore suddivisione all'infinito. Così, nel nostro caso, come l'unità fisica e chimica è costituita di atomi, così l'unità psicologica, e quindi ogni percezione, dev'esser costituita di elementi più semplici. Si noti che qui si tratta sempre di elementi psichici, cioè coscienti, benchè indistinti. Vale a dire che non si tratta più della riduzione dei tre fatti fondamentali a una unità che li comprenda, ma, anzi, della loro disintegrazione in elementi minori, ma della stessa natura. Ciò riconobbe già lo Spencer, che ammette che le differenze fra le sensazioni, che noi di solito abbiamo chiamato percezioni, siano risultato dei modi diversi d'integrazione di una sola unità primitiva, chiamata da lui urto nervoso. Però, urto nervoso, è un termine fisiologico, mentre si tratta di elementi che conservano la loro qualità psichica; perciò bisogna sostituirvi quello dell'Ardigò, che chiama i minimi identici, dalla combinazione dei quali si suppone formata la sensazione (percezione), protoestemi .

Questi protoestemi, alla lor volta, sono, teoreticamente parlando, suscettibili di esser divisi all'infinito. Vale a dire che i protoestemi sono per la psicologia quello che gli atomi sono per la fisica e per la chimica. Oggi ci si può domandare: è veramente scientifica questa corsa dietro all'infinitamente piccolo, ricercando sempre delle unità più elementari? Tutt'altro. L'atomo fisico e chimico considerato come unità finisce con l'essere un assurdo speculativo, perdendosi nel non-senso che è l'infinito. Di fatti alla scienza l'atomo non reca che una utilità gnoseologica, prestandosi alla composizione delle formole chimiche.

Ma sull'orizzonte scientifico già è sorta, come un sole di progresso, la teoria della energetica, che abolisce l'ipotesi antiscientifica (perchè contraria ai fatti di osservazione) dell'atomo e riporta ogni fatto a un principio di energia, che è un principio di rapporti e non di unità. Del pari in psicologia la ipotesi dei protoestemi non può aver valore di scoperta, perchè, se mai, essi sarebbero unità fisiologiche e non psicologiche; tanto vero che nè direttamente nè indirettamente possiamo averne coscienza, condizione di ogni fatto psichico. In vece la percezione, che ci si presenta come fatto uno, deve esser considerata come prodotto di rapporti, i quali perciò psicologicamente non sussistono come qualcosa in sè più semplice, ma come indivisibili nel risultato che è la percezione stessa.

Abbiamo così ancora una volta dimostrato che i fatti da noi posti in serie come elementari sono da vero i primi; al di là di essi, nemmeno la filosofia, se veramente scientifica, può trovare qualcosa psicologicamente più semplice.

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