Capitolo XI.LE GIORNATE DI PARIGI.

Dopo gli incendi dei comunisti toccava all'armata di Versailles giuocare la sua parte nel sinistro dramma che si eseguiva sul grande teatro!... L'Europa intiera vi assisteva con un interesse egoistico. Gli assalti dalla parte di Porta Maillot del Ponte Neuilly, d'Issy, dell'arco del Trionfo; i massacri di Clamart ed i mille altri scontri che erano avvenuti intorno alle Mura di Parigi a cui si era formata una barricata di cadaveri umani, tutto ciò non era stato che il preludio del grande atto.

In attesa della interessante e curiosa rappresentazione in cui si sarebbero veduti i fratelli d'una istessa terra gettarsi petto a petto gli uni sugli altri, inseguirsi di barricata in barricata... e fra i vortici infiammati dell'incendio che ardeva case, palazzi, barricate e soldati... il mondo aveva la febbre.

In Parigi ferveva intanto quella vita convulsa che annuncia la caduta d'un partito.

I federali accerchiati da ogni parte si sentivano perduti. Innanzi a loro, dietro loro, non v'era che una cosa di reale: la morte. Bisognava dunque dargli il benvenuto e lanciarsegli incontro nell'ebbrezza vertiginosa del delirio.

Dal 17 al 21 maggio, scrive quel bell'ingegno che è Petrucelli della Gattina, testimonio oculare dei tremendi fatti che si avvicendano nella grande metropoli francese, cento mila uomini con un'artiglieria di seicento e più pezzi – batterie di campagna, di forti e di ridotti compresi – davano l'assalto ai bastioni. La breccia era stata praticata in più punti, ma incompleta, e dietro la breccia si rizzavano barricate armate di cannoni. L'assalto non era dunque riescito ed il successo sembrava ancora aggiornato. Questa era la posizione di domenica sera.

Nella notte della domenica al lunedì non un colpo di cannone su tutta la linea, quella almeno che da sud-est si stende al sud-ovest. Ignoro cosa avvenisse dalla porta di Neuilly a quella di Saint-Ouen. Ed ecco che la mattina del lunedì ci svegliano, e la novella che i versagliesi sono in Parigi si spande di porta in porta, come un fremito di terrore. Il terrore era universale perchè l'esito della lotta sembrava incerto, ed il partito qualunque si fosse, non aveva a sperar mercè dal vincitore.

L'ingresso dei realisti aveva avuto luogo per queste quattro porte: la porta di Versailles, che corrisponde ad Issy fuori ed a Vaugirard dentro i bastioni; la porta di Sèvres, detta altrimenti di Point-du-Jour, che corrisponde alle batterie formidabili dei Moulineaux e di Billancourt fuori, ed a Grennelle dentro; la porta della Muette, donde dal Bois de Boulogne si arriva all'Ecole Militaire e al Champs de Mars; la porta di Saint-Ouen, ove comincia la Germania, e per la quale, venendo da Asnières, da Genevilliers e da tutte le numerose posizioni così disputate da due mesi, si entra in città, e svolgendo a manca si riesce dietro a Montmartre, la Chapelle, la Villette, e tutto il paese che al di là delle fortificazioni è occupato dai tedeschi.

Per la porta di Versailles, alle quattro del mattino del 22 i soldati entrarono senza bruciare una cartuccia. Il battaglione di federali che la teneva si ritirò al primo segnale di tromba che gl'intimò la resa dall'altra banda. Il capo di battaglione, di cui non mi ricordo il nome, fe' sonare la ritirata malgrado le rimostranze di qualcuno dei suoi uomini, e, mettendosi alla testa, dette l'ordine di abbandonare il posto. I federali videro in quest'ordine un tradimento e, gridando ad una voce: Nous sommes vendus! si ripiegarono in disordine e ripararono nel loro quartiere.

Alla porta del Point-du-Jour vi fu un simulacro di resistenza. Ma dopo pochi colpi scambiati, il capo di battaglione gridò: Siamo girati, si salvi chi può!

E dette il primo l'esempio.

Alcuni individui, senza capi, provarono di tenere la barricata. Ma coperti da un nugolo di obici, attaccati dal cannone, avendo appreso che i versagliesi erano di già entrati, si ritirarono all'Ecole Militaire.

Alla Muette, la lotta fu più seria e si prolungò fino alle ore pomeridiane.

Non so nulla ancora di ciò che avvenne a Saint-Ouen.

Dalle tre porte precedenti, battaglione dietro battaglione, reggimento dietro reggimento e brigata seguendo brigata, entrarono il 22 maggio circa quaranta mila uomini.

Alle 9 del mattino essi avevano occupato, senza resistenza, la stazione della ferrovia di Versailles, a Montparnasse, la caserma della strada di Babilonia, lo stabilimento de l'Ecole de l'État major, nella strada di Grenelle e gli Invalidi.

L'Ecole Militaire, al Champ de Mars, fu presa d'assalto, e tutto ciò che vi era dentro di vivente fu massacrato: «Nous y avons fusellè même les chats de la citoyenne la Commune» diceva un sotto uffiziale in una bettola vicino a casa mia. Il palazzo dell'Industria, ai Campi Elisi, tramutato in ambulanza, non era guardato che dalla bandiera bianca colla croce rossa di Ginevra. Fu preso. I feriti, 400 federalisti, non furono passati per le armi, come mi avevan detto, ma sono guardati a vista. Sono andato ad assicurarmene.

Ma qui i facili trionfi dell'esercito del signor Thiers cessarono.

La Comune aveva pigliate le determinazioni convenevoli, in previsione degli avvenimenti. Delescluze, il capo vero dell'ultimo periodo del regime comunalista, lasciò il ministero della guerra. Questi, il comitato centrale, il comitato di salute pubblica si raccolsero tutti all'Hôtel de Ville. I cinquantadue membri superstiti della Comune si sparpagliarono, recandosi ciascuno nel circondario che lo aveva nominato, e pigliandovi il comando supremo.

La parte ovest della città fu lasciata al suo destino ed alla difesa individuale di chi volle pigliarne l'iniziativa e la responsabilità. La Comune si decise a difendere i quartieri al nord-est ed una parte dei rioni del sud, vale a dire, si cedè senza lotta tutto il lato ovest della città che, partendo dalle vette di Batignolles giunge alle vette di Vaugirard, passando dal Faubourg St-Honoré, i Campi Elisi e l'Hôtel des Invalides.

A mezzodì, come per incantesimo, la parte ove la Comune voleva dar battaglia fu coperta di barricate. Tutto ciò che poteva sembrar utile a questo scopo fu preso nelle vie, nelle botteghe, nelle case. Quindi i ciottoli, che formavano il nucleo resistente dell'opera, ebbero un rivestimento di botti piene di terra e perfino di vino, di sacchetti di sabbia, di materassi, di coperte, di mobili, di guanciali di piume, di tutto insomma che poteva servir di riparo agli assaliti ed ammortire i colpi degli assalitori. Le case circostanti furono occupate.

In ogni angolo di strada stazionava a guardia un gruppetto di combattenti che, celato agli spigoli, faceva fuoco sull'avversario. Quando la strada era in potere di una sola delle parti, le finestre erano guarnite di cittadini, principalmente donne, le quali assistevano alla fucilata, come se fossero al Circo. Quando i federali erano ad un capo ed i reazionari dall'altro, tutto era chiuso, ed un silenzio terribile regnava nella contrada.

Il cielo era splendidissimo di azzurro e di sole, ciò che raddoppiava la mestizia e l'orrore.

Il cannone si udiva poco, raro, lontano. Dalle terrazze si potè contemplare, fino alle sette della sera, tutti i comignoli della città sventolar ancora baldanzosi la bandiera rossa della Comune. Nel pomeriggio però si cominciò ad udire qualche sibilo di bomba fendere l'aria ed andare a cacciarsi in mezzo al nemico. Nella mia strada, a cento metri di casa mia, uno di questi proiettili venne a battere il muro della scuola di Stato Maggiore, penetrò nei giardini dove vi era copia di fieno e vi occasionò, oltre l'immenso conquasso nella strada, un incendio che durò tutto il giorno. Un fumo giallastro s'innalzava come un immenso fungo, il di cui peduncolo restava nerastro e fisso, e la di cui ombrella si allargava e rischiarava a misura che si inoltrava nell'azzurro.

A Parigi vi è la tradizione della guerra di strada e della sua particolare strategia. Ciò data dal 1830. L'esperienza l'ha perfezionata nelle sommosse del 33, del 38, del 48, del 52. Il maresciallo Bugeaud lasciò delle indicazioni molto utili, e il signor Thiers era ministro dell'interno quando ebbe luogo l'affare famoso della rue Transnonian che ha formato di poi codice e leggenda.

Codesta tattica è semplice come l'amore a venti anni. Le spie riportano in qual punto è la barricata. Con la mappa di Parigi alla mano, si sceglie un gruppo di case, le quali, partendo dall'estremo il più lontano o il più sicuro, vanno ad imboccare a perpendicolo sulla barricata o alla sua parte posteriore. I combattenti entrano nella casa ai piani superiori, poi forando i muri o scalando i tetti avanzano di casa in casa fino alle spalle o sul capo del nemico, il quale li attende dalla parte opposta della barricata.

Se il nemico ha occupato le case che dominano la strada, il combattimento ha luogo negli appartamenti, e gli abitanti sono massacrati al par del resto, ora come complici ed ora per sventura. I soldati del signor Thiers, nella sommossa della via di Transnonian, non si dettero neppure la briga di bruciar delle cartuccie: essi precipitarono sommariamente insorti ed abitanti dal quinto e sesto piano sulla strada.

E giustizia era fatta!

La medesima tattica fu seguita sotto Cavaignac, nelle lugubri giornate di luglio 1848, e da Saint-Arnaud nell'imboscata dei masnadieri 1852.

La tradizione è stata rispettata.

E come di poi l'artiglieria ha fatti dei progressi, ed oggi ha il primo posto fra gli ordegni di guerra, di essa si è fatto spaventevole uso. La truppa ha bombardate le case dove gl'insorti si erano appostati ed il fuoco e la mitraglia hanno scoraggiati coloro che gli uomini non osavano o non potevano attaccare. Che importa la città, gli edifizi, i monumenti, gli abitanti? si dirà più tardi, si dice già adesso: quelli scellerati della Comune! – come si diceva nel tempo della guerra: quelle orde selvaggie di prussiani! Ed è così che la gente d'ordine narra poscia la storia.

La battaglia vera sulle barricate cominciò dunque alle quattro del mattino, il 23 maggio. Da questa e dalle case federali opposero una terribile moschetteria alle truppe che avevano occupate pure le case all'altro estremo della via o si appiattavano agli angoli.

Infrattanto si faceva avanzare il cannone. I federali ne avevano pochissimi, perchè tutte le loro bocche a fuoco erano state trasportate alle mura o sulle barricate adiacenti. Una barricata su dieci avrà avuto forse un piccolo pezzo o una mitragliatrice. I soldati, al contrario, ne erano provvisti a dovizia. Il cerchio del cambiamento si estendeva.

I soldati avanzavano e si battevano disperatamente. Sono in parte soldati dell'impero, reduci dalla prigionia, gendarmi, fanteria di marina, cacciatori di Africa – truppe essenzialmente solide – a cui, del resto, si era tolto il ruzzo dell'esitare, minacciando di fucilazione chiunque rinculasse. Gli ufficiali poi erano sempre bravamente alla testa.

A mezzodì, i federali si erano tutti ritirati dietro le barricate. Verso le due, il cannone pigliò la parola e si potè così specificare ove il combattimento ferveva.

Terribilissimo era nella rue du Bach, nella rue Royale, dirimpetto alla piazza della Concordia, sulla parte della ferrovia di cintura che dalla porta di Saint-Ouen va alla porta Saint-Denis, e di dove si era contornato Montmartre, prendendolo per di dietro, dove aveva cominciato a fortificarsi di fretta e furia quando già il nemico si avanzava. Ed il nemico aveva oramai tutte le entrate libere, poichè i federali si concentravano nel centro della città, asserragliato di una rete potentissima di barricate.

L'assalto a fondo delle barricate cominciò il 23, verso le due, preceduto da un diluvio terrificante di palle di cannone, di mitragliatrici e di obici, che piovvero sulle barricate e nelle case di dove i federali sostenevano la battaglia. Ciò durò fino alle cinque, altrove più tardi. Poi il cannone si acquetò e ricominciò la fucilata. Si sarebbe detto una cascata di scoppi, il crepitamento dell'incendio messo ad un bosco le di cui fronde non sono ancor secche. Gli obici avevano sloggiati o uccisi i federali che tiravano dalle case e vi avevan messo l'incendio. La moschetteria spazzava quel resto di uomini, che la barricata sconvolta e sfondata, si tenevano ancora intrepidi dietro un alcun che di riparo, e rispondevano alla baionetta.

I federali si ritirarono allora alla barricata intatta più lontano. Quelli che, feriti o prigionieri, caddero in mano dei soldati, furono fucilati immediatamente. Nella corte del ministero dell'interno ho veduto io ieri due enormi carretti pieni di cadaveri di coloro che la truppa aveva catturati o trovato feriti dietro la piccola barricata della strada di Grenelle. Ad alcuno non si era fatto grazia.

I giudici han talvolta idee sovversive di umanità, ed il militare, in generale sì bravo uomo nelle ore di pace, nella concitazione della guerra è feroce da far paura ad una tigre.

Mentre una divisione della truppa del generale Cissey s'impadroniva del ministero dell'interno e della mairie del 7° arrondissement, alle sei della sera, altra divisione dello stesso corpo, che era passata dai quais, malgrado i proiettili dei federali, veniva ad accampare nella strada dell'Università e bombardava il corpo legislativo.

Dietro le inferriate del cortile di questo stabilimento si teneva un gruppo di federali, il quale impediva l'accesso della piazza, e perciò l'avvicinarsi al ministero della guerra. Sotto l'attacco della mitraglia, i federali evacuarono il posto, uscendo dai quais, sotto la protezione del cannone delle barricate della Rue Royale e degli angoli della piazza della Concordia. I soldati si avanzarono ancora, ed a loro volta fecero una barricata singolare – con le tele delle tende legate a mucchi – dall'angolo della piazza di Bourgogne a quello del Corpo legislativo. La bandiera rossa però sventolò fino all'indomani sull'edifizio.

Un distaccamento di cacciatori procedè allora, dalla piazza degl'Invalidi, per la strada dell'Università, e venne ad occupare gli edifizi che attorniano la parte del ministero della guerra sulla piazza S. Clotilde. Il cannone della strada di Grenelle fu puntato contro l'edifizio, altri pezzi vennero innanzi per i quais. Innanzi al Ministero vi era una barricata. All'angolo ve n'era un'altra, che intercettava la strada di Solferino, poi un'altra alla strada di Lille. I federali si erano ritirati nella parte orientale del ministero della guerra, nell'Hôtel della Legione d'Onore e nell'archivio della Corte dei Conti che sembra una fortezza, e tiravano fucilate. L'artiglieria si mise all'opera. Le bombe appiccarono l'incendio al palazzo della Legion d'Onore ed all'archivio. Altri accusano di ciò i federali. L'avvenire rischiarerà la quistione. Ma i federali restarono la sera in tutta la parte orientale del ministero della guerra, fino a che la colonna che aveva preso la barricata della strada di Grenelle non discese per la strada di Bellechasse, dove aveva occupato la caserma, dopo avere sfondate le due barricate della via.

Ieri mattina nei dintorni della caserma vidi un capo mozzo e due cervella intere di uomini nel mezzo della strada. In ogni angolo immensi gorghi di sangue. I rivoli di acqua che lavano le vie ai lembi dei marciapiedi erano tinti di rosso; qua e là mucchi di casquettes e uniformi di federali. Che orrore vi doveva essere nelle interne corti della caserma!

Restava la piazza Vendôme, il centro della posizione.

Tutte le strade circonvicine erano state barricate, ma poco solidamente. L'opera teneva ancora e guardava la posizione al nord. Questa fu presa per di dietro dalla divisione del generale Clinchant, che aveva spazzate le barricate della strada Tronchet e delle altre vie alle spalle della Maddalena, ed una rimontata verso Clichy per dare la mano al corpo di Ladmirault.

La piazza Vendôme si trovava dunque minacciata da due punti: all'ovest, per la strada St-Honoré, al nord, dall'Opéra che le fa faccia. Il pericolo aumentò quando una colonna del corpo di Vinoy, penetrata dalla via Louis-le-Grand, dalle Halles si cacciò nelle case, di dove sfondando semplicemente un muro o due, si penetrava negli edifizii che hanno vista sulla piazza. Dalle barricate e dalle finestre si impegnò, malgrado ciò, il combattimento, ma la resistenza non fu efficace. Il posto poi, essendo divenuto ormai inutile, vi si lasciò qualche uomo per tenere a bada i soldati, ed il resto, dopo aver messo il fuoco al ministero delle finanze, se furono dessi, per il giardino delle Tuileries si cacciò nel palazzo.

Qui non vi fu combattimento, e non vi è dubbio sugli autori dell'incendio. I federali avevano da lunga mano fatto dei preparativi a quest'uopo.

Il generale Roselli nel 1848 voleva bruciare San Pietro e tutte le moschee di Roma, dicendo: che al nido bruciato, l'uccello non torna più. È un'idea rivoluzionaria, che ha un valore drammatico indiscutibile.

Gli ultimi momenti della Comune intanto si avvicinavano.

Distaccamenti di soldati freschi furono condotti al fuoco in mezzo agli applausi della popolazione, che dalle botteghe e dai balconi batteva le mani. Se i federali avessero vinto sarebbero stati ricevuti con le stesse ovazioni.

Parigi ha di queste epilessie.

Era una notte splendida di stelle; un arco di luna spandeva un dolce crepuscolo. Non lumi nelle strade, che sembravano come solchi cavernosi di tenebre. Non una creatura vivente che passasse, tranne di tratto in tratto, come un fantasma, un federale o un soldato che strisciava verso un angolo della strada per ascoltare il battito del cuore della posizione.

I combattimenti in campagna aperta, sono un'epopea. Il paesaggio del campo di battaglia; l'immenso movimento; le artiglierie che coronano le alture di fuoco e di fumo e conducono il fulmine al galoppo dei cavalli in tutti i punti; le fanfare che suonano; i gridi di hurrah; le bandiere spiegate che flotteggiano come l'alia di un genio protettore sulla legione combattente; le cariche grandiose della cavalleria; lo spanto dell'intelligenza dell'uomo che giuoca quella tremenda partita di scacchi; gli uniformi multicolori dei reggimenti; le vicende della lotta; il correre dei brillanti officiali di Stato Maggiore; il luccicare delle armi... tutto ciò è la vita, è grande, è poetico, esalta la fantasia, inebbria di qualche cosa di più che la feroce ansia di uccidere; è l'uomo a cui restano ancora talune delle sue divine facoltà dello spirito. Per tali grandiose scelleratezze si trovano ancora gli Omero, i Virgilio, i Tasso, i Camoens... che accordano la loro cetera d'oro e le cantano.

I combattimenti delle strade, di ordinario fatti di guerra civile, sono bassamente prosaici ed atroci. I combattenti non han più nulla del guerriero. Essi si appostano, si appiattano, si spiano, si dissimulano dietro un riparo; non bandiera che si porta avanti; non musiche che intuonano passi di carica. Non si vede il lampo dell'istrumento che uccide. Appena se ne ode lo scoppio. Un serpente passa sibilante sul vostro capo, vi morde, vi abbatte, e va pesantemente ad appiattarsi contro uno spigolo di muro o un lastrico. Non si vede il nemico: si sospetta la sua presenza in questo o quel sito. Non un grido onde non denunziarsi. Ogni espansione dell'animo si comprime, e si manda come elemento combustibile ad intrattenere la ferocia. Più tristo ancora. In queste guerre di strada vi è sempre da una parte della barricata un partito che crede nell'idea per cui si batte; dall'altra banda una coorte di uomini pagata, che non sa chi combatte, perchè combatte, per chi combatte, ed obbedisce. Perinde ac cadaver!

I combattimenti di strada han l'aria di imprese da masnadieri. Il terrore è nell'aria. Delle migliaia di innocenti si contorcono negli spasimi dell'ansietà. Sovente batte la campana a martello che raddoppia l'orrore, come se anche la voce di Dio gridasse: Uccidete! uccidete! Chi non è attore, è vittima. Lo strepito stesso del cannone e del fucile, rimbalzato d'eco in eco, acquista un accento sinistro.

Se questo combattimento poi ha luogo nella notte; se ha luogo in più punti della città, sì che il fragore vi avviluppa come in un'orbita di follia; se il chiarore dell'incendio vi stende sul capo un'onda di luce purpurea, mentre nera come baratro, la terra si spazia davanti a voi, se il cielo è solcato da bombe, ed il sibilo di esse vi stilla nelle vene lo spavento dell'incognito; se il tuonare delle artiglierie dà i sussulti alle fondamenta della vostra casa, vi squassa le imposte, vi stritola le finestre, vi commove le intime viscere; se vi attorniano donne e fanciulli che vi domandano la vita, fuggire, scampare da quel centro di spiriti infernali scatenati... e voi siete inchiodato a quel calvario perchè lo scampo è impossibile... oh! allora la guerra delle strade è un'opera che non ha nome. Bisogna esser passato per quel caleidoscopio infernale, di sensazioni, di affetti, di passioni, di scompiglio di cuore e di mente, per formarsene un'idea. Ogni colore di chi tenta dipingerlo è sbiadito, eppur sembra caricato a disegno. Ebbene questa deve esser stata la notte del 23 al 24 maggio che si è passata nel faubourg Saint-Germain.

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Alle 4 del 24 la piazza della Concordia era tutta in potere delle truppe, la via Royale e quella di Rivoli aperte innanzi a loro. Ma non osavano spingersi oltre, perchè il Ministero delle finanze, le Tuileries, il Palais-Royal, il Louvre bruciando, il giardino delle Tuileries restando misterioso, non sapevano a che ed a chi andavano incontro.

La fucilata era terribile su i quais, e nell'interno di Parigi, nel bacino tra la sponda destra della Senna ed i bouleverds.

L'aspetto delle strade spazzate dai federali era sinistro. Qualche rarissimo passante il quale guardingo e rasentando i muri, si guardava intorno come il selvaggio delle foreste vergini d'America. Poi, qua una gora di sangue, là un pezzo di uniforme lacerato, più oltre un cadavere, e due sovente di federali, talvolta di soldati, a destra una casa che bruciava, a sinistra altre case butterate sgraziatamente di palle; i vetri quasi tutti rotti e di dietro le porte della strada socchiuse una figura pallida ed esterrefatta che domandava: Où sont-ils? L'ils erano i federali.

Poi altre strade solinghe come quelle d'una città di provincia a mezzanotte. Nugoli di fumo a tutti i punti dell'orizzonte.

Strepito di moschetteria e di cannonate da vicino o da lontano al nord, al mezzodì, all'oriente innanzi e dietro. Sovente una barricata lasciata intatta. Sulle pietre e con il legno delle barricate vinte, il soldato che prepara la zuppa, altri, affranti di fatica, sdraiati come morti per terra, pigliavano un istante di riposo che poteva ben essere il prodromo di un riposo eterno. Gli alberi dei viali tagliati, o spezzati da una palla, o feriti. Ad ogni svolgere di strada, una voce che intima: Non si passa! Nei terreni vuoti mucchi di cadaveri. Sotto gli archi dei ponti dove gli insorti han fucilati i soldati presi e questi quelli, una infilzata di corpi o un mucchio di casquettes bleu o rosso. Il fiume solitario come le vie.

In quel punto si ode la fucilata terribile che precede la presa della barricata nella strada di Lille, tra la strada di Baune e quella del Bach, e si vede l'incendio delle case che si accasciano con uno strepito spaventevole.

Nel punto stesso le divisioni del generale Douai, dopo aver preso la Chaussée d'Antin, la chiesa della Trinità, la mairie della strada Drouot, attaccano le barricate del boulevard Montmartre e quelle di Saint Martin. Il teatro di questo nome, occupato dai federali, piglia fuoco e rende impossibile la difesa dell'immensa barricata.

All'ora stessa le colonne del generale Vinoy, avanzando per quel dedalo di viuzze che sono tra il Palais-Royal e le Halles, si dirigono verso l'Hôtel de Ville, ove deve raggiungerle il corpo del generale Cissey che opera nel faubourg Saint-Germain e nel quartiere Latino.

La polveriera del Luxembourg salta, e con essa si affonda l'intera strada Vavin, e seppellisce vivo tutto ciò che viveva.

L'attacco della Croix-Rouge comincia alle 2, ed alle 4 si dà l'assalto alla terribile posizione, di cui la chiesa di San Sulpizio è centro.

Non entriamo in dettagli. Per comprenderli bisogna avere una pianta di Parigi sotto gli occhi, od avere abitato il luogo. Il sistema d'altronde è lo stesso; dovunque. La mitraglia della truppa mette fuoco alle case ove si annidano i federali per cacciarneli; questi mettono il fuoco in altri siti per formare, delle case che crollano, un ostacolo che arresti il nemico alle loro spalle. Per fortuna questi punti di concentrazione di difesa non sono numerosi perchè il numero dei federali è piccolissimo.

La posizione di S. Sulpizio non fu pigliata il 24, ma la notte seguente. Il Luxembourg fu sorpreso. I distaccamenti del generale Cissey, che scendevano pei boulevard St-Jacques, non poterono nemmeno giungere a tempo per concorrere alla presa dell'Hôtel de Ville.

I difensori della parte orientale delle alture di Montmartre erano respinti verso la Chapelle.

I federali misero il fuoco alla prefettura di polizia. Ai prigionieri della Conciergerie furono aperte le porte; ma parecchi morirono, avviluppati nel nuvolo di palle dei combattenti. Il fuoco si appiccò al palazzo di Giustizia, e ve lo appiccarono forse i proiettili dei soldati. Ma la bella guglia della Cappella, che vi si attiene, sfrangia ancora l'azzurro.

L'ora dell'Hôtel de Ville però era arrivata.

Il cannone l'attaccava già da tutti i punti: dai quais, dalla via di Rivoli, dai ponti, dai larghi stradali che partono dalle Halles centrali. Tutto ciò di federale che aveva potuto scampare alla battaglia delle barricate nei due giorni precedenti s'era quivi concentrato, si era annicchiato nelle case intorno alla piazza, ed in quelle che guardavano sulle strade che vi conducono.

Le barricate sull'avenue Vittoria, sul quai, sulla via di Rivoli, altrove, erano armate di bocche da fuoco e mitragliatrici. Era un campo trincerato di cui tutto concorreva ad interdire l'accesso. L'abile e valoroso comitato centrale, l'inetto comitato di salute pubblica, la parte moderata della Comune che non aveva avuto alcuna funzione speciale per sospetti di colleghi o non ne aveva voluto assumere alcuna per paura, i corpi più decisi insomma, circa tre mila disperati si concentravano in quel circoscritto perimetro, dove ognuno combatteva per la propria vita e per la fede del principio che difendeva da due mesi.

Forse Cluseret era ancor quivi. Quivi si era recato Delescluze, e forse aveva riparato pure Dombrowski ferito, dopo aversi veduto rifiutato il passaggio nel Belgio dai tedeschi a Saint-Denis. Il fuoco delle artiglierie solo poteva distruggere quell'insieme di potenza morale e materiale quivi incastellata.

Ed il fuoco si adoperò.

L'artiglieria officiale rese inabitabili le case di fronte e di lato dell'edifizio municipale, bombardò questo e la caserma che gli sta dietro. Quando le fiamme avevano cacciati via i federali da questi approcci, quando l'Hôtel de Ville principiava già a bruciare, la truppa s'avanzò all'assalto. Erano le 9 circa.

Cosa era ivi avvenuto?... quanti eroismi compiuti!... quanti martiri caduti!...

Cosa avvenisse dentro non so, ed alcuno nol saprà per un pezzo. Certo però che, avanti di lasciare il posto per le vie sotterranee che esistono sotto l'Hôtel de Ville e per le vie più sicure delle cloache ed andare a sboccare Dio sa dove, i federali misero il fuoco in più punti. Avevano bisogno di tempo onde fuggire per anditi sì angusti ed oscuri, e l'incendio solo poteva accordarlo loro. La ritirata fu mascherata da una cortina di tiragliatori, che fecero credere, per un'ora almeno, all'esistenza di una grande forza nella piazza. E questi – una cinquantina – trovati ultimi sul sito della battaglia, furono all'istante passati per le armi.

Alle nove e mezzo si dette l'assalto, passando in un vortice di fiamme e di fuoco che irrompeva dalle finestre. Non si aveva più a combattere con gli uomini. Non si poteva più salvar nulla; Hôtel de Ville, caserma Lobeau, case circostanti, tutto formava un vulcano che atterriva Parigi, coverto di un cielo di fuoco.

La notte era nuvolosa; un vento malfattore si era levato. Le fiamme che lambivano un edifizio attiravano quelle dell'edifizio di prospetto e formavano qui come un ponte rovente, là come un cratere, altrove come un sipario di fumo frastagliato da lingue di fulmini... Ed in mezzo a quell'inferno scatenato dagli spiriti dell'abisso, centinaia e centinaia di creature innocenti perivano asfissiate nelle cantine o abbrustolite negli appartamenti. Molte donne prese dalla vertigine del terrore, cercarono scampo perfino dalle finestre e si fracassarono il cranio sul lastrico.

L'aspetto di Parigi in quella notte, se si fosse potuto vedere da una terrazza, doveva essere tale epopea di spavento e di grandioso orrore, che alcuna favella non può riprodurre. L'incendio contemporaneo delle Tuileries, del Consiglio di Stato, del Louvre, della Prefettura, del palazzo di Giustizia, del palazzo reale e del Ministero!

Due quinti di Parigi dopo due giorni e due notti di combattimento accanito giacevano però ancora sotto il dominio della Comune.

V'erano da domare i quartieri i più intrepidi, i più formidabili. Erano i quartieri dove il popolo regnava fiero della sua barricata che voleva difendere, e della preziosa indipendenza che voleva tutelare. Ivi il prete non ha presa: la donna non teme i nervi, il fanciullo, il terribile gamin che non comprende cosa sia la paura, fa del pericolo il suo giuoco prediletto.

Per impossessarsi di questo campo trincerato della rivoluzione, Mac-Mahon ha dovuto fare, nè più nè meno, che un piano di battaglia. Dei quattro corpi di esercito entrati a Parigi, quello di Ladmirault si avanza per le alture del Nord.

Un proclama di clemenza avrebbe forse arrestato lo sterminio; ma la parola clemenza era delitto di Stato, e il signor Thiers, che l'aveva sulle labbra forse, ha dovuto ringhiottirla.

Non si trattava dunque che di continuare ad aprirsi la via col cannone, e rovesciare gli ostacoli, qualunque si fossero, barricate, case tramutate in fortezze, uomini, innocenti o rei.

La sera del 25 il cielo era ancora rosso di un altro incendio; i magazzini di ambulanza ardevano. Gli Incendiari cosmopoliti, come dicevano i giornali e come il pubblico ripeteva, vi avevano dato fuoco.

Infrattanto si ristabilivano batterie di grosso calibro sulle vette di Montmartre e si bombardavano le posizioni dei federali la cui resistenza era ormai divenuta impossibile.

Fu una di quelle lotte terribili di barricata in barricata, di casa in casa, da cui la penna rifugge con orrore.

Vi furono fucilazioni in massa per parte della truppa, a cui i federali risposero colla fucilazione orrenda degli ostaggi. Furono arsi confini pubblici, case private... Dal terreno su cui i soldati avanzavano portando la morte, i federali cadendo, lasciavano la distruzione. Il fuoco veniva dopo la strage, ed all'igneo chiarore delle vampe potevasi vedere in un'onda di sangue un convulso dibattersi di membra palpitanti.

La Comune cadeva e l'ordine inalberava sulle rovine di Parigi la sua bandiera vittoriosa. I soldati di Metz e di Sedan fuggiti ed arresisi a centinaia di migliaia in faccia alle schiere prussiane avevano operati prodigi di valore, come spudoratamente annunciavano gli ordini del giorno di Thiers.

Le strade di Parigi erano così ingombre di cadaveri che si pensò con terrore cosa si dovesse farne di tutta quella carne mitragliata e sgozzata. Si propose di arderla.

I soldati non potevano occuparsi di quei morti. Si occupavano nell'uccidere ed avevano troppo da fare. Un ufficiale arrestava il primo che gli capitava fra le mani; qualcuno non aveva che da dire: È uno della Comune, ed era tosto fucilato.

Cosa sono dodici scariche contro il petto d'un uomo, per il trionfo dell'ordine?...

Costava così poco! ed in certi casi si semplificava la faccenda e bastava un colpo di revolver. Se il colpito agonizzava per qualche ora, peggio per lui!...

Pel trionfo dell'ordine c'era da far altro che curarsi della vita d'un uomo!...

Quanti innocenti furono massacrati in quegli orribili giorni di guerra fratricida sarebbe cosa orribile il dirlo; la storia ha registrato dei nomi... ma a quei nomi quanti ne andrebbero aggiunti!...

I prigionieri venivano a migliaia cacciati nei vagoni, e tratti alla loro destinazione.

La loro destinazione non era una cosa difficile a indovinarsi.... era la fucilazione in massa senza le noie del processo.

Coi processi si sarebbero condotte le cose troppo lentamente e pel trionfo dell'ordine bisognava spazzar via quella feccia!...

In un vagone cinque persone, due donne, tre vecchi ed un fanciullo colle mani legate dietro al dorso, erano stanchi, pallidi, sfiniti: eransi lasciati cadere sopra una panca.

«Non si può star seduti, gridò loro un gendarme che li scortava.

«Non possiamo stare in piedi, rispose un vecchio con voce morente.

«Se non vi alzate vi faccio bruciare le cervella, riprendeva il gendarme.

«Provatevi!... disse il vecchio fissando in volto il gendarme. Le cinque persone rimasero sedute coll'impassibilità dell'atonia. Ad un ordine del gendarme i soldati spaccaron loro la fronte colla palla del loro revolver.

(Questo episodio ci fu narrato da un testimonio oculare).

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A Versailles un capitano degli zuavi di Charette propose di consegnare tre prigionieri colti colle armi alla mano, alla scuola d'anatomia, perchè fossero operati vivi, e la proposta fu accettata ad unanimità.

Gli eroi di Charette, avevano ben diritto di divertirsi!...

Sulle pubbliche piazze furono violate le donne e poi scannate.

Ad un fanciullo che piangeva, si gettò la testa di sua madre.

Al Chatelet si facevano passare da due porte i prigionieri che erano sommariamente giudicati.

Per una si andava alla deportazione; dall'altra in un cortile dove un caporale e dodici soldati sbrigavano la faccenda.

Su 300 prigionieri rinchiusi in quel cortile si fece tirare con la mitraglia.

Pesiamo su una medesima bilancia i fatti degli uni e degli altri. Da qual parte traboccherà essa?...

Deploriamo pure gli eccessi della Comune, ma cosa diremo delle infamie legali del Governo di Versailles?...

Ma mentre i federali morivano sulle barricate, chi sa dirci quante braccia comprate dagli Orléans, dai Bonapartisti o dagli stessi uomini dell'Assemblea di Versailles erano intente a lordare con infami atti, con furti e con incendii quelle barricate che volevano insudiciare, perchè abominata restasse persino la memoria dei caduti?!...

Fate il processo al fulmine!... come disse Vittor Ugo del 93, così può dirsi della Comune. La Comune non fu che una conseguenza degli errori dell'Assemblea, del modo fatale, indecoroso, subdolo, con cui furono condotte le cose!... Nacque dalla sfiducia, che colpì gli uomini del Governo, sfiducia che essi stessi meritavano.

Thiers d'innanzi agli incendii che ardono l'Hôtel-de-Ville e le Tuileries, esclama con una sorpresa orribilmente gesuitica e turpemente cinica – Oh gli infami...

Ma v'ha un uomo su cui cade la tremenda responsabilità di quegli orrori. – Thiers!... Egli, che potendo evitare la terribile catastrofe, volle invece le rovine di Parigi per poter su di esse edificare il suo potere.

Transigendo cogli uomini della Comune, quegli uomini restavano!... Fu ciò che non voleva la volpe di Versailles. Bisognava scavar loro sotto ai piedi la tomba che li dovesse ingoiare, bisognava trascinarli con un insolente disprezzo a compiere quanto essi minacciavano di fare e dar così pretesto a quella repressione sanguinosa che dovea spaventare la Francia perchè si gettasse nelle sue braccia riserbandosi cosa certa a ricambiarle il bacio di Giuda.

La Francia ha oggi una Repubblica, la Repubblica di Thiers!...

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Ora tutto è finito... le fucilazioni sommarie, le deportazioni in massa, la giustizia dei consigli di guerra, hanno spazzata tutta quella roba che voleva agitarsi e turbare l'ordine che regna a Parigi, come regnava a Varsavia.

Tutto è finito!... terribile parola!

Vi sono compresi 40 mila infelici che gemono sui pontoni e che andranno in isole lontane, sotto un cielo di fuoco, a trascinare una vita di stento a cui sorriderà vicina una sola speranza... la morte!...

Vi sono comprese famiglie intere desolate, miserabili; senza pane, senza fede! ... colle lagrime agli occhi, colla bestemmia nel cuore... Odi che maturano, rancori che fremono; le carceri che non hanno più posti, i castelli trasformati in galere... I navigli in pontoni... Quello che si è salvato dal piombo si inceppa... i fabbri ferrai hanno del lavoro!... essi fanno delle manette.

Sì... lo ha detto il signor Thiers... tutto è finito. Degli uomini della Comune non se ne parla già più... sono atomi scomparsi da quel grande tutto che ora come morto stagno vive una vita ebete ma nel cui fondo si agitano passioni e idee che verranno a galla in quel gran giorno in cui tutti i popoli si daranno la mano per avviarsi uniti in un solo pensiero, ad una sola meta.

La Comune fu un lampo!... ma il lampo si succede e lascia nell'aria quell'elettricità in cui si forma la folgore!... Quel lampo è balenato, e la folgore non farà attendere troppo a lungo il formidabile suo scroscio.

Ulisse Barbieri

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