CENTO RICETTE PERDUTE CHE VALGONO PIÙ DELLA SCOPERTA DI ALTRETTANTE NUOVE STELLE

C'è un fantasma che si aggira sulla scena della grande cucina italiana, un fantasma che finora aveva un volto corrucciato, che se ne stava lontano dai clamori, anzi era atterrito al solo pensiero di affacciarsi alla ribalta, di declinare la propria identità terrena.

E questo perché il suo spirito, quando era ancora incastonato nel suo corpo vivente, aveva dovuto subire tali e tante umiliazioni e un destino così crudele da rimanere annientato e vagante in un'altra dimensione cosmica in attesa di un'improbabile revanche.

È il fantasma di un grande e sfortunato cuoco che un giorno conobbe i fasti di corte, le adulazioni di nobiluomini e gentildonne e che poi, per uno di quei tiri mancini che una sorte infame sa rifilare, cadde nella polvere fino a fare perdere di sé ogni memoria.

Ma di lui, scampato al dileguamento della sua impronta umana e pervenuto a noi per uno di quei casi fortuiti che fanno gridare al prodigio, restava un unico esemplare – ignorato da tutti – della raccolta di ricette che aveva dato alle stampe, dedicandola al proprio sovrano per potere rientrare nelle sue grazie. E che invece finì per marcire in una lurida stalla dove lo sventurato era stato relegato a vivere e ad accudire alle bestie per guadagnarsi il pane.

Un'opera che, se non fosse stata condannata all'oblio e alla dissoluzione, avrebbe meritato al cuoco sabaudo di sedere nella eletta schiera dei maestri cucinieri famosi. Ma il destino a volte ha dei ravvedimenti, seppure tardivi, e dà via libera alla nemesi, facendo uscire dall'ombra quell'unico libro superstite che torna a dare una sembianza, a connotare la figura, a materializzare l'infelice cuoco di casa Savoia.

Il suo nome è Teofilo Barlae il libro è questo, seppure esemplato sull'originale, perché le sue condizioni di conservazione non consentivano una ristampa anastatica pena la sua polverizzazione e perdita definitiva.

«La scoperta di un piatto nuovo è più preziosa per il genere umano che la scoperta di una nuova stella», scrive Anthelme Brillat-Savarin nella Fisiologia del gusto, apparsa nel 1825. In queste pagine i piatti «scoperti» sono ben 100, quindi valgono più del ritrovamento di altrettante nuove stelle! Sono ricette che ignoravamo di possedere e che invece abbiamo ritrovate, è proprio il caso di dire, cammin facendo. Infatti è proprio presso una bancarella di libri d'antiquariato che è stato acquistato il misterioso libretto originale.

Misterioso perché per rintracciare il fortunato possessore di quella che è quasi certamente la sola copia serbatasi fino a noi è stata un'impresa complessa, ma coronata felicemente.

È un oggetto misterioso perché il proprietario lo custodisce gelosamente sottraendolo agli sguardi concupiscenti di studiosi e cultori dell'arte della tavola. Ma il motivo c'è.

Le traversie incontrate dal suo autore, lo sventurato Barla, di cui Bruno Armanno Armanni traccia un profilo preciso e vibrante, e quindi anche quelle del suo libro, hanno nuociuto drammaticamente alla sua conservazione. E, come mi ha confessato il suo possessore, basta una mossa maldestra per sfaldarne irrimediabilmente le pagine con una perdita perciò irreparabile.

Quindi solo grazie all'amorevolezza di Armanno Armanni suo custode e trascrittore, che l'ha maneggiato con estrema delicatezza, è stata possibile la sua fedele riproduzione e la successiva ricomposizione in caratteri moderni. Questa soluzione forse deluderà qualche incallito bibliofilo integralista, ma era l'unica maniera per porgere al godimento di tutti questo singolare unicum della tradizione culinaria piemontese dei primi anni del secondo '800.

Certo che a leggere le scarne e tormentate vicende della vita di Teofilo Barla, così attentamente rievocate nel saggio introduttivo, si prova un profondo senso di tristezza che accresce il valore intrinseco dell'opera recuperata.

Specialmente di fronte all'incidente di una polenta concia, presentata con incapace e inetta irruenza sul desco di affamati cavallerizzi, atto forse intollerabile per la vita di corte di un tempo, ma pur sempre involontario e sproporzionatoal castigo inflitto manu regis allo sfortunato maestro pasticcere, degradato prima a sguattero e infine giubilato dalle cucine reali e spedito a fare lo stalliere. A evitargli questa umiliazione a nulla valsero l'amicizia e le premure del grande Vialardi il cuoco monstre dell'epoca al servizio dei Savoia.

In particolare lascia sgomenti la coincidenza della drammatica morte del Barla avvenuta lo stesso giorno di quella del suo maestro e amico, il Vialardi appunto: il primo inghiottito dai flutti dopo un inseguimento dei gendarmi che lo avevano colto a pescare di frodo, il secondo morto nel suo letto circondato dall'affetto di famigliari e amici.

E lascia sbigottiti la crudeltà del sovrano che non volle mai accettare, come gesto riparatore di un atto di insignificante sventatezza commesso dal Barla, il libro che per ingraziarsi di nuovo il suo favore il cuoco aveva fatto stampare a sue spese, attingendo a tutti i risparmi di una vita di lavoro fra i fornelli. Un libro dove aveva raccolto il frutto della sua lunga esperienza presso le cucine della stessa casa Savoia.

Per fortuna il tempo fa sempre giustizia e oggi l'opera esce di nuovo alla luce, facendo finalmente sbocciare un sorriso sulle labbra del fantasma del Barla, cui dobbiamo chiedere venia di eventuali errori di trascrizione delle sue ricette.

Giancarlo Roversi

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