Ricetta n. 1 L’Ordinaria Buntà di Sua Maestà

Pria ch'io divulghi la presente Ricetta son d’uopo talune brevi notazioni che esporrò concisamente e tale sarà eziandio il mio costume in prosieguo.

In occasione dell’Epifania di nostro Signor Gesù Cristo a Sua Altezza Reale furon omaggiati numerosi frutti dell’orientale albero che nomasi cocco dal signor Raffaele Rubattino che è tenutario d’una rinomata società per la navigazione dei battelli a vapore sul Mare Nostrum e che trae gran lucro dal commercio di merci di remoti paesi e dal trasporto di passeggeri.

Tali frutti che son appellati cocchi pervennero alle Reali Cucine e furonmi affidati dal Capo di Cucina Giovanni Vialardi affinchè io ne traessi uso alimentare difforme da quello che fosse l'usuale, ovvero sia il semplice manducare l’eburnea polpa che è di gusto assai piacevole e simile alla miglior mandorla o avellana, oppur il suggere il liquido zuccarino che ristagna entro tale polpa.

Pertanto mi posi all’opra e poscia essermi dedicato a plurime sperimentazioni pervenni alla presente Ricetta, di lunga elaborazione ma di facile fattura e che trae il suo nome dall’esclamazione che Sua Maestà profferì allorquando ebbe la ventura di degustarne dapprima un picciol cucchiajo e poscia numerosissimi d’altri, talmente essa Gli piaccue.

Allorquando ne fu satollo decretò a voce spiegata per più fiate che quale guiderdone il Capo di Cucina Giovanni Vialardi fosse nominato Capo Cuoco e Pasticciere e che colui il quale l’avea approntata per suo comando, ciò è io, fosse posto alla sua diretta dipendenza coll’incarico di Maître Pâtissier et Confiseur Royal.

Tale cosa mi fece tremar le vene dei polsi, tant'era la responsabilità attribuitami pel mio operare ma poi ritenni che oltre sette lustri di tenace, silente, puntiglioso e inventivo lavoro potesser aver quale corollario il principiare della mia ascesa negli alti ranghi delle Cucine di Real Casa Savoia similmente a quant'era accaduto a Giovanni Vialardi.

Orbene ciò premesso, frantumerai o meglio farai frantumare il legnoso guscio che difende la polpa di questo frutto e quinci svellerai o meglio farai svellere detta polpa che s’abbarbica caparbiamente al guscio medesimo e quinci la ridurrai o la farai ridurre in piccioli frammenti che porrai o farai porre in contenitori vitrei e li covrirai o li farai covrire d'alcole che sia d'ottimo gusto.

Poscia sigillerai o farai sigillare detti contenitori con acconcia carta pergamena e acconcia ceralacca e con forza li scoterai o li farai scotere quotidie fintanto che sieno trascorse quanto meno sessanta giornate principiando da quando essi furon sigillati.

Trascorse che sieno, svellerai o farai svellere i sigilli e aggiongerai o farai aggiongere nei contenitori tanta purissima aqua di fonte che sia di peso pari a quanto alcole impiegato e in cui sia stata previamente disciolta con somma cura una quantità di zuccaro che sia di peso pari a metà del peso di detta aqua.

Sigillerai o farai sigillare novellamente i contenitori e li scoterai o li farai scotere quotidie fintanto che sieno trascorse quanto meno sessanta giornate e trascorse che sieno, filtrerai o farai filtrare l'infuso nell’usata fatta con cui filtransi gl’infusi in alcole che han da trasmutarsi in elixir ovverosia mercè l’ausilio d’un panno di solo lino nettato con somma cura e che sia di trama e d’ordito finissimi.

Poscia d’un canto porrai o farai porre l’elixir di cocco in vitree e sigillate bottiglie e d’altro canto pestellerai o farai pestellare in acconcio mortajo la polpa del cocco rattenuta dalla filtrazione e tale cosa ha da farsi fintanto che questa non divenga simile alla più fine delle farine più fini.

A tale punto aggiongerai personalmente pari quantità di caccao della miglior specie a detta farina di cocco e mezza quantità di zuccaro e tant'elixir di cocco quanto bastevole a render tali elementi un composto simile a crema che tramenerai o meglio farai tramenare senza sosta per almeno cinque ore fintanto ch'esso non divenga col tempo un perfetto e soffice amalgama.

Porrai o farai porre detto amalgama in vitrei contenitori che sigillerai o farai sigillare con carta pergamena e ceralacca e che non dischiuderai fintanto che non sieno trascorse quanto meno trenta giornate da quand'essi furon sigillati.

Infine potrai degustare e far degustare questa ghiotta Confettura la quale rese giojoso il palato di Sua Maestà e mi venne riferito da persona di fiducia che Egli poscia averne degustata una coppa che ne contenea quanto meno 20 onze profferì più e più fiate con voce altisonante: buntà!, oh, quale buntà!

Pertanto mi son avvalso di tale accadimento e delle Regie parole per dar nome a questa Confettura che ebbi l'onore di confettare e che valse gran soddisfazione a me e a Giovanni Vialardi il quale sempre mi fu grato al punto che poscia alcuni anni ebbe l'ardire di voler placare in mio favore un empito d'ira che Sua Altezza Reale ebbe nei miei confronti, come brevemente è cennato nella Ricetta n. 9 successiva a questa.

Tale Confettura risulterà esser assai gradevole pel palato, specie se non ingollata ma bensì sutta con lentezza inquantochè prima digestio fit in ore, e del pari sommamente corroborante pel corpo massimamente se la Dama o il Cavaliere che abbian digià trabalzato la IV età avran disio di gustare quanto puotesi realizzare mercè la successiva Ricetta d’una Confettura la quale adduce un durevol eccitamento dei sensi i quali avran ragione della ratio medesima fintanto che non si pervenga di necessità a prolungata estasi di carnale consolo e confortorio, ciò è a quella che gli Antichi dicean esser la piccola morte.

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