Il Corano e le riforme in Turchia

I luoghi che visitai dopo aver lasciato Gerusalemme, Damasco, Aleppo, il Libano, mi offersero aspetti della vita nomade e di quella intima poco diversi da quelli che avevo osservato ad Angora, Latakiè o nelle montagne del Giaur-Daghda. Non mi rimane più che da riassumere le impressioni lasciatemi da quella lunga corsa nell'Oriente turco ed arabo. Di ritorno nella mia pacifica vallata d'Anatolia, comprendevo meglio le condizioni fatte alle popolazioni che mi circondavano dalle tradizioni [221] che le dominano e dagli istituti che le regolano. Meglio illuminata sul vero carattere dell'islamismo, mi domandavo quali fossero i suoi destini probabili con una sollecitudine in cui entrava pure della simpatia. Sarebbe tradire un'ospitalità generosa e cordiale l'esporre qui tutto il mio pensiero su un argomento di cui oggi l'Europa si preoccupa a ragione? Non lo credo perchè se devo segnalare piaghe profonde posso pure additare qualità reali e porre meritati elogi accanto a severi rimproveri. È facile del resto spiegare la mia severità giacchè mi pongo al punto di vista cristiano per giudicare i principii e le istituzioni dell'Oriente. Ciò che devo dire della morale e della religione degli ottomani non potrà dunque essere che l'espressione di credenze e di dottrine diametralmente opposte alle loro.

Qual'è il principio che regge il governo turco? Quali germi di vitalità rinchiude in sè? Quali elementi offre per una riforma? Che genere di relazione può esistere fra esso e l'Europa cristiana? Sono questioni molto gravi, ma che è impossibile di non porsi dopo parecchi anni di soggiorno in mezzo alle popolazioni mussulmane. Non temete che io inizii qui un lungo dibattito; mi limito ad esporre qualche veduta, a raccogliere qualche osservazione.

L'impero ottomano è uno stato teocratico, ha per legislatore il suo profeta, per codice il suo libro sacro, per giuristi i suoi sacerdoti. Quando ci si pone fra i barbari, di fronte a popoli incapaci di dirigersi da soli, non preoccupandosi che di dare al patto fra governanti e governati la maggior solennità possibile, nessun principio di governo, nè quello del diritto divino, nè quello dell'elezione [222] popolare può rivaleggiare col principio teocratico. Quale fonte più diretta, quale origine più nobile che la rivelazione, le profezie, i miracoli? Una volta ammesso il punto di partenza, rapporti immutabili si stabiliscono fra il principe ed i sudditi. I problemi di diritto e di legislazione non dipendono più dall'umano raziocinio; risolti dal dogma, sfuggono come lui ad ogni discussione. Se l'immobilità è una prova di forza, lo stato teocratico può guardare con compassione alle perturbazioni degli altri governi. Il guajo di un tal regime è che alle epoche di barbarie nelle quali prospera, succedono epoche in cui si fa sentire il bisogno del progresso. Perfino le popolazioni allevate sotto la protezione del sistema teocratico giungono a riconoscerne gl'inconvenienti. Esse sentono che è condannato, che non risponde più allo spirito dei tempi nuovi, esse sono allora poste fra due vie, o rassegnarsi al mantenimento di quel sistema colla certezza di dare al mondo lo spettacolo di una penosa agonia, oppure lanciarsi nei rischi di una crisi che può essere funesta se già troppo pronunciata fosse la decadenza prodotta dalla lunga durata delle istituzioni teocratiche.

È giunto l'impero ottomano all'epoca critica in cui si pone una tale alternativa? Prima di rispondere esaminiamo bene quale sia il carattere particolare della teocrazia mussulmana.

Molti anni mi separano dall'epoca in cui lessi per la prima volta il Corano. Non fui colpita allora che dal lato bizzarro di quel libro ed a stento capivo come dottrine, apparentemente più adatte a sorprendere che a convincere, avessero potuto sedurre tante anime ed imporsi a tante intelligenze. La mia sorpresa è cessata. Ho veduto l'Oriente e, [223] una volta eccettuato il cristianesimo, credo la religione di Maometto superiore a tutte quelle che reggevano prima di lui o che reggono ancor oggi i popoli dell'Asia. I drusi hanno i loro riti misteriosi, i fellah di Siria il loro strano naturalismo, i Metuali del Libano e dell'Antilibano adorano il fuoco; gli Jezibi, tribù curda secondo alcuni, araba secondo altri, fanno oggetto del loro culto lo spirito delle tenebre. Questi, ai numerosi avversarii della loro religione, spiegano con una certa ingegnosità: «Perchè dovremmo inchinarci all'autore d'ogni bene? Non abbiamo nulla da temerne e non sarà mai nostro nemico. Quanto allo spirito del male, non lo amiamo e saremmo felicissimi che scomparisse; ma, poichè esiste e manifesta tutta la sua potenza, siamo bene obbligati a cercare di ottenerne le grazie e la prudenza ci ordina di adorarlo.»

Quale distanza separa superstizioni così grossolane dalla dottrina di Maometto! Sarebbe superfluo l'insistervi. Osserviamo ancora che la maggior parte delle usanze mussulmane che feriscono il nostro senso morale di cristiani, come la poligamia, la schiavitù, il disprezzo della vita umana ecc. non potrebbero essere attribuite senza ingiustizia al legislatore arabo che ha piegato la sua dottrina ai costumi dei popoli dei quali voleva farsi uno strumento. Il suo scopo non era nè di creare una società nuova e migliore nè neppure di formare una nazione: egli voleva creare un esercito, una falange di uomini devoti, rotti a tutte le esigenze di un grande compito militare. Interdire ai suoi partigiani le dolcezze della vita sedentaria concedendo loro tutti i godimenti che è possibile procurarsi nel recinto di un accampamento, prometter loro la felicità eterna in cambio di una sottomissione [224] illimitata tale fu il disegno che dominò senza posa il legislatore mussulmano. Gli affetti famigliari legano naturalmente l'uomo al focolare domestico, indeboliscono troppo spesso il suo ardore bellicoso: la famiglia fu, non dico abolita e distrutta, perchè non esisteva fra i popoli che abbracciavano l'islamismo, fu condannata a non aver mai un posto nelle loro istituzioni. La donna, quell'artefice operoso ed infaticabile della mitezza dei costumi e della gentilezza delle nazioni, fu relegata al livello degli strumenti del vizio e della lascivia. Una volta annichilita moralmente la donna, il gran capitano che solo poteva col suo genio rude concepire ed eseguire un atto simile sembrò non aver più da temere alcun rivale. Là ove non esiste l'amore conjugale, l'amore paterno non esercita che una debole influenza. I legami famigliari divennero così illusorii. Vi sono nondimeno altri vincoli che legano gli uomini alla società: lo studio delle scienze, delle arti, il senso dell'eleganza e del benessere materiale hanno anch'essi la loro influenza, incompatibile coi doveri di un popolo organizzato per la guerra e per la conquista. Maometto proscrisse il culto delle arti: la pittura e la scultura furono condannate come invenzioni dello spirito maligno, la musica e la poesia disprezzate come giochi puerili. L'amore delle ricchezze fu collocato fra le tendenze più pericolose dell'umanità, e la politica dei successori di Maometto lo combattè senza tregua. Non sono più di venti anni che è possibile in Asia di essere impunemente ricco. Fino all'assunzione al trono di Abdul-Megid, nè il negoziante armeno nè il pascià turco osavano mettere vetri alle finestre della loro casa, per timore di attirare su di essi la gelosia del potere e [225] di dover perdere la vita coi tesori. Ora il condannare la ricchezza a nascondersi è toglierle ciò che ha di meglio, la sua azione civilizzatrice. Accadeva pertanto che i capitali, forse più abbondanti in Turchia nelle mani dei privati che ovunque altrove, si trasformassero in diamanti ed in piastre sotterrate nei giardini senza mai servire ai miglioramenti così necessari nella vita morale e materiale del paese.

Restavano ancora taluni appetiti grossolani che potevano far trattenere gli uomini delle infime classi nelle città piuttosto che sui campi di battaglia. Furon dunque proscritti l'uso del vino ed i piaceri della tavola, ma, proscrivendo il vino, il legislatore mussulmano non proibì nè la cupa ebbrezza dell'oppio, nè l'estasi, cento volte più terribile, prodotta dall'hascisch. Ho seguito in Oriente gli effetti di quelle ubbriacature su vari individui e me ne è rimasto un profondo senso di terrore. Sovratutto gli effetti dell'hascisch sono terribili. Il paziente, poichè non saprei chiamarlo diversamente, prova spasimi al diaframma e nella regione del cuore che coprono le sue guancie di un livido pallore e la sua fronte di un sudore diacciato. Le angosce così provocate assomiglierebbero a quelle dell'agonia se non fossero traversate d'un tratto da scoppi di pazza allegria. Il più strano risultato di tale ebbrezza è una specie di spaventosa e completa confusione del piacere e del dolore. Si trattava infine di proteggere il popolo così foggiato contro l'influenza delle civiltà straniere. Il genio implacabile che aspirava a sottomettere il mondo seppe inspirare a' suoi fedeli il più fosco disprezzo per tutti i popoli che non riconoscessero la sua fede. «Gli Osmanli soli sono degli uomini, diceva [226] loro, sono stati scelti da Dio per conoscere la verità e la prova si è che io mi trovo in mezzo a voi. Disprezzate le altre nazioni, guardatele con orrore e disgusto. Che vale che i vostri abiti siano coperti di polvere, che le vostre case siano aperte a tutti i venti, mentre i popoli dell'Occidente hanno cura delle loro vesti ed adornano le loro case? Essi sono impuri. Ogni purezza è solo in voi.»

Testimonianze troppo persistenti ci mostrano abbastanza quale influenza abbia esercitato questo ragionamento sui popoli mussulmani.

Non dirò che una parola della dottrina del Corano sulla vita futura, sul Paradiso. Fu detto che le donne ne fossero escluse e che ad esse fosse rifiutato il dono di un'anima immortale. In realtà non si parla di esse nella descrizione di quel luogo di delizie ove «Huri» immortali rendono superflua la presenza di femmine. Io credo sinceramente che il silenzio di Maometto intorno all'ammissione delle donne nel Paradiso equivale, nel pensiero del legislatore, ad una completa esclusione.

In compenso di queste promesse e della libertà di condotta quasi assoluta concessa dalle istituzioni, che chiedeva Maometto ai suoi fedeli? Tre cose: Obbedire, combattere e morire.

È noto se il patto concluso fra il capo ed il suo popolo sia stato religiosamente adempito. Un momento quel genio rude ed audace potè credere che si compisse il suo sogno; l'eroe orientale aveva voluto creare un popolo di eroi, e risultati portentosi coronarono dapprima l'impresa temeraria. Leggendo le narrazioni della marcia vittoriosa degli arabi e dei turchi attraverso l'Asia Minore, la Grecia e l'Europa orientale da una parte, l'Africa, la Spagna, la Francia Meridionale e l'Italia [227] dall'altra, vien fatto di chiedersi se fossero quelli uomini accessibili alle debolezze ed agli affetti umani, od una razza di esseri superiori creata per inesplicabili trionfi. Pertanto l'Europa fu colpita di stupore ed una serie di strane catastrofi venne ad atterrirla. La città di Davide e quella di Costantino videro librarsi sulle loro mura lo stendardo degli infedeli. La Spagna obbedì ad orde invincibili venute da Tunisi, il Mediterraneo divenne un lago asiatico; poi, quando l'Europa impegnò decisamente la lotta, l'opera delle Crociate non potè compirsi che dopo parecchi secoli di spedizioni sanguinose, ed anche al termine di quella guerra, il Levante quasi intero rimase in balìa della teocrazia mussulmana.

Vedete ora quale sia il carattere di questa teocrazia. Essenzialmente collegata ad un'opera militare, essa poteva grandeggiare nella guerra, ma aveva tutto da temere dalla pace. Noi sappiamo ciò che la guerra fece dei mussulmani; poniamoci ora nell'impero ottomano nello stato in cui era prima dell'ultima crisi e vedremo che ne abbia fatto la pace.

L'aspetto generale della Turchia, durante gli anni di pace che hanno preceduto la lotta attuale, non attestava affatto, bisogna pur dirlo, quel progresso materiale che si manifesta in altri paesi coll'abbellire le città, lo sfruttare coll'intelligenza il suolo e l'accrescimento della popolazione. Le proscrizioni lanciate dal Corano contro la ricchezza e le arti potevan giudicarsi anche troppo duramente nei loro effetti. Si era forse mantenuta collo stesso vigore l'azione morale del libro sacro? Le scene intime che l'ospitalità orientale mi permise di osservare durante il mio viaggio mi costringono a rispondere affermativamente, ma devo soggiungere [228] che spesso quest'influenza è largamente corretta dall'indole eccellente del popolo turco, e qui ho l'occasione di mescolare qualche simpatico augurio ai giudizi severi che ho dovuto portare sulle istituzioni mussulmane. Mi sono chiesta spesso cosa diventerebbe, non dico una nazione, ma solo una famiglia europea che pretendesse non seguire altra legge che quella dell'Islam ed oso appena formulare una risposta alla mia propria domanda. Ora i risultati deplorevoli che avrebbe fra europei lo stabilirsi della legge maomettana non sono qui visibili. Per quanto autorizzato a disprezzare ed a maltrattare le sue mogli, il turco le circonda di riguardi e di tenerezza. La legge vuole la donna schiava; ma l'uomo che potrebbe comandarle preferisce ingraziarsela. Spesso anzi essa abusa di tale impero, al quale non può pretendere, ma, per quanto essa faccia, non accade che la forza maschile sia adoperata per ridurla al dovere. Vi è qualcosa di commovente nello spettacolo di quell'infinita indulgenza che il tiranno legale concede alla sua schiava legittima, in quel completo abbandono di un diritto che gli sarebbe così facile di far rispettare, in quella dimenticanza voluta di una potenza e di prerogative illimitate. E non solo si accorda alla donna tanta indulgenza, non le è mai rifiutato neppure il rispetto e Dio sa se lo possa meritare. L'indole dolce e nobile del turco si compiace, forse inconsciamente, nella stretta osservanza delle norme del pudore. Ho abitato durante più di tre anni in mezzo alle popolazioni le più grossolane e le più ignoranti dell'Anatolia; eravamo tre donne europee e non ho mai udito una parola, nè scorto un gesto, e neppure un'intenzione che ci facesse arrossire. Mi ricordo che un giorno un contadino turco dei dintorni era venuto, secondo [229] gli usi locali, a recarci la sua offerta di miele e di latte, e ignaro della disposizione interna dell'appartamento era penetrato in una delle nostre camere al momento in cui ci alzavamo. Il turco non fece che socchiudere la porta, perchè un grido d'allarme gettato dall'interno con voce femminile lo ammonì del suo errore, e lo mise tosto in fuga. Fu ritrovato pochi minuti dopo, mentre nascondeva la testa fra le mani e tremava di confusione al pensiero di ricomparire dinanzi a noi.

Le virtù istintive del popolo turco non sono racchiuse del resto entro gli stretti confini de' suoi rapporti colle donne. La stessa dolcezza, la stessa delicatezza, direi quasi la stessa grazia sentimentale lo seguono ovunque. Il bimbo non soffre quasi mai del malumore di suo padre, e neppure lo schiavo di quello del suo padrone. Le risse sono rare, anche nelle infime classi del popolo, e quando vengono a scoppiare danno difficilmente occasione a quelle scenate volgari e brutali che insanguinano troppo spesso i luoghi di riunione della plebe nella nostra Europa. Un certo istinto di nobiltà preserva il turco da ogni violenza ignobile. Egli espone i suoi rancori oppure si difende con calma, e se l'accordo non è ristabilito spontaneamente le parti avverse si recano presso un uomo rispettabile per l'età o per il carattere e ne accettano il verdetto come si inchinerebbero alla sentenza di un magistrato. Un sentimento di sincera pietà, una fede cieca, una meravigliosa pazienza, una rassegnazione commovente nelle disgrazie, il gusto del bello, del vero e dell'onesto, l'abnegazione personale, ecco i caratteri principali dell'indole turca. Non parlo qui degli abitanti delle grandi città, nè dei membri delle classi alte che copiano le esteriorità degli stranieri, sebbene affettino di disprezzare [230] e di odiare tutto ciò che non è turco. Il turco elegante, affettato, spirito forte non mi piace. Voglio parlare solo del popolo delle campagne e degli abitanti poveri delle città di provincia. La condotta di questi ultimi non concorda sempre coi loro sentimenti, che però esistono ed hanno radici forti, vigorose e profonde nei cuori. Hanno resistito a dure prove, alla corruzione degli esempi, dei costumi e della legge. Colui che saprà svilupparli, sfruttarli e renderli fecondi, sarà il rigeneratore degli Ottomani.

Al punto in cui si trova oggi, che avvenire attende il popolo turco? Subirà fino agli ultimi limiti le funeste conseguenze della teocrazia? Non havvi per lui che questa crudele alternativa di perire oppure di riscattare la sua vita a prezzo della sua indipendenza? Dio lo salvi da un destino così triste! Non voglio atteggiarmi nè a profeta, nè a dottore; ma credo d'aver dimostrato che questo popolo ha in sè gli elementi di una vita morale migliore. Che può farsi per svilupparli, stornando le minacce di sventure? L'Europa si è prefissa ora, come primo scopo, la salvaguardia dell'indipendenza turca; ma può venire l'ora per un altro lavoro, per uno sforzo rigeneratore. Cosa si intenderà di fare allora? Mi limito ad indicare due necessità che dovranno certo rivelarsi, quella di costituire sul territorio turco le forze materiali capaci di svilupparne la ricchezza, ma anche quella di preparare una riforma ormai riconosciuta indispensabile nel regime creato da Maometto con scopi che ora contrastano cogli interessi e coll'incivilimento del mondo.

Il territorio ottomano invita, coll'abbondanza e la varietà delle sue risorse, alle più larghe applicazioni dell'agricoltura. Inoltre quel suolo che feconda [231] tutte le sementi da quelle degli immensi alberi a quelle dei fiori dei prati, che nutre greggi innumerevoli e preziose, quello stesso suolo non è meno ricco in giacimenti mineralogici. Ogni valle, ogni montagna possiede vene di rame, di ferro, di piombo ed anche d'argento. Sonvi ruscelli che trascinano polveri d'argento ben note agli abitanti dei villaggi vicini e che nondimeno questi non pensano a raccogliere. Questo paese possiede dunque tutti gli elementi necessari per divenire il più ricco, come è già forse il più bello degli stati del vecchio mondo. Non v'è dubbio che esso sia in grado di offrire alle potenze europee che prendono la sua difesa il compenso dei servizi che riceve da essi.

Rimane un'altra opera, che non dipende più solo dall'Europa, ma dagli stessi Ottomani.

Se è vero che la costituzione dell'islamismo, creatrice di soldati così intrepidi, sia stata fatale allo sviluppo della vita civile, se è vero inoltre che le teocrazie si ricusano ad ogni idea di progresso e di mutazione, e se, nondimeno, una trasformazione almeno parziale è oggi necessaria alla salvezza nazionale, che se ne potrà concludere? Sarà deciso l'abbandono della forma e delle basi teocratiche del governo? Attualmente ciò sarebbe inattuabile. Se anche i capi del governo avessero il coraggio eroico di rinnegare il dogma che garantisce loro un'autorità illimitata, il popolo, sinceramente ed intimamente attaccato alle sue credenze religiose, non ratificherebbe questo sacrificio. Esiste però un mezzo termine fra l'abbandono completo di un sistema e la sua rigida esecuzione. Questo mezzo termine si chiama riforma, parola odiosa ai membri delle teocrazie, ma che in questo caso speciale è già stata pronunciata molte volte [232] dagli uomini più illustri della Turchia. È vero che il favor popolare non ha circondato questa parola e neppure le cose che essa annuncia ed esprime. Ai miei occhi la ragione ne è evidente. Sebbene le riforme sin qui introdotte nella costituzione dell'Impero Ottomano fossero saggie e tendessero ad abbassare la barriera eretta dall'islamismo fra l'Europa cristiana e l'Asia mussulmana, esse non potevano recare alcun sollievo immediato alle sofferenze degli Osmanli; avevano del resto per scopo la distruzione delle limitazioni imposte nel passato ai sudditi cristiani della Porta e quest'emancipazione, reclamata dalla giustizia del pari che dalla politica, urtava pregiudizi dei maomettani zelanti. L'odio ed il disprezzo verso i cristiani fanno parte del simbolo della loro fede religiosa; intaccarli era ribellarsi contro le prescrizioni del loro libro sacro e ciò per ragioni politiche incomprensibili per la gran maggioranza dei turchi. Una riforma politica non sarà mai accolta da un popolo così profondamente credente, se non è appoggiata ad una riforma religiosa. Resta a sapere come quest'ultima dovrebbe procedere. Il Cristianesimo ha avuto anch'egli al XVI secolo i suoi riformatori. Cosa fecero? Si rivolsero alle coscienze più delicate, agli spiriti più esaltati in fatto di religione; i timidi sarebbero rimasti neutri in quella gran contesa. Gli zelanti se ne preoccuparono militando nell'uno o nell'altro campo. Perchè non accadrebbe la medesima cosa nel Levante? Occorre che i dotti scendano al livello delle menti semplici, che i grandi si facciano piccini e non rifuggano anche dall'impiegare un linguaggio mistico, dal rivendicare una partecipazione all'ispirazione divina, sola capace di procurar loro la fiducia e l'obbedienza. È necessario che in nome di quello stesso potere e di quel [233] medesimo principio che trasformavano un tempo gli ottomani in un popolo di soldati, sappiano farne oggi degli uomini. Si decidano a rovesciare ed a calpestare la fatale muraglia che separa l'Oriente dalla civiltà, insegnino al loro popolo a rivolgersi verso l'Occidente quando pronuncia le sue preghiere, perchè è da questo lato che si leva il sole ed ormai continuerà a levarsi. Gli dischiudano le vie dello studio e dell'azione, gli diano una famiglia coll'abolire la poligamia, perchè, se una moglie costituisce una famiglia, parecchie la distruggono. Inizino i turchi alle dottrine di incivilimento ed alla morale del cristianesimo, pur senza pronunciare il nome del Cristo; atteggiandosi a commentatori del Corano, ne modifichino profondamente le massime ed i precetti. Questi propositi non sono facili a realizzarsi, lo so, e non potrebbero attuarsi in Europa nel secolo in cui viviamo; ma l'Asia non è l'Europa. Del resto le circostanze premono imperiose ed è ora di decidersi.

Credo di aver detto abbastanza per mostrare a quali condizioni una trasformazione salutare potrebbe compiersi in Turchia. Mi fermo dinanzi a prospettive nelle quali sarebbe temerario di arrischiarsi troppo a lanciare uno sguardo. Volevo nondimeno lasciarle intravvedere e, dopo aver narrato un viaggio che mi aveva rivelato sotto aspetti così tristi l'applicazione delle dottrine del Corano, volevo combattere queste ultime in nome del carattere stesso e degli interessi del popolo che esse reggono.

FINE

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