CAPITOLO III. Pepy

Le inquietanti sorprese avevano appena incominciato a prodursi. Il capitano Haver continuava a rimuginare spiegazioni su spiegazioni per non dover ammettere che la falla circolare era opera di una forza sconosciuta e diabolica. Ma ciò fu presto dimenticato e parve una cosa logicissima di fronte a quanto il capitano Haver doveva constatare sull'Edison.

Intanto, egli ebbe la sorpresa di non vedere apparire le coste dell'isola che, secondo i suoi calcoli, avrebbe dovuto essere in quel giorno alle viste. Poi, nella notte serena, ebbe a constatare che la via segnata dalle stelle non era affatto quella segnata dalla bussola. Il capitano Haver, che aveva una cieca fiducia sulla precisione della sua bussola, fu lì lì per ammettere che fosse il corso delle stelle ad aver mutato direzione. Ma dovette invece persuadersi che l'ago della bussola deviava dalla sua giusta direzione, e se ne infischiava della legge che lo costringeva a segnare il nord.

Dovette convenire coi suoi quattro passeggeri che qualche forza invisibile ed estranea faceva deviare la bussola e che la rotta dell'Edison non era quella da lui tracciata. Questo, in un certo modo, egli lo poteva ammettere.

Ma ciò che gli fece nascere l'idea d'aver cambiato addirittura pianeta, fu il fatto inaudito di scorgere nella notte serenissima una poco allegra danza di fulmini attorno alla nave. I fulmini, però, non colpirono nessuno. Apparivano e poi scomparivano, spegnendosi nell'acqua. Pareva che volessero dare l'abbordaggio al yacht e che non ci riuscissero.

Tuttavia qualche danno essi lo portarono, secondo Motho, il cuoco cinese.

Il danno consisteva in questo che il lardo, il burro, le uova, il caffè, lo zucchero ed altre cibarie, venivano misteriosamente sottratte dalla credenza.

Secondo Motho, era questo uno dei tanti scherzi del fulmine a ciel sereno.

Ma i quattro passeggeri erano piuttosto convinti che i cibi fossero rubati dal Gigante.

— Forse, chissà, Mister Giga ha appetito – disse Tom Fred – e ricorre alle provviste dell'Edison per sfamarsi.

Beveva anche un po' Mister Giga, perchè parecchie bottiglie di Gin erano sparite.

Tutto questo turbava molto il capitano Haver. Egli doveva regolare la rotta sugli astri. Fortunatamente che il tempo era bello: ma quando fosse sopravvenuta la nebbia, chissà dove si sarebbe sbattuto l'Edison?

La sorpresa più grande fu per il capitano Haver il dover constatare che il Gigante, forse per compensare le sue sottrazioni, gli portava dei doni, a vero dire, piuttosto strani.

Una mattina egli trovò nella sua cabina, sull'impiantito vicino alla porta, una lettera.

Diamine! chi gli scriveva?

Egli la dispiegò e lesse:

«Signor Capitano, nel caso che mi si scoprisse, io imploro fin d'ora la vostra clemenza... Credetemi, signor Capitano, se ho fatto qualche birichinata, l'ho fatta per non morire di fame... del resto non sono cattivo... Ditelo ai signori Tom Fred, Din Gimmy, Nello Sorasio e Murray... Ma dite anche al sig. Motho di non nascondere in tal modo le vivande come fa da due giorni... Se sono un po' birichino, questa non è una buona ragione per farmi morire di fame».

Haver lesse e rilesse questa lettera, scritta a lapis ed a caratteri incerti e la portò in coperta ai suoi quattro passeggeri.

— Ecco una lettera di Mister Giga – disse.

I quattro se la passarono di mano in mano.

— Quale spudorato! – esclamò Tom Fred sentendo il sangue salirgli al viso ed i pugni inturgidirsi di swings. – Le chiama birichinate, le sue!

— Evidentemente, Mister Giga non manca d'umorismo – soggiunse Nello Sorasio.

— Il poverino teme di essere scoperto ed implora la clemenza del capitano Haver – gridò Tom Fred. – Ma il capitano Haver è pregato di trasmettere a me la facoltà di clemenza!

— Teme anche di morir di fame e si lamenta che il cuoco metta al sicuro le cibarie – osservò Din Gimmy. – Che in fondo si tratti di un buon gigante uso Maciste?...

— Un buon gigante non si diverte a rubare donzelle! – disse Tom Fred.

— Nè a bucare le navi! – soggiunse il capitano Haver.

— Nè a far saltellare fulmini attorno ai fianchi dell'Edison.

— Nè a farci perdere la rotta!

— E poi, chi vi dice, capitano Haver, che sia stato il Gigante a scrivere questo biglietto? – chiese Murray.

— Per mille furie! – esclamò Haver. – A meno che non si tratti di uno scherzo vostro o di qualche marinaio: ma siccome questo sarebbe assurdo pensarlo, così credo che sia Mister Giga.

— Ma se ne negavate l'esistenza! – esclamò Tom Fred.

— Lo negavo, perchè immaginavo che le leggi fisiche non avessero ancora fatto fallimento: ma ora che esse hanno presentato il loro bilancio al Tribunale del Buon Senso e della Logica, debbo convenire che il Gigante esiste. Comunque, darò ordine a Motho di raddoppiare la sorveglianza sulle cibarie. Se il Gigante trova il modo di entrare nella nave invisibile per nutrirsi, crepi di fame!

Ed infatti diede ordine a Motho di fare la più attenta guardia alle provviste.

Ma il giorno dopo lo stupore del capitano Hawer aumentò. Entrando nel frapponte, urtò contro qualche cosa.

Guardò.

Era un ragazzo steso sull'impiantito, immobile.

— Questo, poi, è un po' troppo! – esclamò. Lo scosse: il ragazzo non diede segni di vita.

Haver si chinò: tastò il cuore a quel personaggio la cui presenza era inesplicabile. Il cuore pulsava, impercettibilmente, ma pulsava.

Il capitano Haver sollevò il ragazzo, se lo prese in braccio e di corsa lo portò nel quadrato di poppa, dove si erano radunati i suoi quattro passeggeri.

Lo depose su una panca.

— L'ho trovato nel frapponte – disse. – Credo che non sia Mister Giga.

— No, certamente – fece Tom Fred. – Di dove è venuto?

— Non lo so – rispose il capitano Haver. – Ma se non so come sia venuto, so che è... svenuto.

Il sovvertimento dello svolgersi ordinario della vita aveva avuto nel vecchio lupo di mare un effetto nefasto: lo spingeva alle freddure.

Nello Sorasio schiuse i denti al ragazzo, mentre Tom Fred gli versava in bocca qualche goccia di gin. Il ragazzo riaperse gli occhi.

Aveva un visetto simpatico ed i due occhi apparvero azzurri.

— Che cosa fai qui? Chi ti ha portato sull'Edison? Chi sei? Che cosa vuoi da noi?

Questo fuoco di fila di domande sarebbe continuato per un po' da parte del comandante del yacht, se il ragazzo non avesse aperto la bocca.

Tutti rimasero in attesa delle parole che stava per pronunciare. Egli disse con voce fievole

— Mangiare.

Questa semplice parola parve subito chiarire il mistero della lettera rinvenuta nella sua cabina dal capitano.

Din Gimmy scese in cucina mentre il capitano continuava ad interrogare.

— Mangiare? – Va bene, ti daremo da mangiare. Ma tu devi dirci che cosa fai sull'Edison.

— Mangiare – ripetè il ragazzo.

Din Gimmy ritornò con del tonno in scatola ed un uovo: ruppe la punta dell'uovo e lo porse al ragazzo che, a stento, si era messo a sedere. Lo succhiò avidamente e poi, riprendendo un po' di forza, si mise a divorare con avidità il tonno ed il pane.

Tom Fred gli versò un bicchiere di vino: il ragazzo lo tracannò d'un fiato. Un bel colorito apparve sul suo viso: i due occhi azzurri lampeggiarono di vivacità.

— Avevo fame – disse in tono di monello che ama lo scherzo – ma la colpa non è mia.

— Bene? – chiese il capitano.

— La colpa è del signor capitano – rispose il ragazzo. – Se il signor capitano avesse dato ascolto alla mia lettera, non avrebbe fatto chiudere a chiave i cibi, ed io avrei mangiato, come facevo prima.

— Allora è da molto tempo che tu ti nascondi nell'Edison? – brontolò il capitano Haver.

— Da quando siamo partiti – rispose il ragazzo.

— Sai tu che cosa sei? – gridò il capitano, mentre gli altri osservavano curiosamente il ragazzo.

— Sì che lo so, signor capitano. Sono un monello.

— Come hai fatto ad imbarcarti clandestinamente? – chiese Tom Fred.

— È stato facilissimo. Mi sono nascosto in una cassa vuota che portammo al porto e mettemmo insieme alle altre che dovevano essere imbarcate...

— Portammo... mettemmo... Eravate dunque in due a nascondervi?

— No... io solo. Ma per fare quell'operazione bisogna essere in due. Altrimenti chi inchioda il coperchio?...

— Giusto!

— Allora pregai il mio amico Babà di chiudermi nella cassa – disse il monello.

— Chi è Babà?

— Come? Non conoscete Babà? È il negro del molo... È negro fin dalla nascita, ma ciò non toglie che in fin dei conti sia un brav'uomo... E poi, gli ho promesso cento dollari quando prenderò una bella paga ad Hollywood.

— Anche tu! – esclamò ridendo mister Murray.

— E come no, signore? – esclamò il ragazzo. – Credete dunque che io non lo conosca il giuochetto?

— Quale giuochetto? – chiese Din Gimmy.

— Il giuochetto per fare il cine. Bisogna infischiarsene dei biglietti ferroviari, dei capitani di nave, e dei piloti d'areoplani... Ci si rifila dentro di soppiatto, in un posto dove nessuno ficchi il naso e dove sia possibile trovare il mangime, e poi, quando si arriva si dice: Scusate tanto; e così si è celebri! Io sono stato costretto ad anticipare le scuse, in causa del signor cuoco... Morivo di fame e non ho trovato di meglio da fare che cadere svenuto...

— Perchè hai scelto l'Edison? – chiese burbero il capitano.

— Caspita! – Dovevo lasciarmi scappare la bella occasione di fare un viaggio alla ricerca del Gigante? – disse il ragazzo.

— Tu lo sai che andiamo incontro a gravi pericoli? – disse Nello Sorasio.

— E che perciò? – fece il monello con una scrollatina di spalle. – Se io ritrovo Tanagra, pensate che bella carriera faccio nel cine!...

— Ah sì? – gridò Haver – al primo porto ti consegno alle autorità marittime.

— Non è vero – disse il monello.

— Come, non è vero? – urlò il capitano.

— No, perchè voi siete il capitano Haver! – fece il ragazzo.

— Bene?

— Il capitano Haver non fa mettere in prigione il figlio del povero marinaio Saleby.

— Tu sei il figlio di Saleby, il marinaio morto otto anni fa?

— Precisamente, e mio padre mi diceva sempre: Buona pasta quel capitano Haver: per conseguenza rimane escluso che il capitano Haver mi abbandoni per la strada... Il capitano Haver al contrario aiuterà Pepy ad aprirsi una strada ad Hollywood.

— Pepy è il tuo nome? – chiese Nello Sorasio.

— Fino a quando non lo muterò – rispose Pepy, – perchè non potete mica immaginare che si possa diventare un astro con questo nome di Pepy...

— Sei fuggito di casa con questo bel programma! – fece Murray.

— Per fuggire di casa, bisognerebbe averla – ragionò Pepy. – Ma da quando è morta la mamma, la mia casa è sugli alberi ed in cento altri luoghi che generalmente non servono ad alloggiare.

— Non hai paura del Gigante? – chiese Tom Fred.

— Perchè? Cosa c'è d'aver paura? – disse Pepy. – Un bamboccio che vola non deve far paura. Si ha forse paura a sentire la radio? Si ha forse paura di un areoplano? Ebbene, questo Gigante non è altro che un areoplano colla forma di un grande fantoccio e che parla come una radio...

— In fondo – opinò mister Murray – questo monello ha ragione. Ciò che colpisce la nostra immaginazione non fa che divertire i ragazzi, avvezzi fin dalla nascita a vivere tra i miracoli della scienza...

— Ebbene, capitano – disse Tom Fred – perdonate a Pepy ed accoglietelo tra i vostri passeggeri.

— Sia... ma ascoltami bene, Pepy: tu devi comportarti da buon ragazzo, non devi stare in ozio e ubbidire come un marinaio... —Tuo padre era una brava persona e tu devi imitarlo.

— Signor capitano, Pepy non può essere cattivo, perchè Pepy è figlio di un buon marinaio... Una passeggiatina in onore del capitano Haver, suvvia, da bravo Pepy!

Ed il monello, gettandosi in giù colle mani ed in su colle gambe, si mise a passeggiare dinanzi al capitano.

Tom Fred, da buon artista di circo, gli afferrò i piedi alzati al cielo, lo sollevò e gli fece fare un elegante salto mortale.

— Grazie, Tom Fred – esclamò Pepy porgendogli la mano. – Tra tutti e due faremo una grande cosa!

— Cosa? – chiese l'acrobata celebre.

— Tra tutti e due faremo il paio! – rispose Pepy sgusciando via per evitare uno scappellotto che gli aveva tirato Tom Fred...

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