CAPITOLO V. L’“Edison” speronato

A chi apparteneva quella nave?

Era impossibile saperlo.

Il proiettore mandava sull'Edison la base abbagliante di un gran cono di luce che si prolungava sul mare e faceva vertice alla prua della nave minacciosa.

Perchè, non v'era dubbio: la nave, sorta improvvisamente dalle profondità delle tenebre, si avanzava verso il yacht.

Il capitano Haver aveva ordinato la fuga. L'Edison cercava di sottrarsi a tutto vapore all'inseguimento della nave misteriosa.

Dapprima nacque in ognuno la speranza di potersi presto mettere fuori pericolo. L'Edison aveva distanziato la nave inseguitrice.

Ma la speranza non fu di lunga durata.

Il cono di luce si andava rapidamente raccorciando: la nave si avvicinava.

Il capitano Haver imboccò il megafono.

— Che volete da noi? – chiese.

Una voce sonora la cui vibrazione metallica fu immediatamente identificata da Tom Fred e da Din Gimmy, testimoni del rapimento di Tanagra, giunse subito in risposta:

— Non avete ubbidito ed ecco il castigo!

Il capitano Haver ordinò ai macchinisti di fare l'impossibile, anche a costo di far scoppiare le caldaie: ma la nave assalitrice si avvicinava inesorabilmente.

La luce scagliata dal riflettore era diventata accecante, e solo da questo abbagliamento progressivo si desumeva che la nave fosse prossima al yacht: ma essa non si scorgeva.

— Bisogna incassare il colpo – balbettò Tom Fred.

Queste parole erano appena uscite dal petto dell'acrobata, che l'Edison diede una possente scrollata, gettando a terra qualche marinaio.

La nave infernale aveva speronato la poppa dell'Edison!

Improvvisamente il riflettore si spense e l'oscurità ingoiò la tragica scena.

Un urlo di rabbia impotente uscì dall'equipaggio.

Tom Fred scagliò due pugni in aria.

— Canotti in mare! – ordinò il capitano.

— Ed anche l'idrovolante – soggiunse Sorasio.

Mentre una parte dei marinai eseguivano l'ordine del capitano, alcuni altri aiutavano Nello Sorasio a staccare l'idrovolante dalle sue sospensioni ed altri ancora facevano scivolare il piano inclinato oltre i bordi del fianco col quale la macchina avrebbe preso il mare.

L'Ufficiale in seconda si era precipitato nella stiva e fece presto ritorno per esclamare

— Una falla enorme ed irreparabile! Il radiotelegrafista sta lanciando il «S.O.S.» – soggiunse.

— Speriamo che l'appello sia raccolto! – fece il capitano Haver.

Ma non appena pronunciate queste parole, l'aiutante del radiotelegrafista accorse e con voce rotta dall'angoscia, annunziò:

— L'apparecchio non funziona! Nessuno risponde!

— Come mai? – disse il capitano con voce ferma. – Che è successo?

— Harris dice di non saperselo spiegare – aggiunse l'aiutante.

Ciò che il radiotelegrafista non riusciva a spiegare era purtroppo evidente a Din Gimmy, il cui negativo girato della inverosimile scena del Lago d'Oro era stato impressionato da raggi misteriosi.

Questi raggi avevano pure dovuto influire sul funzionamento dell'apparecchio radiografico dell'Edison.

— Non dobbiamo sperare che qualche nave raccolga il nostro «S.O.S.» – disse Din Gimmy. – Mister Giga lo ha intercettato e volatilizzato...

Il capitano Haver aveva subìto durante la sua vita marinara, non pochi naufragi, ma nessuno di essi aveva avuto l'onore di spaventarlo.

Quello di cui ora era vittima presentava caratteri così singolari che Haver non potè reprimere il diffondersi di un freddo sudore sulla sua fronte. L'Edison era irrimediabilmente perduto!

— Povero Edison! – mormorò il capitano Haver. – Lo amo come un figlio!

Il yacht affondava, inclinandosi rapidamente a poppa.

In breve tempo i canotti furono calati in mare.

Intanto Haver ed i quattro compagni discutevano brevemente sul salvataggio.

La decisione fu subito presa.

Il capitano Haver disse all'ufficiale in seconda Toper:

— Prendete posto nei canotti coi marinai... Questi signori saliranno sull'idrovolante...

— Con voi, capitano – disse Nello Sorasio.

— Forse!

— Come, forse? – chiese Tom Fred.

— Rimango sull'Edison fino all'ultimo. Quando gli avrò recitato le preghiere dei morti, cercherò di raggiungervi.

— Impossibile!

— Voi mi cercherete in mare... So ancora nuotare, grazie al cielo! – fu la risposta di Haver.

Per quanto Nello Sorasio e gli altri insistessero per farlo salire con loro, il capitano non volle subito abbandonare la nave.

— Non ci allontaneremo – disse Nello Sorasio.

I quattro salirono sull'idrovolante, già collocato sul piano inclinato. La macchina venne abbandonata e prese il mare.

— E Pepy? – gridò Tom Fred.

— Son qui! – rispose il monello portandosi a fianco di Haver – mi salverò col capitano.

I marinai avevano preso posto coll'ufficiale in seconda nei canotti e questi si erano già allontanati.

Il capitano aveva infilato Pepy in un salvagente. La nave affondava rapidamente.

— Addio Edison! – mormorò Haver. – Salviamoci, Pepy.

L'uomo ed il ragazzo si gettarono in mare. Nuotando energicamente si trassero fuori dal vortice che l'affondamento della nave stava per produrre e che avrebbe reso difficile il salvataggio.

— Che cosa porti con te? – chiese Haver che aveva urtato qualche cosa di duro, nuotando a fianco del ragazzo.

— La macchina di presa – rispose Pepy. – Mister Gimmy l'ha dimenticata.

L'idrovolante non doveva essere lontano: se ne udiva rombare il motore. L'oscurità era fitta nella notte senza luna e senza stelle.

Alcune onde investirono i due nuotatori.

— L'Edison è affondato ora! – disse Haver – è venuto sin qui il vortice.

L'idrovolante si avvicinava... Si udiva Tom Fred chiamare:

— Capitano Haver!... Pepy!

— Siamo qui!

Una mano era uscita dalla carlinga con una lampadina elettrica accesa.

Guidati dalla luce, i due nuotatori raggiunsero l'idrovolante e vennero issati a bordo.

Poco dopo l'apparecchio si alzava a volo seguendo la medesima rotta dell'infelice yacht; ma Nello Sorasio, appena il giorno lo avesse permesso, aveva l'intenzione di cercare l'equipaggio salvatosi nei canotti.

Quindi procurò di non allontanarsi molto dal punto ove era successa la catastrofe.

Fortunatamente le nubi si erano diradate in cielo e la luna fece la sua benvenuta comparsa illuminando la superficie del mare. Questo era calmo.

Tale circostanza rallegrò i viaggiatori, perchè li rese speranzosi che i marinai non corressero nessun grave pericolo.

Il capitano Haver, avendo preso il punto, annunziò che un gruppo di isole non doveva essere lontano. Nello Sorasio prese la direzione indicata dal capitano e scese a bassa quota.

Pepy, pur rimpiangendo la perdita dell'Edison, si mostrava soddisfattissimo di viaggiare su un velivolo.

Era da tanto tempo che vagheggiava una simile prospettiva! Din Gimmy lo ringraziò di aver pensato a salvare la macchina di presa e gli promise che gli avrebbe fatto una bella quantità di «provini» appena l'occasione si fosse presentata.

— Terra! Terra! – gridò ad un tratto il monello.

Infatti una grande macchia verdastra spiccava sull'acqua e si distendeva in forma bizzarra, sperdendosi nella imprecisione di un orizzonte indistinto.

Nello Sorasio abbassò ancora l'apparecchio e gli fece fare alcuni giri su quella terra che doveva appartenere al gruppo di isole a cui aveva accennato il capitano.

La luce lunare essendosi fatta più chiara e nitida, i viaggiatori scorsero vari canotti e parecchi uomini che agitavano le braccia.

— Sono i miei bravi marinai! – esclamò il capitano Haver. – Spero che si siano salvati tutti.

Il pilota fece compiere all'apparecchio alcuni giri, cercando di scoprire un luogo adatto per la discesa, ma non trovandolo si accinse ad ammarare.

Mezz'ora dopo i sei viaggiatori dell'aria erano accolti dalle grida festose dei marinai.

Il capitano Haver non potè trattenere una lagrima: la catastrofe non aveva costato nessuna vita umana, ma egli aveva perduto l'Edison!

Murray lo incuorò, dicendogli che se dalla spedizione poteva sortire l'esito che tutti si ripromettevano, avrebbe pensato lui a fornirgli un altro yacht.

La spiaggia dell'isola era spopolata, come certamente doveva essere spopolato l'interno; pareva quindi inutile perdere tempo andando alla ricerca di un ricovero per passare il rimanente della notte.

Si decise di prendere riposo all'aperto e di attendere il mattino per concretare una decisione su quanto si doveva fare.

Le emozioni della giornata e la stanchezza, non prolungarono oltre misura l'attesa del benefico sonno. Questo scese rapidamente e si popolò di strani sogni.

Pepy sognò che Tom Fred lo lanciava come un boomerang prodigioso fino alle spalle del Gigante, a mille metri d'altezza e che egli, Pepy, riusciva a strappare dal mostro un cervello fatto tutto di ingranaggi, di leve e di molle... Ed allora, senza cervello, il Gigante alato si lasciava condurre dove egli voleva... E così Pepy gli ordinò di recarsi all'Isola di Granata, nome che letto al rovescio voleva dire Isola di Tanagra... Il mostro gli ubbidì e lo condusse a volo nell'isola, ove la famosa stella di Hollywood era legata ad un albero e già una tigre stava per divorarla... Ma il Gigante, dietro un ordine di Pepy, scese in tempo per fermare la tigre, anzi per ucciderla con un pugno... Pepy slegò la bella signorina e le chiese in quale altra cosa le poteva esser utile... Allora la stella lo pregò di farla assistere al boomerang vivente, perchè, dopo una così lunga prigionia, la poverina sentiva il bisogno di distrarsi un po' ed in quel paese non c'erano ancora sale cinematografiche... Pepy ordinò al mostro di sostituirsi a Tom Fred e di lanciarlo a guisa di boomerang. Naturalmente, il Gigante che, senza cervello meccanico, era diventato docile come un agnello, si affrettò ad esaudirlo... Io prese per i piedi e lo lanciò davanti a sè... Come è logico attendersi dal lancio d'un bestione così forte e potente, Pepy descrisse una traiettoria immensa quanto l'Oceano Pacifico, attraversò l'America, passò sopra Hollywood, rasentò il Re dei films a metraggio infinito e gli gridò: Tanagra è salva e vi saluta!... Poi compì il viaggio di ritorno e cadde tra le braccia del mostro che dalla commozione piangeva, mentre Tanagra rideva, rideva, contenta di quanto aveva veduto...

Share on Twitter Share on Facebook