CAPITOLO VI. Hollywood, for ever

No, dopo tutto, Tom Fred non poteva rinunciare al suo fiducioso ottimismo sui monelli californiani in genere e su Pepy in particolare.

Un ragazzo che sa deludere come un gatto le leggi di gravità, non può lasciare in secco i suoi amici.

Lasciare in secco non era l'immagine più acconcia, ma Tom Fred non aveva la comodità di limare il suo pensiero.

Il più importante era di aver ragione.

E non andò a lungo che egli l'ebbe.

La cisterna si illuminò di bianca luce.

— Permettete, signori, che getti un po' di luce sulla situazione!

Era Pepy che aveva girato la chiavetta della luce elettrica trovatasi a portata di mano.

— Volete favorire, signori?

Ed il monello lasciò penzolare lungo le pareti del pozzo una fune, o meglio, alcuni fili di rame rivestiti, attorcigliati, con qualche nodo qua e là, per facilitare la salita.

— Ebbene, Pepy, piccola Provvidenza, com'è andata? – chiese Nello Sorasio.

— È andata così, che ho percorso il corridoio, mi son trovato in altro corridoio, in fondo al quale v'era una porta aperta, che metteva in una stanza rossa ed io mi feci piccolo come un gatto, raccolsi un po' di questo filo a terra, andai dietro a un uomo che batteva sui tasti, gli gettai il laccio perchè non movesse le mani, afferrai una rivoltella lì vicino, e poichè il cattivaccio mi morsicò una mano, gli sparai sulle gambe...

Questo discorso il monello lo fece arruffatamente e precipitosamente, mentre i suoi quattro amici si arrampicavano sulla fune e raggiungevano il corridoio.

— E Tanagra? – chiese ansioso Nello Sorasio, abbracciando il ragazzo.

— Ne ho sentita la voce dietro una porta, ma questa è chiusa e non v'è la chiave – rispose il ragazzo. – Non ho avuto il tempo di cercarla.

— Ed i giapponesi? – chiese Tom Fred.

— Il diavolo solo sa dove si trovano, io no! – fece il monello. – Del resto, non li ho cercati.

— Andiamo a liberare Tanagra! – disse Nello Sorasio.

I cinque compagni percorsero il corridoio del pozzo e quello che metteva al Gabinetto di trasmissione: presto. lo raggiunsero.

Il Barone Von Krämer stava facendo sforzi disperati per premere col mento un tasto del suo infernale apparecchio, ma essendo legato alla sedia, non ci riusciva.

Murray si precipitò su di lui e lo guardò.

Alla luce delle lampadine rosse, il viso del tedesco appariva spaventoso d'odio e di collera.

— Barone Von Krämer – disse Murray – guardatemi mi riconoscete?

— Otto Remert! – fece il Barone, stupefatto.

— No, quello era un nome posticcio che avevo preso per spiarvi, Barone – esclamò Murray. – Noi ci siamo conosciuti in quel castello dove un uomo sogna ancora la supremazia della Germania sul mondo.

— Spia! – gridò il Barone.

— Sì, spia! – rispose l'americano. – Mi vanto di esserlo stato per la salvezza del mio paese. Ho potuto così comprendere che voi proponeste a quell'uomo un pazzo progetto che il Giappone sembrava favorire.

— Il mio progetto non è pazzo – urlò il tedesco. – Liberatemi, ed io vi dimostrerò che l'America è in mie mani.

— Troppo tardi! – disse Murray.

E così dicendo, frugò nelle tasche del Barone: ne trasse qualche carta e una chiave.

— Prendete, Sorasio: questa forse è la chiave che chiude la camera di Tanagra.

Il giovane si precipitò fuori accompagnato da Pepy.

— Tanagra!

— Nello!

L'attrice si gettò tra le braccia del cugino mentre Pepy guardava in fondo al corridoio con viso spaventato.

— Del fumo! – gridò.

— Mio Dio – disse Tanagra. – Viene dalla sala degli esplosivi!...

— Salviamoci! – fece Pepy, correndo ad avvisare Murray e Din Gimmy che stavano esaminando la tastiera e l'infernale Gabinetto del Barone Von Krämer,

— Fuggiamo!

Tanagra guidò i suoi salvatori per un corridoio laterale.

In fondo ad esso si trovava l'ascensore: vi entrarono.

Un istante dopo si trovarono, al termine della corsa, in uno spazio limitato da roccie.

Un varco vi si apriva. Lo attraversarono e si trovarono all'aperto, in mezzo ad una radura, cosparsa qua e là di cespugli. La percorsero e furono in vista del mare.

— Mister Giga, buona sera! La tua giornata è finita! –esclamò Tom Fred.

Il Gigante, che avrebbe dovuto essere il capostipite di un esercito spaventoso destinato ad invadere l'America, sedeva, inerte e melanconico, sulle sue ali ripiegate, le enormi braccia allargate, la testa reclinata come in uno sconforto definitivo, gli occhi semisferici spenti.

Pepy volle lanciargli un sasso.

Esso lo colpì al fronte.

Mister Giga mandò un suono lamentoso di moribondo.

— Non perdiamo tempo! Abbandoniamo l'isola! – gridò Tanagra. – Se il fuoco raggiunge la provvista di esplosivi, siamo perduti!

— Sarebbe veramente un peccato, dopo avervi finalmente raggiunta! – disse Tom Fred.

Presero tutti la rincorsa verso l'insenatura ove si trovava ormeggiato l'idrovolante.

Vi salirono.

Liberato dagli ormeggi, l'idrovolante scivolò sulle acque tranquille e dopo un cinquecento metri, si levò a volo. Mentre Nello Sorasio prendeva quota, un immenso cono nero di fumo e di frantumi, si formò improvvisamente sul mare.

Un formidabile fragore seguì.

L'Isola di Granata era saltata in aria con il Barone Von Krämer, i giapponesi ed il Gigante «Terror» che voleva regnare sul mondo.

Il miracolo meccanico spariva coll'Isola dove era nato e coll'inventore che l'aveva concepito.

Il Gigante dell'Apocalisse rientrava nel nulla, dove è giusto che rientrino i mostri ideati dalla perversa ingegnosità dell'uomo che cerca soltanto il brutale dominio del mondo.

Lo spirito, e non la materia, deve trionfare nella divina ascesa dell'umanità.

*
* *

— A che pensate, Tanagra? – chiese Tom Fred.

— Non è difficile immaginarlo – disse Din Gimmy. – A suo cugino.

— Faremo una gran festa ai vostri sponsali – mormorò Murray – e chissà che il Presidente non vi faccia un regalo di nozze. Grazie al vostro rapimento, l'America si è salvata da uno spaventoso tentativo.

— E Sam Woller attende che voi ricadiate dal cielo su un materasso di dollari! – disse Pepy.

— Sta zitto tu, se vuoi diventare il mio groom! – esclamò Tanagra.

— Il vostro groom? No, miss Tanagra. Io voglio vedere ai miei piedi tutta Hollywood. E Chaplin dovrà lucidarmi le scarpe!...

— Ed io, monello? – chiese Tom Fred.

— Voi mi lancerete in un boomerang che farà il giro del mondo!...

— Se almeno Din Gimmy avesse girato una scena del nostro viaggio! – fece Tom Fred. – Domando io a che scopo abbiamo condotto con noi un operatore cinematografico

— Tacete! – urlò Din Gimmv rabbiosamente.

E difatti, per un operatore, il non aver potuto mostrare al mondo nemmeno un metro delle sue strabilianti avventure, è cosa che non mette in allegria...

Ma chissà che il buon Din Gimmy non si rifaccia in seguito, se l'Autore mantiene la sua promessa di narrare altre strabilianti avventure di Tanagra, Pepy e Compagni...

FINE.

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