CONCLUSIONE

Ogni ricerca critica è vana, se ad essa non presiede un concetto filosofico generale. Lo studio documentario, fine a sè stesso, è diletto egoistico di intelletti che non scorgono nella realtà della vita vissuta l'intima armonia onde sono avvinte tutte le manifestazioni dello spirito umano. Accingendoci a studiare la storia dello gnosticismo noi siamo stati tenacemente sospinti da due concetti sintetici: da una parte ci è sempre parso che il cristianesimo sia innanzi tutto un grande fatto sociale, e, come tale, abbia conquistato la società romana insinuandosi lentamente nelle sue carni, assorbendone le migliori correnti intellettuali, elaborando progressivamente i suoi elementi morali a contatto con la sua mentalità evolutissima e la sua psicologia molto fine: e abbiamo creduto di poter constatare che la diffusione del cristianesimo nei primi secoli aveva delle singolari analogie con la propagazione dei sentimenti umanitari nella società contemporanea, che le lotte dei partiti pugnanti oggi fra noi, avessero una rispondenza notevole nella lotta dei partiti religiosi nei primi tre secoli. Dall'altra parte abbiamo creduto che lo studio dello gnosticismo, di un fenomeno religioso così profondo per intensità e ricchezza spirituale, ci avrebbe molto aiutato per conoscere il fenomeno religioso in sè e nei suoi essenziali caratteri, perchè anche le manifestazioni morbose possono guidare alla conoscenza della vita.

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Parlando delle relazioni storiche che passano tra lo sviluppo del cristianesimo primitivo e il problema della schiavitù, della dignità cioè personale dell'uomo, A. Harnack scrive: «La Chiesa non condannava il diritto dei padroni sopra gli schiavi come una cosa in sè cattiva e peccaminosa, ma al contrario essa riguardava la schiavitù come uno stato naturale. I mutamenti verificatisi in quest'ordine di cose non provengono dal cristianesimo, ma sì da un generale movimento d'idee filosofico-morali e da necessità economiche». Il giudizio ci sembra troppo reciso: e noi non ce la sentiremmo di seguire il critico di Berlino nel negare ogni vincolo di dipendenza fra tutto il movimento d'idee umanitarie che seguì la decadenza della schiavitù, e il movimento iniziale cristiano. La simultaneità dei due fatti è già indizio notevole (non diciamo argomento apodittico) della loro correlazione. Se a questo indizio aggiungiamo gli argomenti documentari, il sospetto può trasformarsi in certezza. L'antica letteratura cristiana, da Ignazio (Ep. ad Pol. 4), attraverso Taziano, Tertulliano, Aristide, fino a Calisto e a Lattanzio, ci mostra che il sentimento religioso ha coperto le differenze di ceto e ha stretto i seguaci del Vangelo in un unico senso di fratellanza. Il De Rossi osservava fin dal 1866 (Bullett. p. 24) che nelle iscrizioni sepolcrali cristiane mai figura la designazione di schiavo. L'Harnack deve troppo ingegnosamente attenuare la validità di questi argomenti per appoggiare la propria asserzione. Non è, per esempio, arbitrario il suo modo d'intendere il permesso concesso da Calisto alle matrone di stringere vincoli sessuali con uomini di condizione servile, quasi che il pontefice avesse semplicemente voluto soddisfare ai desiderii delle matrone cristiane, anzi chè sanzionare solennemente il riconoscimento dei diritti umani dello schiavo? Per appoggiare tale interpretazione l'Harnack deve fare un uso troppo fiducioso delle frasi capziose di Ippolito (IX, 12). Nulla di più naturale, infatti, che l'antico schiavo di Carpoforo, dopo una vita tanto avventurosa, recasse, sulla sede di Pietro, i sentimenti democratici della sua anima, consapevole dei dolori e delle sofferenze umane. L'Harnack forse vorrebbe anche in questo caso, per affermare un nesso tra la decadenza della schiavitù e il successo cristiano, dichiarazioni esplicite e ripetute dei padri in favore dell'affrancamento universale. Ma la pretesa non è giustificata. Lo storico deve leggere al di là dei documenti, in quel vasto e anonimo movimento di coscienze da cui realmente germogliano i grandi fatti sociali: far ciò, non è un prolungare all'indefinito le prospettive storiche, è un obbedire ai suggerimenti dell'induzione scientifica. Oggi, per esempio, mentre così possente domina in tutta la nostra vita un altro problema economico, il problema del lavoro salariato, chi può scorgere di esso la tacita, invisibile efficacia sulle manifestazioni più eterogenee della politica, della morale, del pensiero? In realtà, i grandi avvenimenti della storia non hanno intera la loro spiegazione nei moventi visibili e negli attori che appariscono alla superficie della vita sociale. Quando profonde modificazioni economiche han maturato in seno a una collettività umana; quando i problemi che da esse scaturiscono appaiono inesorabili alla coscienza dei più; tutte le vecchie consuetudini del pensiero e della pratica cominciano, in un turbinio complicato, sotto la guida di azioni e reazioni impercettibili, a muovere verso il proprio integrale rinnovamento. La luce della coscienza riflessa involge la minima parte di questa profonda operosità umana: il resto, si svolge nella penombra dell'incosciente, dominatore sovrano della vita.

Quando apparve il Vangelo, un'impaziente aspirazione di progresso economico e morale agitava il mondo romano, tutto intorno al bacino del Mediterraneo. Nuovi fattori politici erano entrati in azione dopo la conquista definitiva dell'Oriente; e nuovi coefficienti economici operavano nella vasta organizzazione sociale, retta ormai sui traffici e sulla produzione artigiana, più che sulla coltura a schiavi della terra. L'annunzio messianico sbocciò in Palestina, erede di tutta la vecchia e radicata aspettazione ebraica del trionfo. Spezzò rapidamente le barriere giudaiche, e risuonò sulle soglie del mondo romano. Fu messaggio di pace e di fratellanza nel sentimento ugualitario della divina paternità; fu sogno di benessere terreno millenario; fu annunzio di riscatto individuale dalla colpa e dal dolore. Guadagnò proseliti, e fu perseguitato dall'autorità pagana. Ma personificava in sè tutti i desiderii e tutte le aspirazioni umane, e non fu potuto svellere dalle anime. Più tosto determinò fra queste una selezione spontanea, le atteggiò variamente, tutte verso l'agognata conquista legale dei loro diritti di libertà religiosa e di uguaglianza etica. Le leggi infatti giungono sempre in ritardo a sanzionare quel che è penetrato nella coscienza collettiva. I cristiani primitivi hanno avuto il loro programma massimo: il millennio; e il loro programma minimo: l'inviolabilità dello spirito nella sua fede e nei suoi diritti personali. Quando noi leggiamo la pittura del regno millenario in Ireneo, noi pensiamo, con spontaneo confronto, alle pitture dell'anno 2000, così care ai socialisti sentimentali. In realtà, la somiglianza è perfetta: solo l'ambiente religioso antico ha dato al millennio cristiano alcuni caratteri specifici. Molte comunità primitive devono essersi chiuse nella rigida aspettazione della palingenesi imminente, spezzatori della vita circostante e del mondo, veri exsules, secondo la parola energica di Tertulliano. Altri, gli apologisti, per esempio, sul tipo di Giustino e i gruppi fedeli di cui rispecchiano le idee, han più tosto amato di mostrare la continuità del Vangelo con la tradizione classica, e han partecipato senza pose eroiche alla vita pubblica, invocandovi anzi il loro giusto riconoscimento. Infine gli gnostici, le più malleabili anime di credenti, han cercato di far rientrare pienamente il Vangelo nelle tradizioni pagane, e queste in quello. La loro attitudine è in fondo contradittoria: hanno alterato i caratteri del cristianesimo, e sono quindi di questo avversari temibili: ma nello stesso tempo ne hanno aiutato la diffusione e l'adattamento al mondo circostante. In tante maniere la giustizia si fa servire dagli uomini!

Dopo ciò, se il lettore penserà a quante scuole, a quanti partiti dà origine nel nostro mondo contemporaneo il problema sociale, troverà delle analogie fra noi e le ramificazioni in cui si suddivise la corrente cristiana antica. Non se ne meravigli: cambiano nella storia gl'ideali della lotta verso il progresso: ma la tattica seguìta e gli uomini che la seguono son sempre identici.

Dal punto di vista storico, in quali rapporti sta lo gnosticismo con la primitiva predicazione di Gesù, e con i risultati del suo normale sviluppo? Polemiche recenti, abbiamo già visto, han discusso a lungo sul contenuto originario della predicazione di Gesù: e in realtà il problema è il più oscuro e insieme il più vitale della critica contemporanea. Alcuni l'hanno visto nella speranza vaga ma ferma e vivace del regno; altri in una integrazione della tradizione giudaica, con una manifestazione più interiore di Dio padre, un precetto d'amore, una più elevata stima del proprio essere morale. È certo, che qualunque tesi si abbracci, bisogna, come postulato, concedere che la terminologia essenziale dell'insegnamento massianico è indeterminata e molteplice, come è proprio di ogni linguaggio adoperato per esprimere sentimenti atti a commuovere folle d'indole ed attitudini varie.

In realtà, l'insegnamento evangelico si è prestato subito a una duplice interpretazione, inesatta: da una parte si è visto in esso il complemento e l'universalizzazione del concetto massianico del re terreno, apparso con la missione di distribuire la beatitudine ai giusti; dall'altra si è eliminato da esso ogni avanzo schiettamente giudaico, e si è interpretato come una dottrina, con esclusione di ogni elemento sociale o politico. Il millenarismo, con parziali accessi di ebionitismo, e lo gnosticismo hanno contrastato duramente nei primi due secoli, muovendo appunto da due cristianesimi diversi, perchè diversamente adattati agli ambienti.

L'ortodossia è cresciuta fra i due eccessi: schiva da infantili sogni comunistici, come da infatuazioni morbose di dialettica. Come sempre, fra gl'indirizzi antitetici, ha prevalso la corrente che ha saputo armonizzare la grande idealità con la lentezza e la tortuosità del progresso umano. Non ha spento il millennio: ma non ha perpetuato nè pure il concetto della religione patrimonio di iniziati: ha unito tutti nel vincolo della fratellanza, e ha additato il premio nella beatitudine del cielo.

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Da un punto di vista strettamente dottrinale e religioso, la storia dello gnosticismo racchiude un prezioso insegnamento. Essa mostra i disastrosi effetti che per la vita morale e per la sanità del pensiero produce l'intellettualismo esagerato, avulso dal controllo assiduo e perseverante della coscienza operosa. Il fatto religioso è la manifestazione più alta, ma nello stesso tempo più complessa dello spirito umano: esso scaturisce dall'intreccio fecondo di tutte le facoltà dell'essere ragionevole, e a sua volta le muove, le dirige, le investe del suo alito possente e universale. Guai a isolarne un aspetto, guai a rompere l'incanto della sua sostanziale armonia! Il sentimento religioso separato in uno dei suoi molteplici coefficienti, l'intellettuale per esempio, dagli altri che ne devono vigilare il totale funzionamento, si trasforma, da propulsore di attività, di progresso, di altruismo, di elevazione, in ostacolo paludoso alla piena vita dello spirito, in causa di fiacchezza, in macabro isterilimento della psiche. Non solo: ma abbandonato alle arbitrarie e solitarie contemplazioni dell'intelletto, perde ogni vivo contatto con la realtà, si smarrisce nelle vuote astrazioni, pascolo di un febbrile e spossante lavorio cerebrale, muore di esaurimento, in un mare di speculazioni fittizie. Così lo gnosticismo, messosi sulla via dell'allegorismo, ha smarrito ogni senso evangelico, e, credendo di elevarsi a una interpretazione più nobile del messaggio cristiano, lo ha disconosciuto, lo ha falsato, lo ha corrotto fatalmente. Come una lunga teoria di contemplatori, gli gnostici son passati dinanzi alla nostra fantasia evocatrice: noi l'abbiamo interrogati sulla loro fede. Essa è cristiana senza dubbio: ma evanescente, vuota, aerea, volatizzata; è una maschera, che copre altre fisionomie, altre figure: fisionomie lontane e figure semi-dimenticate. La gnosi ha fatto uno vano sforzo verso la luce: ed è piombata invece nelle tenebre: l'anonimo cantore della Pistis, ne ha tracciato il destino: volle muovere verso la luce, e la perdette invece dolorosamente. A lei si offriva il semplice annunzio evangelico, pieno di ricchezze morali e fecondo di applicazioni vitali. Essa ne ha voluto invece proporre una interpretazione più alta, più complessa, più signorile. Perduta nel suo vano desiderio, la gnosi ha finito col dimenticare il Vangelo e con lo smarrirsi nel labirinto delle speculazioni razionali.

Per questo insieme di ragioni, lo gnosticismo ci appare come fenomeno non unilaterale: in gran parte estraneo alla nostra psicologia presente, in piccola parte adatto a ridestare nelle nostre anime, avide di misticismo, echi sonori, ripetuti, inaspettati. Le sue origini si perdono nelle tradizioni religiose della mentalità pre-cristiana: e difficile è percepirne nettamente l'essenza. Al finire del nostro studio, noi ci sovveniamo di alcuni magnifici versi dell'Uhland, molto opportuni per esprimere la nostra conclusione:

Man höret oft in fernen Wald
von obenher ein dumpfes Läuten
doct niemand weiss, von wann es hält,
und kaum die Sage kann es deuten.
Von der verlornen Kirche soll
der Klang ertönen mit den Winden;
einst war der Pfad von Wallen voll,
nun weiss ihn Keiner mehr zu finden.

«Si ode spesso in una foresta solitaria – scendere dall'alto un suono affievolito, – ma nessuno sa dire da quando esso vibra là: – a pena la leggenda può esprimerne il significato. – Da una perduta chiesa deve emanare – il suono, che corre con il vento: – una volta era il sentiero indicato da ripari – ora nessuno sa più trovarlo».

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