CAPITOLO VIII. Reazione della gnosi sulla Chiesa e sulla società.

Dice l'Harnack: «Gli gnostici in breve sono stati i teologi dei primi secoli; essi hanno per la prima volta organizzato il cristianesimo in un sistema di dogmi; essi hanno per la prima volta sistematicamente elaborato la tradizione; essi hanno presentato il cristianesimo come la Religione assoluta, superiore a tutte le altre religioni, anche al giudaismo; ma nello stesso tempo questa religione assoluta s'identificava per loro al prodotto di tutta la filosofia religiosa. Il cristianesimo si è per loro e in loro riannodato intimamente alla coltura ellenica anteriore». E fin qui, forse, potremmo sottoscrivere pienamente al suo giudizio. Ma l'Harnack procede più innanzi: egli non solo riconosce, come noi, che gli gnostici han tentato per la prima volta la dilucidazione razionale del dogma, e, inconsapevoli precursori della scolastica, hanno assunto dai documenti della rivelazione il breve dato dogmatico, per elaborarlo ed arricchirlo di speculazione razionale.

Il critico di Berlino va molto più in là: ed afferma recisamente che i fondamenti dottrinali stessi dell'ortodossia, il canone neo-testamentario, la gerarchia, la disciplina sacramentale sono, anzichè un dato della tradizione evangelica, un portato della lotta asprissima, sostenuta contro l'invasione gnostica. Poichè gli eretici coniavano con fecondità illimitata documenti biblici apocrifi, e li facevano circolare ostentatamente col nome degli apostoli o di altri personaggi notevoli del Nuovo Testamento, la chiesa dovette intervenire per contrapporre a questi tentativi confusionari, un catalogo ufficiale dei libri evangelici da adoperarsi senza pericolo. Perchè gli eretici turbavano con le sfrenatezze dei loro sogni di contemplatori malati la vita interna delle comunità e vi gettavano un fermento di disordine, la chiesa dovette irrigidire la sua gerarchia, perchè l'ovile fosse protetto dall'attacco sedizioso degli animali di rapina. Infine, poichè la liturgia gnostica, con i suoi riti sensibili e passionali, solleticava le velleità superstiziose, specialmente delle classi alte, la chiesa dovette contemporaneamente complicare e delimitare i suoi riti sacramentali: senza dire che la mania teologica, combattuta negli gnostici, si apprese ai dottori cristiani e fu deturpato da loro il semplice pensiero evangelico, per sempre.

Questo dell'Harnack ci sembra un artificiale e meccanico modo di considerare l'evoluzione di un organismo religioso. La chiesa, uscita dalla predicazione apostolica, non ha sviluppato il suo credo e la sua disciplina solo per un fenomeno di reazione alle esagerazioni della gnosi; ma per la legge che regola il funzionamento di ogni organismo vivente. Sicchè, gli elementi stessi di cui l'Harnack attribuisce l'origine alla lotta antignostica, non solo preesistevano nei documenti della rivelazione, cosa che non dobbiamo qui dimostrare; ma si sono evoluti, per forza propria di espansione, non come crescente baluardo alle irregolari mosse della gnosi. Basterebbero a provarlo le epistole ignaziane, dove il concetto della gerarchia è così ardentemente difeso e che, a confessione stessa di Harnack, sono anteriori alla crisi decisiva dello gnosticismo; la Didachè, nella quale i riti eucaristici son così ampiamente illustrati; il canone muratoriano, di cui è ardito assegnare un'origine polemica. Del resto una prova eloquente del fatto da noi sostenuto di uno svolgimento spontaneo della chiesa dai germi neo-testamentari, racchiudenti del resto tutto il contenuto sostanziale della rivelazione, si ha in questo particolare. Gli gnostici non sono stati in genere considerati fuori della chiesa che quando le loro astruserie hanno esorbitato da ogni limite di plausibilità religiosa: il che vuol dire, che, da principio, la loro speculazione ha rappresentato un movimento sano che il Vangelo compieva verso una conoscenza riflessa di sè: movimento necessario per ogni idea che si avvia a conquistare le masse. Giustino (I, 26) afferma che gli gnostici han potuto coesistere nella medesima fede cristiana con gli ortodossi, come i filosofi delle più varie scuole fanno uguale professione di filosofia. Adagio adagio la comunità ha sentito, per quell'oscuro istinto, insito ad ogni essere vivo, che gli gnostici minacciavano la semplicità del suo patrimonio religioso ed esageravano i necessari corollari filosofici del suo credo: e allora li ha eliminati da sè, come parassiti pericolosi. Lo gnosticismo non è uno stato una chiesa combattente contro l'ortodossia: è stata una escrescenza di questa, a tempo opportuno amputata. Tertulliano dice espressamente: «De verbi autem administratione quid dicam, cum hoc sit negotium illis non ethnicos convertendi, sed nostros evertendi? Hanc magis gloriam captant, si stantibus ruinam, non si jacentibus elevationem operentur: quoniam et ipsum opus eorum non de suo proprio aedificio venit, sed de veritatis destructione. Nostra suffodiunt, ut sua aedificent... Ita fit ut ruinas facilius operentur stantium aedificiorum, quam extructiones jacentium ruinarum» (De praescr. 42). E dei Valentiniani dice: «Valentiniani frequentissimum plane collegium inter haereticos, quia plurimum ex apostatis veritatis». (Adv. Val. I.)

Di più, per quel che riguarda l'accoppiamento dell'ellenismo con la predicazione evangelica, esso, inizialmente, è anteriore allo gnosticismo. Noi ne troviamo le traccie nei primi apologeti, che, reduci da una lunga peregrinazione attraverso le scuole filosofiche del classicismo, giungevano a convertirsi, portando con sè però tutto il bagaglio della loro cultura anteriore: e difendendo la nuova dottrina contro gli attacchi dell'autorità imperiale, si compiacevano di additare gli antecedenti ideali del Vangelo nelle speculazioni più alte del paganesimo. Inoltre, quei capisaldi dottrinali e disciplinari che l'Harnack indica come risultato della polemica difensiva con lo gnosticismo, sono, abbiamo detto, anteriori alla crisi provocata da questo. Il simbolo, che racchiude in iscorcio la professione di fede, risale, secondo un erudito protestante, il Kattenbusch, al 100: vale a dire prima che lo gnosticismo potesse esercitare una qualsiasi efficacia sulla grande chiesa. In quanto poi al canone neo-testamentario anch'esso si manifesta anteriore allo sviluppo della gnosi. Infatti la lettera di Policarpo ai fedeli di Filippi, scritta verso il 110, cita come Scrittura la 1a Petri, la prima di s. Giovanni, e nove delle tredici lettere di s. Paolo: fra cui c'è anche la prima a Timoteo: onde è lecito arguire che il vescovo di Smirne avesse dinanzi tutta la collezione. Di più abbiamo visto che il canone di Marcione comprendeva dieci epistole di s. Paolo, offrendosi più come alterazione di un canone esistente già nella chiesa che come novità eretica. Del resto, in linea generale, a quale idea precisamente della gnosi, a quale suo postulato disciplinare avrebbe l'ortodossia contrapposto i pretesi baluardi del suo credo e del suo episcopato? Noi abbiamo avvicinato con cura la speculazione gnostica, e abbiamo potuto constatare come essa manca di un contenuto concreto che riveli il suo proposito di oppugnare e scindere le comunità ortodosse. La chiesa l'ha combattuta astrattamente perchè negava il concetto della creazione e quindi l'idea della figliuolanza da Dio; perchè malediva la carne, destinata invece a trionfare nel regno. La polemica si è svolta così su un terreno del tutto filosofico, e i risultati sono stati appunto filosofici, più che disciplinari o dommatici. Il cristianesimo, nella lotta, è stato portato semplicemente a studiare con maggior attenzione i problemi cosmologici, trascurati fino allora per concentrare lo sforzo dell'anima religiosa nei problemi etici e soteriologici.

Io non nego perciò che lo gnosticismo, con l'attitudine ultra-speculativa del suo pensiero, con i riti bene ordinati dei suoi misteri, abbia esercitato un'azione sul pensiero e sulla liturgia della chiesa: ma è quell'azione che determina un'idea, latente, ad apparire sulla superficie della coscienza collettiva ed a fissarvisi; che induce un rito, non ancora schematizzato nel suo cerimoniale, ad assimilarselo in maniera definitiva. Così, per esempio, il docetismo della gnosi ha fatto sì che la dottrina della verginità universale di Maria ante partum, in partu et post partum si determinasse, nonostante il contrasto di alcuni scrittori, come Tertulliano, che feroci oppositori del per virginem non ex virgine dei valentiniani, temevano di essere imprudenti, se avessero concesso il passaggio, quasi fantasmagorico, di Gesù attraverso il corpo santissimo della vergine (De car. Chr. 23); così è impossibile negare che i riti eucaristici cattolici abbiano preso qualcosa dai riti gnostici, adoperati per esempio da Marco o dai compilatori dei libri di Jeû. Ma, lo ripetiamo, queste sono imitazioni formali e derivazioni apparenti: il contenuto dell'ortodossia era tutto preesistente allo gnosticismo e seguiva la traiettoria della sua espansione per energia autoctona iniziale.

Noi ci possiamo domandare, più tosto, se la straordinaria importanza attribuita dalla gnosi ai problemi scientifico-cosmologici, non abbia, essa, determinato anche la tradizione ortodossa ad assumere atteggiamenti più severi di pensiero filosofico, a intessere intorno al breve patrimonio etico della sua fede, una trama più sottile di apologetica e di commento metafisico. Questo problema però coincide con l'altro più vasto: quale influsso ha esercitato la gnosi sulla società romana del secondo e del terzo secolo? Ora tale influsso è stato notevolissimo. Il neo-platonismo, come sistema filosofico e indirizzo generico di pensiero, non è che una forma attenuata della gnosi. In quanto alla tradizione patristica, non solo i Padri del terzo e quarto secolo rivolsero sempre più la loro ricerca nel campo speculativo (Clemente e Origene notevoli fra tutti), ma ecco già per esempio Ireneo, il mite millenarista, indotto dalla sua polemica a dare un'importanza visibilissima alla redenzione concepita come insegnamento, anzichè alla redenzione concepita come purificazione morale e palingenesi sociale. «Non enim aliter – egli dice – poteramus scire quae sunt Dei, nisi magister noster, Verbum existens, homo factus fuisset: neque alius poterat enarrare nobis quae sunt Patris, nisi proprium ipsius Verbum» (V, 1). La proposizione è breve, ma molto significativa. La tendenza intellettualistica, che qui fa debolmente capolino, ingigantisce nella chiesa dopo Ireneo, e spazza via ogni illusione millenaristica. I millenaristi, posteriori al grande vescovo di Lione, Metodio, Commodiano, Lattanzio, non hanno più il fuoco sacro della sua convinzione profonda. Specialmente in oriente, dove più efficace era stata la saturazione ideologica, il millenarismo va lentamente scomparendo sotto il dominio della metafisica e dell'allegoria. Poichè questa è una legge storica ineccepibile: le grandi tendenze morali son repentinamente accompagnate da vaste teorie astratte: il risultato finale della loro lotta è il trionfo della corrente morale, sapientemente smussata nei suoi angoli, intimamente fusa al pensiero che la riveste, l'adorna, e in fondo, l'uccide. Ma il progresso storico, ha detto Goethe, può essere espresso da una spirale, non da una retta!...

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Nel capitolo precedente io ho riportato lunghi passi della Pistis Sophia e dei libri di Jeû. Era indispensabile farlo. Questi documenti gnostici del terzo secolo offrono magra varietà di argomenti, o meglio la varietà loro consiste esclusivamente in particolari di secondaria importanza. Le scene principali, il pensiero dominante si ripetono ostinatamente, come un leit-motiv fastidioso in una sinfonia eccentrica. Sicchè è completamente inutile sunteggiarne, in un breve sommario, il contenuto: bisogna offrirne i tratti caratteristici, dove l'uniformità dell'invocazione religiosa appare più manifesta, se si vuole fare intendere l'anormale psicologia che li ha coniati e il raffinamento teosofico che li ha sostenuti.

Inoltre, mirando a far risaltare le possibili analogie col pensiero e il rito ortodosso di queste strane manifestazioni eretiche, io ho preferito far parlare i documenti, anzichè parlare in loro nome. Appare evidente a chiunque mi abbia seguito fin qui che i documenti gnostici non contengono nessun culto sacramentale e nessuna dottrina che già il cristianesimo non possedesse in germe sugli albori del secondo secolo: la cena, il battesimo, la dottrina della redenzione. Ma chi riflette che questi riti e queste dottrine si svolgono e si trattano nelle fonti primitive dell'insegnamento ecclesiastico (Didachè, Ignazio, Policarpo, Erma) senza formulari complicati e senza liturgie diffuse, concluderà che lo gnosticismo ha esercitata una certa azione sullo sviluppo esterno (s'intende) posteriore del cerimoniale e della teologia cattolica. Un esempio tipico di questa efficacia lo troviamo nel modo di rappresentare la figura di Paolo nel secondo secolo: cent'anni dopo cioè la morte di lui. Lo Schmidt e l'Harnack hanno dimostrato che la corrispondenza apocrifa fra i Corinti e S. Paolo fa parte di quell'ampia pubblicazione cattolica, gli Atti di Paolo, con i quali si tentò far argine, verso il 170, all'infiltrazione gnostica, chiamando in testimone dell'ortodossia quegli stesso, della cui autorità la gnosi si arrogava la privativa. Anche qui preferiamo riportare questo documento:

«Incipiunt scripta Corinthiorum ad Apostolum Paulum. Stephanus et qui cum eo sunt omnes majores natu, Paulo fratri in Domino aeternam salutem. Supervenerunt Corinthum viri duo, Simon quidam et Cleobius, qui quorumdam fidem pervertunt verbis adulteris: quod tu proba. Numquam enim audivimus a te talia: sed quaecumque ex te aut ex illis accepimus, custodimus. Cum ergo dominus nostri misereatur, ut dum adhuc in carne es, iterum haec a te audiamus: aut perveni ad nos, aut scribe nobis. Credimus enim quomodo Atheonae manifestum est, quod te dominus de manibus inimici eripuit, ita et nos credentes in domino. Sunt autem quae dicunt et docent talia: negant prophetis oportere uti; nec communium rerum esse Deum potentem; nec anastasim futuram carnis; nec hominem a Deo factum; nec in carne Christum descendisse, nec de Maria natum; nec Dei esse orbem, sed nuntiorum. Propter quae, frater, omne studium adhibe veniendi ad nos, ut sine scandalo maneant Corinthiorum ecclesiae et illorum dementia manifestetur. Vale in Domino semper».

«Incipit rescriptum Pauli apostoli ad Corinthios. Paulus, vinctus Christi Jesu, fratribus qui sunt Corintho, in Domino salutem... Dominus meus Iesus Christus velociter veniet, iniuriam non ferens ultra adulterantium doctrinam suam. Ego enim in initio tradidi vobis quae a praecedentibus nostris sanctis apostolis acceperam, qui omni tempore cum domino Jesu Christo fuerant. Quod dominus noster Jesus Christus ex Maria natus est, quae est ex semine David, dimisso ad eam a Patre Spiritu coelesti. Ut prodiret in hoc saeculum et liberaret omnem carnem, et ut per carnem et in carne nos de mortuis suscitaret, ac quod ipse relinquendum se statuit exemplar; et quia homo a Deo patre formatus est, ut revivisceret per adoptionem, ideo post mortem quaesitus est. Nam quia Deus qui fecit coelum et terram, misit primum judaeis prophetas ut a peccatis abstraherentur... Sed quia iniustus princeps, deum volens esse se, eos sub manu necabat et omnem carnem hominum ad suam voluntatem alligabat, et consummationes mundi judicio adpropinquabant,... Deus omnipotens, cum sit justus, nolens abicere suam functionem, misertus est de coelis. Et misit Spiritum sanctum in Mariam in Galilaea, quae in totis praecodiis credidit accepitque in utero Spiritum sanctum, ut in saeculum prodiret Jesus, ut per quam carnem conversatus est malus per eam victus probatus est non esse deus. Sic enim in corpore Christus Jesus omnem carnem servavit, justitiam et exemplum in suo corpore ostendens, per quod liberati sumus: qui ergo istis consentiunt, non sunt filii iustitiae sed irae quia Dei prudentiam respuunt, dicentes coelum et terram et quae in eis sunt, non esse opus Dei; maledicti enim qui serpentis sententiam sequuntur: hos ergo abiicite a vobis et a doctrina eorum fugite. Non enim estis fili inoboedientiae sed amantissimae ecclesiae, propterea resurrectionis tempus praedicatum est. Quod autem vobis dicunt non esse carnis resurrectionem, illis non erit resurrectio in vitam, sed in judicium eius. Quoniam circa eum qui resurrexit a mortuis infideles sunt, non credentes neque intelligentes; neque enim viri Corinthii, sciunt tritici semina sicut aliorum seminum quoniam nuda mittuntur in terra et simul corrupta deorsum surgunt in voluntate Dei vestita: non solum corpus quod missum est, surgit, sed quamplurimum benedicens. Quanto magis vos, pusilli fidei, et eos qui crediderunt in Christum Jesum excitabit, sicut ipse exurrexit? Ego enim stigmate Christi in manibus habeo ut Christum lucrer, et stigmata crucis eius in corpore meo, ut veniam in resurrectionem ex mortuis. Et si quisquam regulam accipit per felices prophetas et sanctum evangelium, manet, mercedem accipiet, et cum resurrexerit a mortuis, vitam aeternam consequetur. Qui autem haec praeterit, ignis est cum illo et cum eis qui sic praecurrunt, qui sine Deo sunt homines, genere viperarum...».

Commentando questa corrispondenza apocrifa, A. Harnack osserva: «Il cristianesimo del 2° secolo conosceva più di un Paolo! Conosceva il Paolo degli Atti, il più vicino al vero; il Paolo delle lettere pastorali; il Paolo di Marcione e degli gnostici! Noi possiamo ora aggiungere alla serie il Paolo degli Acta Pauli... È vicinissimo al Paolo delle Pastorali, e procede nella direzione cattolica. Il punto di vista dell'autore degli Acta, e quindi del suo Paolo, sta tra la 2a Clem. e Ireneo». L'osservazione è forse un po' schematica. Il pensiero ortodosso del secondo secolo, seguendo le orme di Paolo, ha naturalmente compiuto del suo ricordo una elaborazione spirituale propria: il risultato di questa era contrapposto nettamente all'immagine che di Paolo si foggiavano gli gnostici. Ma è anche vero che le condizioni della polemica, e le diversità dell'ambiente, imprimevano alla letteratura delle varie comunità caratteri peculiari, facilmente riconoscibili. Verso la metà del secondo secolo Papia componeva quelle Explanatio sermonum dominicorum (che una dura, forse non inspiegabile, iattura, ci ha fatto smarrire), a cui era affidata, con gli accenti più accesi, la protesta della sua fiducia nel regno millenario. Ireneo ne ha portato l'eco nella Gallia. La 2a Clem., sorta verso il 170 a Roma, secondo l'Harnack, ad Alessandria, secondo il Bartlet, e molto più questa corrispondenza pseudo-paolina, abbandonano il sogno millenaristico, e insistono di preferenza sul dovere della redenzione individuale, ponendosi da un punto di vista che, pur salvando la bontà iniziale della materia e la fiducia nella risurrezione della carne, coincide in qualche modo, col punto di vista soteriologico della gnosi. La soteriologia, la dottrina, cioè, della salvezza cristiana, è stato il campo sul quale appunto le due dottrine contendenti si sono incontrate: la gnosi abbandonando le sue fantasmagoriche idee di cosmologia; la tradizione, abbandonando la rosea aspettativa del millennio, delusa irrevocabilmente nel fatto.

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