Ed ecco allora la necessità per Roma di pronunciarsi al riguardo. Il 6 febbraio del 1922 il Cardinale Achille Ratti, passato dalla Nunziatura in Polonia all'Arcivescovato di Milano, era innalzato al soglio pontificio, come successore di Benedetto XV. Prendeva il nome di Pio XI. Il primo grande avvenimento internazionale a cui egli si trovò di fronte fu, tra l'aprile e il maggio, la Conferenza di Genova per il riassetto economico europeo e mondiale. Ne era stata decisa la convocazione a Cannes, dalle cinque Potenze alleate, le quali il 6 gennaio avevano divulgato un comunicato così concepito: «Le Potenze alleate, riunite in conferenza, sono unanimi nel ritenere che una conferenza di ordine economico-finanziario dovrebbe essere convocata per il febbraio o agli inizi di marzo, a cui tutte le potenze europee, Germania, Austria, Ungheria, Bulgaria e Russia comprese, dovrebbero essere invitate perchè inviino rappresentanti. Esse ritengono che una tale conferenza possa costituire una tappa urgente ed essenziale sulla via della ricostruzione economica dell'Europa centrale ed orientale, ed hanno la ferma opinione che i primi Ministri di ciascuna nazione debbano, se possibile, assistere personalmente alla conferenza, affinchè le raccomandazioni e i suggerimenti che questa potrà formulare possano essere seguiti dall'azione più rapida ed efficace possibile».
Si comprende come il mondo dovesse essere pieno di aspettativa e di fiducia in una conferenza di questo genere, alla quale, non solamente le cinque Potenze alleate invitavano gli stati ex-nemici, ma a cui anche la Russia bolscevica doveva intervenire.
Nella Segreteria di Stato c'era sempre il Cardinal Gasparri e l'atmosfera di Curia era ancora l'atmosfera di Benedetto XV: atmosfera di fiducioso ottimismo e di larga elasticità. Chi scrive queste righe ricorda ancora come, dinanzi a questo intervento della Russia bolscevica alle discussioni internazionali e ai piani di ricostruzione economica mondiale, il Cardinal Gasparri, in una conversazione improntata al più duttile spirito di oggettività e di chiaroveggenza, ebbe a dire che la Chiesa, in linea teorica, non aveva nulla da opporre pregiudizialmente ad una organizzazione statale comunistica. La Chiesa, disse allora testualmente il Cardinale Gasparri, è completamente agnostica ed indifferente alle forme dell'economia. I suoi interessi spirituali sono al di là e al di sopra dei sistemi economici e possono essere tutelati in un qualsiasi clima politico e sociale. Essa chiede soltanto che le organizzazioni statali, di qualsiasi tipo, non frappongano ostacoli e non cerchino di insidiare il libero svolgimento della vita religiosa e sacramentale, in che è il compito e il ministero della Chiesa.
L'arcivescovo di Genova, Monsignor Signori, emanava il 2 aprile una pastorale al suo clero e al suo popolo con la quale indiceva pubbliche preghiere per la felice riuscita della Conferenza. Evidentemente non l'aveva fatto senza il previo consenso della Curia romana. E a pochi giorni di distanza del resto, il Pontefice indirizzava una sua Lettera al prelato, approvandone la Pastorale e constatando, con cristiano compiacimento, come fosse un gran fatto che per la prima volta, dopo il conflitto armato, intorno al medesimo tavolo diplomatico, in piena uguaglianza di diritti e di dignità, si trovassero insieme vinti e vincitori. Pio XI formulava vivi voti perchè «sull'altare del comune benessere» i diversi Governi immolassero le loro singole velleità e i loro preconcetti. Pio XI inoltre augurava che da tale scambio di idee potessero scaturire propositi di mutua condiscendenza che permettessero ai vinti l'assolvimento dei propri impegni.
In Segreteria di Stato sembrava che si nutrissero così forti speranze sulla Conferenza di Genova, non solamente per il risanamento dell'atmosfera politica internazionale europea, bensì anche per la possibile azione religiosa della Santa Sede in Russia, che il 29 aprile, fra la prima e la seconda seduta plenaria della Conferenza, Pio XI dava conferma del proprio atteggiamento fiducioso con una lettera al Cardinale Gasparri in cui, compiacendosi per la rimozione degli ostacoli al raggiungimento di un accordo alla Conferenza medesima, proclamava che il buon esito del Congresso avrebbe segnato una vera data storica per la civiltà cristiana. Evidentemente per dare maggiore risalto e più vasta portata al proprio gesto, Pio XI faceva comunicare ufficialmente il testo della sua Lettera al Presidente della Conferenza, che era il Capo del Governo italiano onorevole Facta, e alle Delegazioni di quei Stati, con i quali il Vaticano aveva rapporti diplomatici.
In questa Lettera al Cardinale Gasparri Pio XI aveva lasciato cadere una frase sulle condizioni delle popolazioni in Russia e sulla necessità di soccorrerle. E d'altra parte, dando comunicazione della sua Lettera ai delegati alla Conferenza dei Paesi con i quali la Santa Sede era in rapporti diplomatici, il Pontefice stesso enunciava i postulati che egli riteneva necessari alla tutela degli interessi religiosi in territorio bolscevico e di cui si riprometteva la pratica sanzione dalla stessa conferenza genovese.
Ma a Genova ci fu qualcosa di più. Ad un pranzo ufficiale l'Arcivescovo di Genova scambiava il proprio menù con quello del Ministro degli Esteri russo Cicerin, fra lo stupore dei presenti, cui doveva seguire l'impressione del gran pubblico. Era una cordiale presa di contatto e non fu la sola. Due Monsignori della Segreteria di Stato, i monsignori Sincero e Pizzardo, furono mandati a Genova a trattare direttamente con i delegati della Repubblica sovietica questioni di natura religiosa. Il Vaticano si interpose a favore del Patriarca della Chiesa ortodossa Russa Ticone e di altri ecclesiastici che erano stati sottoposti a Mosca ad un processo per imputazioni politiche. Anche all'indomani della Conferenza la Santa Sede intervenne in questo senso direttamente presso Lenin.
Non si può dire che i risultati conseguiti rispondessero alla fiducia che la Conferenza genovese aveva suscitato e alimentato, non solamente negli organi supremi del Governo ecclesiastico, ma possiamo dire in tutto il mondo. Il bilancio della Conferenza fu quasi integralmente negativo. Cicerin, ad ogni modo, si mostrò non refrattario del tutto alle richieste e alle sollecitazioni degli emissari della Segreteria di Stato. Il Governo di Mosca acconsentì a che missionari cattolici entrassero in Russia, per portarvi i soccorsi raccolti dalla Santa Sede a favore delle popolazioni colpite dal flagello della carestia. E il 24 luglio una missione vaticana salpava da Bari. La guidava Monsignor Walsh. Quindici giorni prima, in data 10 luglio, Pio XI aveva divulgato una caritatevole Lettera apostolica, sollecitando da tutto il mondo contributi e soccorsi per la grande opera di assistenza umanitaria in Russia.
In verità il Governo di Mosca non mantenne a lungo quell'atteggiamento di condiscendenza e di favore all'opera assistenziale del Pontefice che Cicerin aveva ostentato alla Conferenza di Genova. Se gli inizi dell'opera spiegata dalla Delegazione guidata da Monsignor Walsh furono sereni e propizi, ben presto le autorità russe cambiarono il loro contegno. Il Walsh, caduto in disgrazia, era costretto ad abbandonare la Russia. E i negoziati che egli aveva iniziato per una definizione delle condizioni giuridico-politiche cattoliche sul territorio bolscevico, rimasero senza approdo e senza risultato.