ROMA E MOSCA

Il processo politico intentato a Mosca contro l'Arcivescovo cattolico di Moghilev, monsignor Cieplak, e contro il suo coadiutore, monsignor Butchiewics, si concludeva il 26 marzo 1923 con una condanna a morte. Il Cieplak aveva poi la sua condanna commutata in dieci anni di carcere e il Pontefice anzi giunse a ottenerne la liberazione, ma il Butchiewics era fucilato il 31 marzo. Nell'allocuzione concistoriale, del 23 maggio successivo, Pio XI parlava con accorata tristezza della condizione fatta alla Chiesa cattolica in Russia. Il medesimo tono di accoramento trapelava dall'Enciclica del 12 novembre dedicata al Centenario di San Giosafat e dalla Allocuzione concistoriale del 20 dicembre.

L'atteggiamento della Santa Sede di fronte al Governo comunista andava rapidamente cambiando. L'iniziale ottimismo fiducioso si avviava a diventare una diffidenza ostile e addolorata. Nel maggio del 1924 il Cieplak veniva a Roma e poteva dare ragguagli diretti e personalmente controllabili sulle condizioni fatte alla Chiesa cattolica dal Governo comunista. Le comunità religiose avevano perduto i loro beni. Gli edifici di culto erano trasformati profanamente secondo il libito dei Sovieti locali. Vietato era qualsiasi insegnamento religioso.

Pio XI non poteva non far sentire le sue rimostranze contristate. Nell'Allocuzione concistoriale del 18 dicembre 1924, egli, pur enunciando il suo proposito di continuare nella misura del possibile il soccorso all'inenarrabile sofferenza della popolazione russa colpita dalla carestia, riteneva opportuno ammonire che simile opera umanitaria non poteva essere interpretata come segno di favore e di condiscendenza per una forma di Governo, in nulla approvata dalla Santa Sede: Pio XI, al contrario, rivolgeva fervidissime esortazioni a tutti gli uomini di stato perchè raccogliessero i loro sforzi onde scongiurare i funesti pericoli rappresentati dal dilagare delle idee socialistiche e comunistiche. A questo fine Pio XI indirizzava le preghiere di tutto il mondo cattolico per il veniente anno giubilare. La crociata papale contro il comunismo cominciava.

Il movimento dei senza-dio patrocinato e favorito in Russia dal Governo bolscevico non poteva non destare in Vaticano le più serie preoccupazioni e la più recisa condanna. La Segreteria di Stato, così largamente disposta a trattative pur con il Governo bolscevico per la regolarizzazione dei rapporti fra vita politica e vita religiosa in Russia, constatata l'inutilità dei suoi sforzi, si accinse a contrapporre all'azione irreligiosa del bolscevismo un'azione illuminatrice e polemica. Fra quelli che meglio avevano secondato la tattica conciliatrice della Sede Romana c'era stato un padre gesuita, il Padre Michele d'Herbigny, un francese specialista in cose slave.

Pio XI lo creò presidente del Pontificio Istituto per l'Oriente e lo consacrò vescovo. In un primo momento egli poteva, sempre sotto la figura giuridica dell'assistenza alle popolazioni russe colpite dalla carestia, compiere un viaggio nel territorio sovietico, giungendo a celebrare un pontificale nella chiesa di San Luigi a Mosca. Ora, iniziatasi la campagna di reazione al movimento dei Senza-Dio, il d'Herbigny iniziava una serie di pubblicazioni destinate a far conoscere all'opinione occidentale le reali condizioni religiose dell'U.R.S.S. Fra queste opere, la più nutrita e documentata è quella pubblicata dal d'Herbigny nel 1930 La guerre antireligieuse en Russie soviétique (Paris, 1930). Proprio nel medesimo torno di tempo in cui il d'Herbigny pubblicava questo libro e precisamente il 2 febbraio del 1930, Pio XI indirizzava al Cardinal Vicario di Roma, Pompili, una Lettera vivace e serrata contro l'azione antireligiosa del Governo russo. Si era nel periodo in cui, vinta l'opposizione di destra e di sinistra e proclamato che la Nep era terminata, Stalin accentuava la sua politica antireligiosa. E il Pontefice, dopo aver ricordato le sue iniziative alla Conferenza di Genova, l'azione da lui spiegata in pro del Patriarca Ticone e degli affamati russi, denunciava la crudele reazione antireligiosa nella Russia dei Sovieti e gli indegni carnevali a dileggio delle cose religiose, sfacciatamente organizzati dalle autorità bolsceviche. Quasi a riparazione di questi attentati sacrileghi il Pontefice annunciava che per il prossimo giorno di San Giuseppe, 19 marzo, avrebbe celebrato una Messa espiatrice sul sepolcro di San Pietro. Tutto il mondo cristiano avrebbe dovuto unirsi a lui nella preghiera supplice e riparatrice. Il 6 aprile, quasi a dar forma organica e maggiormente redditizia a tutto il lavoro di propaganda da contrapporre alla politica antireligiosa di Mosca, Pio XI istituiva con motu proprio, in forma di sezione autonoma, una sezione della Congregazione per la Chiesa orientale, perchè si occupasse unicamente ed ex-professo della Russia. La Presidenza ne fu affidata al d'Herbigny. Per un quinquennio il d'Herbigny fece di questo suo dicastero una vera e propria fucina di lavoro diplomatico e culturale antirusso. Nel marzo del 1935 bruscamente l'autonomia della Commissione per la Russia fu annullata. La Commissione fu aggregata alla Congregazione degli affari ecclesiastici straordinari. Il d'Herbigny fu allontanato dal suo posto e anche da Roma. Non si parlò più di lui. Egli andò a chiudere i suoi giorni oscuramente in Francia. Si seppe a Roma che il Governo bolscevico era riuscito a mettere al suo fianco un suo fiduciario, un ex-prete belga vissuto molti anni in Russia e passato al comunismo. Si vociferò anzi negli ambienti romani che questo emissario moscovita avesse giuocato qualche grosso tiro, non soltanto al d'Herbigny.

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