PREFAZIONE

«Siate perfetti, al modo del Padre vostro che è nei cieli». Il precetto di Gesù era stato preciso e solenne. La vita morale degli uomini non poteva e non doveva avere che un modello ed una norma: la bontà longanime ed universale del Padre, che diffonde sugli uomini, generosamente e indiscriminatamente, i tesori della sua assistenza e del suo perdono. Esulava pertanto dalle prospettive del Cristo la concezione di una duplice forma di esistenza, l’una riservata ai perfetti e ai privilegiati, l’altra concessa alla massa dei credenti. Consumata nella visione di una vita associata tutta pervasa dai sentimenti della carità e della mitezza; dominata dall’aspettativa insonne del veniente Regno della giustizia e della pace; la predicazione neotestamentaria vagheggia la costituzione di una comunità religiosa, tutta improntata al programma della più profonda solidarietà nella grazia, che non abbassi giammai l’altezza dei suoi ideali, per quanto vasto possa divenire il girone delle sue conquiste. La piccola comunità formatasi intorno al Cristo, vivente del suo entusiasmo e della sua fede, nutre così fervida in cuore la sicurezza del prossimo trionfo e nel medesimo tempo attua con così spontaneo automatismo le leggi della perfetta rinuncia e del completo disinteresse, che non ha alcun bisogno di affidare alla ostentata eccentricità delle consuetudini esteriori la purezza del suo ideale e la incontaminata severità del suo programma. I seguaci del Battista possono aver cercato nella solitudine, intorno all’aspra ascesi del severo e duro predicatore del castigo divino, la difesa e la rivendicazione dal verdetto implacabile, lanciato contro il mondo dell’ipocrisia ufficiale circostante. Gesù porta con sè i suoi fedeli per le vie della Galilea, della Samaria, della Giudea: ma li vuole con le vesti succinte e la lampada accesa, sempre in procinto di ricevere il Signore che viene. Egli anzi ricava dalla difformità di atteggiamenti fra il «precursore» e il «preannunciato» una comparazione tagliente, contro l’inguaribile apatia e il neghittoso indifferentismo della massa. Il popolo è come una schiera di ragazzi che ha giuocato sulla piazza alla gioia ed al lutto. Prima hanno cominciato alcuni a darsi alle deplorazioni e alle nenie, come negli accompagnamenti funebri. Ma gli altri non hanno corrisposto col pianto. Allora si son messi a intonare su i loro piccoli flauti motivi di letizia. Ma gli altri non hanno risposto col ballo. Nè la fosca predicazione del Battista, nè la limpida e sorridente propaganda del Cristo hanno scosso Israele. La gente ha sussurrato del primo: è indemoniato; del secondo: è un beone. Ed è passata oltre. Ma la giustizia avrebbe saputo ricavare la propria giustificazione dalle opere di tutti i figli suoi!

Propagandosi in una società ostile e refrattaria, il messaggio della salvezza nel Cristo e dell’eredità al Regno, mediante l’inserzione nell’organismo mistico della sua sopravvivenza e dei suoi carismi, non ha avuto bisogno di adottare i postulati e la pedagogia delle organizzazioni ascetiche largamente diffuse nel mondo ellenistico, per mantenere alla sua iniziale altezza il livello della morale e l’intensità del religioso fervore. La persecuzione ha rappresentato la forma ideale del tirocinio ascetico per la religione nascente.

Ma quando la disseminazione fortunata dell’annuncio evangelico, la sua penetrazione nei ceti più elevati della società, il suo arricchimento concettuale, la sua familiare dimestichezza con le classi dirigenti, hanno automaticamente affievolito il fuoco del primitivo ardore escatologico e, di rimbalzo, abbassato il tenore della vita morale collettiva, nei gruppi rimasti fedeli alla interpretazione letterale dell’insegnamento di Gesù è invalsa una rinnovata consapevolezza della incompatibilità di questo con le forme consuete e le abitudini quotidiane del mondo. Così si sono delineate le correnti ascetiche teoriche prima, pratiche poi.

Ma anche quando la logica immanente del grande sviluppo cristiano ha portato la società ecclesiastica alla consacrazione di una duplice foggia di praticare l’etica dell’evangelo, l’una acconciata all’immensa massa dei credenti, l’altra riservata ai nuclei aspiranti alla perfezione, l’ascesi cristiana non ha mai prodotto le forme e i tipi dell’ascetismo filosofico: è stata sempre animata dal proposito, più o meno cosciente, di risollevare in grembo alla società cristiana mondanizzatasi l’entusiasmo e l’ardore del primitivo cristianesimo.

Studiare la genesi e lo sviluppo dell’organizzazione ascetica nel cristianesimo antico, significa cogliere nel vivo l’attuazione di quella legge costante, in virtù della quale il Vangelo opera nel mondo, rovesciandone le idealità e capovolgendone i valori; salva gli uomini, inducendoli al rinnegamento e alla rinuncia. «La salvezza dell’anima è nel suo sbaraglio».

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